Il cibo non è solo una necessità, ma un’occasione fondamentale di scambio tra culture, tradizioni e inclusione sociale delle persone con fragilità. In tutta Europa, il numero di esempi di inclusione attraverso il cibo sta crescendo, con l’obiettivo di costruire processi sostenibili di opportunità lavorative, creazione di relazioni e opportunità di crescita sociale ed economica. Uno di questi esempi è quello attuato a Caltanissetta dalla cooperativa sociale Etnos con il progetto “N’Arancina Speciale”. La cooperativa si occupa di accoglienza di donne vittime di violenza, di minori stranieri non accompagnati; promuove inclusione lavorativa per persone con disabilità ed ex detenuti. Interris.it, in merito a questo progetto, ha intervistato Fabio Ruvolo, presidente di questa realtà.
L’intervista
Come nasce e che obiettivi si pone il progetto “N’Arancina Speciale”?
“Il progetto ‘N’Arancina Speciale’ è l’affermazione del principio fondamentale della nostra attività sociale, ovvero dimostrare che, il lavoro, è anche cura. In particolare, grazie all’opportunità che stiamo dando ad alcuni ragazzi con disabilità, minori stranieri non accompagnati che stanno facendo un percorso di tirocinio e donne che hanno subito violenza, grazie al lavoro, stanno riconquistando la propria dimensione e dignità sociale. Soprattutto, un elemento chiave, è costituito dal fatto che, le persone con disabilità vengono riconosciuti dal nome e dal proprio lavoro e non per il tipo di patologia che hanno. Ciò rappresenta il principio fondamentale della nostra azione.”
In che modo, attraverso il vostro progetto, riuscite a coniugare l’inclusione lavorativa di persone con fragilità e la valorizzazione delle eccellenze enogastronomiche del territorio?
“Abbiamo condiviso questa ricerca perché volevamo individuare un prodotto simbolo della Sicilia e, nel contempo, rappresentare il concetto del cibo che unisce. Da lì nasce il modello di ‘N’arancina Speciale’, la cui lettera n richiama l’origine araba del prodotto che, al suo interno, contiene ingredienti di qualità scelti grazie anche al supporto di Coldiretti e Slow Food. Ciò è coniugato attraverso la preparazione, effettuata secondo le tradizioni antiche, di una ricetta che viene tramandata di generazione in generazione. L’unico aspetto che non siamo ancora riusciti a risolvere e per cui mi auguro che troveremo una soluzione è legato al nome. Ciò perché, nell’area occidentale della Sicilia, si chiama ‘arancina’, in quella orientale, nella zona del catanese ‘arancino’. Quindi, nel momento in cui ci capitano queste situazioni particolari, togliamo l’ultima lettera dal nome facendolo così diventare ‘arancin’.”
Quali sono i vostri auspici per il futuro in riguardo allo sviluppo del progetto?
“Mi auguro che, il nostro progetto, possa diventare testimonianza, soprattutto per una terra come la nostra dove la cultura economica e sociale sono in fase di costruzione. Spero che ‘N’Arancina Speciale’ possa trovare, in tante regioni d’Italia, diversi partner, nell’ottica di dare ulteriore valore al nostro progetto attraverso una commercializzazione sui singoli territori creando inclusione nell’inclusione. Noi ci mettiamo a disposizione per fare formazione e creare tutti i canali possibili, per far sì che, il nostro prodotto, possa arrivare dappertutto e parlare in ogni luogo il linguaggio dell’inclusione, del riscatto e della dignità di ogni essere umano. Questa è la nostra ambizione più grande, non certamente quella dell’arricchimento. Tutto ciò che andiamo a creare in termini di ricchezza lo reinvestiamo in nuove attività produttive con queste finalità.”