Il calcio, come è ampiamente risaputo, è uno sport universale. E in quanto gioco di squadra è momento di condivisione e affratellamento, sia tra i compagni che tra gli avversari sul rettangolo verde. L’universalità e la capacità aggregativa del calcio lo rendono, nonostante i molti problemi che affliggono il mondo del professionismo (e a scendere di categoria), un reale vettore di incontro. Un gioco arrivato tra i dipendenti vaticani, anche se “diversi sacerdoti hanno giocato con noi” spiega a Interris.it nell’intervista che segue Domenico Ruggiero, il presidente dell’Associazione sportiva dilettantistica Sport in Vaticano. Cinque decenni fa infatti è stato dato il calcio d’inizio al campionato di calcio vaticano, la cui vittoria è contesa dalle diverse squadre che rappresentano i vari dicasteri e uffici dello Stato, i Musei vaticani, le Poste vaticane, i Servizi tecnici, i Servizi economici, la Radio vaticana, il Governatorato, l’Osservatore romano, la Guardia svizzera, la Gendarmeria vaticana, la Biblioteca apostolica vaticana.
La storia
Nel secondo dopoguerra, si fa risalire al 13 aprile 1946 una partita amichevole tra impiegati, seguita l’hanno successivo dal primo torneo, un quadrangolare tra dipendenti vaticani, la cui finale fu tra le squadre di Ville pontificie e Fabbrica di San Pietro. Bisogna poi fare un salto temporale in avanti di 19 anni per assistere alla nascita della prima squadra di calcio vaticana, la Hermes Musei Vaticani, nata il 6 giugno 1966. Formata da custodi, restauratori e inservienti dei Musei Vaticani, prese il cui nome dalla copia della statua di Prassitele raffigurante Hermes, posta nel Cortile Ottagono del Museo Pio-Clementino. Nel 1968 venne fondata la squadra della Gendarmeria, nel 1969 le squadre della Fabbrica di San Pietro, l’Ariete A.P.S.A. (Amministrazione Patrimonio Sede Apostolica) e l’Hercules Biblioteca, che si sfidarono nel Torneo Hermes. Nel 1972 Sergio Valci, capoufficio del Fondo assistenza sanitaria, poi presidente per quarant’anni dell’Attività calcistica dei dipendenti vaticani, sostenuto dall’allora presidente della Pontificia Commissione per lo Stato della Città del Vaticano, organizzò il primo campionato di calcio vaticano, che prese il nome di Coppa dell’Amicizia. Vi parteciparono sette squadre e la vincente fu l’Astor Osservatore Romano. Dal 1985 si è aggiunta disputa inoltre la Coppa vaticana – oggi si chiama “Coppa Sergio Valci” – e dal 2007 anche la Supercoppa vaticana, per cui si sfidano le squadre vincitrici di coppa e campionato. Oggi il campionato vaticano di calcio è un torneo nazionale tra squadre della Città del Vaticano, sotto l’egida dell’Asd Sport in Vaticano, e le partite si disputano sul vicino campo nel complesso sportivo “Cardinale Francis Spellman” dell’Oratorio di San Pietro. Nel 2015, per permettere l’entrata nell’organizzazione ad altre discipline sportive, l’attività cambia nuovamente nome in “Associazione Sportiva Dilettantistica – Sport in Vaticano”, lasciando la denominazione precedente al solo settore calcistico.
L’intervista
Presidente, quest’anno festeggiate il traguardo dei 50 anni. Com’è nata l’idea di portare il calcio tra le mura vaticane?
“L’idea venne per primi ai custodi dei Musei vaticani a metà anni Sessanta. Da appassionati di calcio, pensarono di formare una squadra per passare del tempo libero con del sano divertimento. A metà del 1966 cominciarono a sfidare anche realtà esterne, poi a fine decennio è nato il campionato. Il cardinale Guerri, felice del fatto che i dipendenti potessero aggregarsi anche al di fuori delle ore di lavoro, incaricò Sergio Valci di organizzare il torneo in maniera più strutturata: l’1 marzo 1972 venne istituzionalizzata questa associazione sportiva e nell’ottobre di quell’anno si disputò il primo campionato vaticano a sette squadre. Quell’edizione fu vinta dall’Osservatore romano. Nel tempo le squadre aumentarono fino a 12, arrivando fino a 16, per poi stabilizzarsi sulle 8-10 l’anno. Diversi sacerdoti hanno giocato con noi, anche se la maggior parte sono i dipendenti vaticani, perché questa iniziativa è nata per favorire l’incontro tra loro e anche le famiglie, al di fuori dell’orario di lavoro”.
Ci può fare un ritratto della figura di Sergio Valci?
“Era capoufficio del Fondo di assistenza sanitaria, una persona disponibile, gentile e generosa. Un appassionato di calcio, sempre presente. Questa realtà era la sua importantissima creatura”.
Cinque decenni sono una lunga storia: quali episodi ha piacere di ricordare?
“Nel 1974 è nata la rappresentativa per disputare le partite all’esterno del Vaticano, per la maggior parte si tratta di iniziative a scopo benefico scopo o umanitario, anche in giro per l’Europa. C’è sempre un po’ di curiosità nei nostri riguardi, ma riceviamo ovunque un’ottima accoglienza e in campo lo spirito è quello ‘giusto’. Il sano agonismo è un ottimo collante per l’aggregazione. Siamo stati anche in Germania, Moenchegladbach, a disputare una partita per l’ospedale pediatrico cittadino, e a Wittemberg, e in entrambe le occasioni abbiamo donato le coroncine del rosario del Santo Padre ai bambini e ai loro genitori. La trasferta a Wittemberg era nata nel 2015, quando ci contattarono per chiederci di partecipare a una partita nel corso del processo di riavvicinamento tra le confessioni protestante e cattolica, perché nel 2017 ricorrevano i 500 anni delle 95 tesi di Martin Lutero. Dopo la gara, il sindaco di Wittemberg ci ha scritto che alcuni bambini presenti all’evento erano rimasti senza coroncina del Papa ed erano tristi, e ci chiedeva se potevamo mandargliene altre. Cosa che abbiamo fatto”.
La vostra associazione si è aperta al calcio femminile. Come va questa parte di questa “avventura” sportiva?
“La nostra rappresentativa femminile ottiene riscontri positivi, anche se non abbiamo ancora un numero di squadre sufficiente per un campionato femminile. Abbiamo fatto tornei all’interno delle istituzioni cattoliche, siamo andati nel Nord Italia, a Desio, per una partita di beneficienza a favore di una onlus che assiste donne afgane rifugiate in Italia, a Biella per un incontro a sfondo benefico con una squadra di ex professioniste, ad Assisi per un’associazione che si occupa di protezione delle donne vittime di stalking”.
Lo sport funziona effettivamente come strumento d’incontro?
“Sì, altrimenti questa realtà non sarebbe durata cinquant’anni. Con l’attività post lavorativa, il rapporto tra colleghi di lavoro diventa amicizia e questo porta una maggior intesa anche sul luogo di lavoro. Stai a contatto con gli altri con spirito di vera fratellanza, chi ti sta di fianco è come un fratello”.
Una piccola curiosità calcistica: qual è la squadra che ha vinto più trofei?
“La squadra più vincente è quella dei musei, anche perché è quella che ha sempre partecipato. Alcuni anni fa il Messaggero l’aveva definita la ‘Juventus di Oltretevere’”.