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La salvaguardia dei delfini è quella del mare

Attivare strategie di prevenzione per tutelare i cetacei significa monitorare i rischi per l'intero ecosistema marittimo. Ecco perché

La storia dell’uomo ci ha insegnato a non dare mai nulla per scontato. Né la sopravvivenza della nostra specie né quella delle altre presenti sulla Terra che, per la direzione intrapresa dall’evoluzione, hanno di fatto finito per dipendere da noi. E, in particolare, dall’accortezza delle nostre scelte. Questo vale per gli animali terrestri ma, forse in misura ancora maggiore, per quelli che abitano le acque del nostro Pianeta. Un’incidenza che, per quel che riguarda l’antropizzazione, varia nella misura in cui l’attività umana entra in modo diretto a contatto con gli oceani. Ottenendo, tuttavia, sempre il medesimo risultato. Ad esempio, la pesca intensiva finisce per squilibrare gli ecosistemi marini allo stesso modo del riscaldamento eccessivo delle acque, sia pure con effetti su scala temporale differente. Un processo che di naturale ha ben poco ma che ha finito per inserirsi nel quadro generale delle cose, con delle specie più a rischio di altre. Eppure, anche quelle più numerose, come i delfini, non sono esenti da pericoli.

I delfini “italiani”

Qualche mese fa, l’occasione della Giornata mondiale a tema è stata anche quella per una riflessione a tutto tondo sul problema. In primis perché, in alcune zone del mondo, tali mammiferi finiscono ciclicamente negli obiettivi della pesca di frodo. E, nondimeno, perché la rapidità dei cambiamenti climatici sta interessando anche la loro adattabilità alla vita marina. Tuttavia, al di là della mera ricorrenza, è innegabile che la tutela delle specie marittime vada di pari passo a quella dell’ambiente in cui vivono. Perché se è vero che le conseguenze dirette dell’antropizzazione, come le reti artificiali abbandonate, costituiscono un rischio evidente per i cetacei di medie dimensioni, è altrettanto vero che il contraccolpo trova riscontro anche in altre problematiche meno evidenti all’occhio umano.

I numeri

Un primo dato, piuttosto indicativo, arriva dal progetto europeo “Life Delfi”, secondo il quale, in soli 15, ben 194 cetacei sono stati vittime di spiaggiamento (37 ad aprile 2024) solo sulle coste italiane. Un numero già superiore a quello del 2023, quando furono 157 (perlopiù tursiopi e stenelle, cetacei appartenenti all’ordine dei delfini). Numeri che, addirittura, qualche mese fa avevano lasciato ipotizzare una possibile procedura d’infrazione per il nostro Paese, reo di non aver preso adeguate contromisure per evitare catture accidentali.

Le strategie di salvaguardia

Lo scorso febbraio, l’Unione europea aveva recapitato all’Italia una lettera di messa in mora (step immediatamente precedente alla suddetta procedura) a seguito di una riscontrata irregolarità rispetto alla cosiddetta Direttiva Habitat, che impone l’adozione di misure adeguate per la tutela degli ecosistemi. Una strategia di monitoraggio e prevenzione che, oltre a prevedere misure concrete di salvaguardia, poggia sulla base della ricerca e della teoria per la conservazione delle specie. Per quel che riguarda l’habitat marino, un focus speciale era stato riservato proprio ai delfini, tra i mammiferi maggiormente soggetti alle conseguenze più estreme dell’antropizzazione marittima. Lo stesso progetto Life Delfi è stato pensato come un mezzo per ridurre al minimo le interazioni tra imbarcazioni e cetacei.

Le possibili cause

È comunque chiaro che, nonostante i richiami dell’Ue, l’Italia non sia l’unico Paese alle prese con il problema. Basti pensare che, il mese scorso, 99 esemplari di globicefali hanno perso la vita per spiaggiamento sulle coste dell’isola di Sanday, nell’arcipelago scozzese delle Orcadi. Un episodio tutt’altro che infrequente per quel che riguarda le cosiddette “balene pilota”, parenti dei delfini e tra i cetacei maggiormente diffusi nelle acque terrestri, particolarmente vulnerabili ai fenomeni di spiaggiamento. Il caso di Sanday è stato definito il peggiore degli ultimi trent’anni per quel che riguarda la Scozia e, in ogni caso, uno dei peggiori del secolo. Per quel che riguarda le cause, non sempre è possibile definirle con certezza: lo spiaggiamento di Sanday potrebbe essere stato dovuto a un errata percezione nella navigazione da parte del capobranco, culminata con la moria sull’arenile scozzese. In generale, molti cetacei risentono della presenza di imbarcazioni e ultrasuoni che, almeno per quel che riguarda le specie maggiormente sensibili agli stimoli sensoriali, inducono spesso a errori di rotta.

I delfini di Cape Cod

Nonostante gli episodi di spiaggiamento possano provocare delle vere e proprie stragi, la partecipazione attiva nella tutela dei delfini e degli altri cetacei è particolarmente viva in quasi tutte le zone del mondo. Sempre nel mese di luglio, ad esempio, un aiuto convergente di enti, tra i quali il Center for Coastal Studies e la Whale and Dolphin Conservation, ha permesso il salvataggio di oltre 100 esemplari di delfini arenatisi sul litorale di Cape Cod, nel Massachusetts. Dodici ore di lavoro, tra operazioni per rimuovere gli esemplari dalla sabbia e l’utilizzo di sonar artificiali, col risultato eccezionale di aver evitato una nuova ecatombe. Con l’auspicio che la prevenzione possa funzionare allo stesso modo…

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