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Tecnologia al servizio della salute. La sfida della diagnosi precoce

Le nanoleghe metalliche sono il futuro di energia e medicina. Un team guidato dall'Università di Padova studia nuovi materiali

Salute: corsa contro il tempo per la diagnosi precoce. I programmi di screening oncologico sono interventi di sanità pubblica. Nei quali il sistema sanitario offre “attivamente, gratuitamente e sistematicamente” un percorso organizzato di prevenzione secondaria. L’obiettivo, secondo il report del dicastero della Salute è “individuare precocemente un tumore, o i suoi precursori. Permettendo così di intervenire tempestivamente su di esso”. Il fine principale dei programmi di screening è ridurre la mortalità per tumore attraverso una diagnosi precoce. In campo oncologico, cioè quando si parla di tumori, effettuare una diagnosi precoce è essenziale per aumentare l’efficacia delle cure e la possibilità di guarigione. La malattia da individuare con lo screening deve essere curabile o, comunque, il suo decorso deve poter essere modificato grazie alla diagnosi precoce. Per una persona non c’è alcuna utilità nel ricevere una diagnosi anticipata della malattia se non si è in grado di migliorarne il decorso. Per questo gli screening condotti in Italia sono basati su solide prove scientifiche di efficacia. E sono organizzati in “programmi di screening”.
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I peptidi biciclici contro i tumori (Foto: Ca Foscari Venezia)

Salute e innovazione

Fondamentale nella prevenzione il ruolo dell’innovazione. Le nuove nanoleghe sono il futuro per l’energia e la ricerca medica. Su questo l’Università di Padova guida un team di ricerca. Su “Nature Communications” i ricercatori indicano una nuova metodologia per individuare nanoleghe con proprietà ottiche innovative e applicazioni in diversi ambiti tecnologici. Lo studio si focalizza su una categoria di nanomateriali con proprietà ottiche particolarmente importanti e promettenti, perché ancora ampiamente inesplorate. Ovvero quella delle nanoparticelle metalliche composte da elementi diversi tra loro, dette nanoleghe. Il motivo per cui ci si aspetta così tanto da esse è facilmente intuibile guardando alla tavola periodica, che si compone di un centinaio di elementi chimici. Anche restringendo il campo a solo un terzo di questi elementi, e assumendo di avere solo leghe con due elementi in proporzione uguale, le combinazioni possibili per ottenere nanoleghe sono già centinaia. Se si considerano proporzioni diverse tra gli elementi, e tre elementi anziché due, il numero di combinazioni diventa rapidamente molto grande.

Contro l’Alzheimer

Trovare la nanolega giusta per una certa applicazione comunque, tra tutte quelle possibili, equivale di fatto a cercare un ago in un pagliaio. In futuro, le proprietà ottiche dei nanomateriali aiuteranno – da qui il valore della ricerca – a convertire la luce solare in energia o in prodotti chimici di alto valore, senza inquinare l’ambiente, ma anche a curare malattie come il cancro o l’Alzheimer, a diagnosticare le malattie stesse in anticipo, con costi bassi e accessibili a tutti fino a realizzare computer più veloci e meno energivori. Intano arriva una radicale modifica nell’approccio diagnostico. Ora c’è una nuova guida nel labirinto della diagnosi dei disturbi cognitivi e dell’Alzheimer. Le prime raccomandazioni intersocietarie europee sono state realizzate dagli esperti delle maggiori Società Scientifiche del settore. E coordinate da specialisti dell’Università di Genova-IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. Dell’Università di Ginevra e dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia. Il percorso diagnostico, oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o TAC e in alcuni casi elettroencefalogramma che sono previsti nel primo step, cambia a seconda dei pazienti. E può includere o meno l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, PET o SPECT di differenti tipologie, scintigrafie. In un prossimo futuro, quando a questi esami sarà verosimilmente possibile associare anche l’utilizzo di biomarcatori rilevabili nel sangue, l’iter previsto da queste nuove raccomandazioni potrebbe ridurre fino al 70% gli esami strumentali inutili per diagnosi precise, affidabili e tempestive.
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Foto di Gerd Altmann da Pixabay

Linee guida

Queste raccomandazioni consentiranno di arrivare prima e meglio a dare un nome al problema di chi manifesta i primi segni di un deterioramento cognitivo. Riconoscendo se si tratti di Alzheimer, come avviene in un caso su due, o di un’altra forma di demenza. Le raccomandazioni, appena pubblicate sulla prestigiosa rivista “The Lancet Neurology”, per la prima volta non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomi. A partire da 11 diverse modalità con cui si presentano i segni di un deterioramento cognitivo, in 4 passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà d’ora in poi arrivare a individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse.  Si tratta di linee guida che “nascono dall’esigenza di avere indicazioni condivise, internazionali e ben documentate ma soprattutto centrate sulla presentazione clinica dei sintomi, sul paziente anziché sulla malattia”, spiega Flavio Nobili. Co-coordinatore dello studio e professore di Neurologia all’Università di Genova-IRCCS Ospedale Policlinico San Martino.
Foto di Compare Fibre su Unsplash

Esami-salute

Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l’Alzheimer oppure un’altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi. Per districarsi fra le tante cause e arrivare a una diagnosi, oltre ai test cognitivi oggi esistono molti esami strumentali, dalla Tac, alla risonanza magnetica, all’esame del liquor, il liquido cerebrospinale. Per ciascuna metodica esistono linee guida e ambiti di applicazione a seconda delle diverse malattie, ma quando il neurologo ha di fronte per la prima volta il paziente non sa ancora di che patologia soffra. Perciò è difficile utilizzare linee guida pensate per individuare l’una o l’altra patologia. Ecco perché serviva costruire raccomandazioni basate principalmente sul sintomo e non sulla malattia. Lo studio pubblicato su The Lancet Neurology è il risultato del lavoro di 22 esperti internazionali afferenti alle 11 maggiori Società Scientifiche europee nel campo della neurologia, psicogeriatria, radiologia e medicina nucleare. Nell’arco di circa tre anni, con la supervisione di sei ulteriori esperti dell’argomento riconosciuti a livello internazionale e con il supporto di un rappresentante dell’Associazione dei pazienti e dei loro familiari Alzheimer Europe, sono state condivise e approvate raccomandazioni sui percorsi diagnostici da intraprendere in persone con segni di pre-demenza o demenza iniziale, basate sulla letteratura scientifica e l’esperienza clinica dei professionisti coinvolti.

Valutazione clinica

Dopo l’iniziale valutazione clinica, che è il punto di partenza essenziale, l’iter prevede altri tre passaggi. Il primo: attraverso l’analisi clinica dei sintomi, i test cognitivi, l’esame di alcuni parametri nel sangue (come vitamina B12 e folati), una risonanza magnetica o TAC e, in alcuni casi, l’uso dell’elettroencefalogramma, ciascun paziente viene riferito a una delle 11 diverse modalità di presentazione dei sintomi (per esempio, preminente disturbo di memoria, di linguaggio, delle funzioni esecutive, con o senza altri segni neurologici). Il secondo passaggio prevede per ciascuno degli 11 profili si procede secondo iter differenti che prevedono, a seconda dei casi, esami come PET, SPECT o l’esame del liquido cerebrospinale per la valutazione della presenza di marcatori come la proteina tau e la proteina beta-amiloide.

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