Fondamentale nella prevenzione il ruolo dell’innovazione. Le nuove nanoleghe sono il futuro per l’energia e la ricerca medica. Su questo l’Università di Padova guida un team di ricerca. Su “Nature Communications” i ricercatori indicano una nuova metodologia per individuare nanoleghe con proprietà ottiche innovative e applicazioni in diversi ambiti tecnologici. Lo studio si focalizza su una categoria di nanomateriali con proprietà ottiche particolarmente importanti e promettenti, perché ancora ampiamente inesplorate. Ovvero quella delle nanoparticelle metalliche composte da elementi diversi tra loro, dette nanoleghe. Il motivo per cui ci si aspetta così tanto da esse è facilmente intuibile guardando alla tavola periodica, che si compone di un centinaio di elementi chimici. Anche restringendo il campo a solo un terzo di questi elementi, e assumendo di avere solo leghe con due elementi in proporzione uguale, le combinazioni possibili per ottenere nanoleghe sono già centinaia. Se si considerano proporzioni diverse tra gli elementi, e tre elementi anziché due, il numero di combinazioni diventa rapidamente molto grande.
Contro l’Alzheimer
Trovare la nanolega giusta per una certa applicazione comunque, tra tutte quelle possibili, equivale di fatto a cercare un ago in un pagliaio. In futuro, le proprietà ottiche dei nanomateriali aiuteranno – da qui il valore della ricerca – a convertire la luce solare in energia o in prodotti chimici di alto valore, senza inquinare l’ambiente, ma anche a curare malattie come il cancro o l’Alzheimer, a diagnosticare le malattie stesse in anticipo, con costi bassi e accessibili a tutti fino a realizzare computer più veloci e meno energivori. Intano arriva una radicale modifica nell’approccio diagnostico. Ora c’è una nuova guida nel labirinto della diagnosi dei disturbi cognitivi e dell’Alzheimer. Le prime raccomandazioni intersocietarie europee sono state realizzate dagli esperti delle maggiori Società Scientifiche del settore. E coordinate da specialisti dell’Università di Genova-IRCCS Ospedale Policlinico San Martino. Dell’Università di Ginevra e dell’IRCCS Centro San Giovanni di Dio Fatebenefratelli di Brescia. Il percorso diagnostico, oltre ad analisi del sangue, test cognitivi, risonanza magnetica o TAC e in alcuni casi elettroencefalogramma che sono previsti nel primo step, cambia a seconda dei pazienti. E può includere o meno l’analisi di specifici marcatori nel liquido cerebrospinale, PET o SPECT di differenti tipologie, scintigrafie. In un prossimo futuro, quando a questi esami sarà verosimilmente possibile associare anche l’utilizzo di biomarcatori rilevabili nel sangue, l’iter previsto da queste nuove raccomandazioni potrebbe ridurre fino al 70% gli esami strumentali inutili per diagnosi precise, affidabili e tempestive.
Linee guida
Queste raccomandazioni consentiranno di arrivare prima e meglio a dare un nome al problema di chi manifesta i primi segni di un deterioramento cognitivo. Riconoscendo se si tratti di Alzheimer, come avviene in un caso su due, o di un’altra forma di demenza. Le raccomandazioni, appena pubblicate sulla prestigiosa rivista “The Lancet Neurology”, per la prima volta non sono centrate sulla malattia, ma sul paziente e i suoi sintomi. A partire da 11 diverse modalità con cui si presentano i segni di un deterioramento cognitivo, in 4 passi successivi e con test differenti a seconda del profilo del singolo paziente, si potrà d’ora in poi arrivare a individuare la patologia responsabile in tempi più rapidi e con minori sprechi di risorse. Si tratta di linee guida che “nascono dall’esigenza di avere indicazioni condivise, internazionali e ben documentate ma soprattutto centrate sulla presentazione clinica dei sintomi, sul paziente anziché sulla malattia”, spiega Flavio Nobili. Co-coordinatore dello studio e professore di Neurologia all’Università di Genova-IRCCS Ospedale Policlinico San Martino.
Esami-salute
Il paziente con un deficit cognitivo iniziale ha circa il 50% di probabilità di avere l’Alzheimer oppure un’altra delle varie patologie che causano disturbi neurocognitivi. Per districarsi fra le tante cause e arrivare a una diagnosi, oltre ai test cognitivi oggi esistono molti esami strumentali, dalla Tac, alla risonanza magnetica, all’esame del liquor, il liquido cerebrospinale. Per ciascuna metodica esistono linee guida e ambiti di applicazione a seconda delle diverse malattie, ma quando il neurologo ha di fronte per la prima volta il paziente non sa ancora di che patologia soffra. Perciò è difficile utilizzare linee guida pensate per individuare l’una o l’altra patologia. Ecco perché serviva costruire raccomandazioni basate principalmente sul sintomo e non sulla malattia. Lo studio pubblicato su The Lancet Neurology è il risultato del lavoro di 22 esperti internazionali afferenti alle 11 maggiori Società Scientifiche europee nel campo della neurologia, psicogeriatria, radiologia e medicina nucleare. Nell’arco di circa tre anni, con la supervisione di sei ulteriori esperti dell’argomento riconosciuti a livello internazionale e con il supporto di un rappresentante dell’Associazione dei pazienti e dei loro familiari Alzheimer Europe, sono state condivise e approvate raccomandazioni sui percorsi diagnostici da intraprendere in persone con segni di pre-demenza o demenza iniziale, basate sulla letteratura scientifica e l’esperienza clinica dei professionisti coinvolti.
Valutazione clinica
Dopo l’iniziale valutazione clinica, che è il punto di partenza essenziale, l’iter prevede altri tre passaggi. Il primo: attraverso l’analisi clinica dei sintomi, i test cognitivi, l’esame di alcuni parametri nel sangue (come vitamina B12 e folati), una risonanza magnetica o TAC e, in alcuni casi, l’uso dell’elettroencefalogramma, ciascun paziente viene riferito a una delle 11 diverse modalità di presentazione dei sintomi (per esempio, preminente disturbo di memoria, di linguaggio, delle funzioni esecutive, con o senza altri segni neurologici). Il secondo passaggio prevede per ciascuno degli 11 profili si procede secondo iter differenti che prevedono, a seconda dei casi, esami come PET, SPECT o l’esame del liquido cerebrospinale per la valutazione della presenza di marcatori come la proteina tau e la proteina beta-amiloide.