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Sahel: l’Italia solidale in aiuto del Mali

Sono quasi 33 milioni le persone, tra cui molte donne e bambini, che hanno bisogno di protezione e assistenza salvavita nella regione subsahariana dell'Africa

Cooperazione italiana in soccorso al Sahel. Sono quasi 33 milioni le persone, tra cui molte donne e bambini, che hanno bisogno di protezione e assistenza salvavita nel Sahel, la regione subsahariana dell’Africa. A lanciare l’allarme è l’Uffico per la coordinazione degli affari umanitari dell’Onu. Nel suo report sull’emergenza umanitaria, l’agenzia sottolinea lo stato di gravità nella regione del Liptako Gourma, che riguarda Burkina Faso, Mali e Niger, e il bacino del Lago Chad, che interessa Camerun, Chad, Nigeria e Niger. La violenza crescente dei conflitti in corso nell’area, continua l’agenzia Onu, sta costringendo milioni di famiglie a lasciare le proprie abitazioni. Circa 2,2 milioni di bambini non possono più andare a scuola. Più di 1300 centri di assistenza medica sono chiusi. La regione ospita due milioni di rifugiati e richiedenti asilo, e 5,6 milioni di persone che sono migrate internamente, anche più di una volta. L’Onu ha ricordato che servono 4,7 miliardi di dollari per sostenere 21 milioni di persone che si trovano in Burkina Faso, nella regione nord del Camerun, in Chad, Mali, Nigeria, e negli stati nigeriani di Adamawa, Borno e Yobe

Sahel
Foto di Allen Meki su Unsplash

Campagna Sahel

L’ Italia è impegnata a sostenere i diritti delle donne e dell’infanzia in Mali. Con oltre 350 mila euro di aiuti alimentari e un progetto di prevenzione. L’ambasciatore d’Italia in Mali, Stefano A. Dejak, ha incontrato la ministra della promozione delle donne, l’infanzia e la famiglia del governo del Mali, Coulibaly Mariam Maiga. L’occasione è stata offerta proprio dalla donazione di 350.000 euro di aiuti alimentari d’emergenza ad un grande orfanotrofio di Bamako. E dal lancio della seconda fase di rifinanziamento biennale (pari ad un contributo italiano di due milioni di euro) del progetto di prevenzione e gestione delle violenze di genere. Questo progetto, avviato nel 2019, riguarda quattro milioni di donne e ragazze maliane in età riproduttiva. E’ attivo, grazie a precedenti contributi italiani, nelle città maliane di Bamako, Mopti, Sikasso e Segou. E ha permesso di costituire degli appositi centri di assistenza che costituiscono esempi di eccellenza nell’assistenza alla salute riproduttiva, i diritti delle donne ed il contrasto alle violenze di genere. La ministra Maiga ha manifestato il più vivo apprezzamento del governo del Mali per il sostegno assicurato dal governo italiano in tali settori critici. E soprattutto a supporto delle categorie più esposte e deboli della società maliana. Si è congratulata con l’Italia che, dopo la recente apertura dell’ambasciata a Bamako, sta dimostrando di sviluppare sempre più importanti relazioni con il Mali.

Sahel
Foto di Tucker Tangeman su Unsplash

Sostegno

Si tratta di un dialogo fruttuoso che si è concretizzato in risultati in più settori. Dalle relazioni commerciali ed il sostegno alla creazione di posti di lavoro nell’agricoltura di esportazione. Alla fruizione di acqua potabile. E al sostegno alle donne ed all’infanzia. L’ambasciatore Dejak ha sottolineato come: “l’Italia, grazie anche all’apporto dell’Aics, attribuisce alta priorità alla persona e alla promozione dei suoi diritti. In questa prospettiva il Governo italiano ha deciso di sostenere gli ultimi interventi a favore delle donne e dell’infanzia maliana”. Il quadro geopolitico nell’area è complesso. La stessa definizione del Sahel come area geografica, evidenzia l’Onu, è ancora ampiamente dibattuta. Comunemente si ritiene che sia limitato all’Africa occidentale. Comprendendo Niger, Mali, Guinea, Burkina Faso, Nigeria e Ciad. Nella sua definizione più ampia è dimora per oltre 300 milioni di persone, di cui oltre il 70% vive in zone rurali. La regione ha subito una forte pressione demografica. Con una densità di popolazione che è aumentata di oltre il 65% tra il 1970 e il 2010. Si stima che i cinque dei paesi più popolosi della regione dovrebbero raddoppiare la loro popolazione da 80 milioni nel 2018 a 160 milioni nel 2040. Circa la metà di questa numerosa popolazione trae il proprio reddito da agricoltura, pastorizia o pesca. Il Sahel è complessivamente una regione povera. L’80% delle persone vive con meno di 1,90 dollari al giorno.

Sahel
Foto di Grant Durr su Unsplash

Choc climatici

In un tale contesto, gli choc climatici possono avere un impatto enorme sulla vita e sui mezzi di sussistenza delle persone. La vulnerabilità climatica del Sahel si traduce in variazioni di temperatura e precipitazioni che hanno come conseguenza sempre più frequenti calamità. Una grave siccità si è registrata nel 2010 quando l’estremo calore ha distrutto i raccolti: la carestia che ne è seguita ha colpito oltre 350.000 persone, mettendone altri 1,2 milioni a rischio fame. Contemporaneamente, anche le forti piogge si sono intensificate, causando inondazioni improvvise che hanno colpito principalmente Burkina Faso, Niger, Nigeria, Ghana, Benin e Togo. Le proiezioni suggeriscono che l’intera area vedrà un aumento di circa 2,5-4 gradi entro il 2100. Un tale sviluppo supererebbe le soglie per evitare un evento climatico irreversibile. Colpendo una regione dove la popolazione è fortemente dipendente dalle attività agricole e ha un accesso limitato a fonti di reddito alternative. Condizioni ambientali progressivamente più complesse hanno causato ingenti movimenti migratori nella regione che è diventata il più importante punto di transito verso Nord. Dall’Africa Sahariana al Nord Africa e attraverso il Mediterraneo all’Europa.

Sahel
Foto di Alexandra_Koch da Pixabay

Porta d’ingresso

Dal punto di vista europeo, il Sahel è diventato la principale porta d’ingresso della migrazione irregolare. Il crescente volume di persone in transito ha causato la proliferazione di reti di trafficanti. Esponendo i migranti a numerosi rischi. I movimenti transcontinentali sono in aumento. Invece la migrazione rimane principalmente intra regionale. Con oltre il 90% di persone che si spostano all’interno del Sahel. La dinamica di sfide cumulative tra clima e sicurezza, unitamente alla pressione demografica, ha nel tempo creato terreno fertile per i gruppi armati non statali. In questo modo è stato capitalizzato il malcontento. Soffiando sulle divisioni etniche e regionali nella loro lotta per il controllo del territorio. Un primo esempio sono gli attacchi jihadisti di Boko Haram nello Stato di Borno, in Nigeria, o gli islamisti militanti di Ansar al-Din in Mali. L’interconnessione tra clima, mobilità, fragilità e rischi per la sicurezza è palesemente riscontrabile – riporta lo studio IAI –  nel bacino del lago Ciad. Gli eventi climatici e l’uso eccessivo delle risorse hanno fatto sì che il bacino si riducesse considerevolmente. Perdendo oltre il 90% della sua estensione.

Africa
Foto di Hans Eiskonen su Unsplash

Allarme Iai

Con la diminuzione delle risorse, i pastori, dipendenti dai pascoli per la loro sopravvivenza, si sono spostati in aree con migliori opportunità ma storicamente utilizzate dagli agricoltori. Creando così una competizione per la terra e gravi fratture etniche, tribali e religiose. La sicurezza umana nel Sahel è fortemente correlata all’incertezza alimentare. Una situazione aggravata da eventi climatici imprevedibili e dalla diminuzione delle risorse. “Il nesso è chiaro- avverte l’Istituto affari internazionali-. L’instabilità dei mezzi di sussistenza è causata dall’impatto distruttivo degli shock climatici. E il loro effetto duraturo sull’economia si sovrappongono alle criticità legate ai conflitti e alle tensioni intercomunitarie”.

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