Il rugby femminile come via di emancipazione della donna

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Avreste mai pensato al rugby, quello sport in cui si gioca con una palla ovale, si fanno strani passaggi solo all’indietro e che durante il gioco, ogni tanto ci si accalca tutti in quella che viene definita “mischia”, come uno strumento di emancipazione femminile? Probabilmente no. E vi sbagliate.

Ne parliamo con Erika Morri, ex Azzurra con 2 Coppe del Mondo, 7 campionati europei, 12 anni in azzurro su 20 giocati, allenatrice e negli ultimi 5 anni consigliera nazionale della Federazione Italiana Rugby. Oltre a questo, è anche formatrice, dirigente sportiva e artista.

Grazie al ruolo di consigliere nazionale nella Federazione Italiana Rugby nello scorso quadriennio olimpico, Erika ha vissuto anche l’esperienza internazionale della commissione per lo sviluppo del rugby femminile di Rugby Europe per promuovere uno sport erroneamente (e culturalmente) visto come violento e prettamente maschile.

“Ma questo è solo un pregiudizio – spiega Erika – perché il rugby è davvero uno sport per tutti. La cosa che mi ha colpito e affascinato nei miei anni di militanza sia sul campo, sia come dirigente sportiva, è scoprire come il rugby femminile è vissuto nel resto del mondo. Ci sono Paesi in cui la donna non ha un ruolo sociale come l’India o l’Uganda e persino nelle Filippine e nella Repubblica di Trinidad e Tobago, dove per la prima volta in entrambe le nazioni una donna è stata eletta presidente della Federazione di Rugby”.

Cosa attrae le ragazze a uno sport come il rugby nei Paesi in via di sviluppo, in particolare?

“In India il Presidente della Federazione Rugby mi ha riferito che hanno qualcosa come 30.000 tesserate; ragazze che se da un lato hanno una preparazione tecnica molto scarsa, dall’altro hanno una determinazione altissima. Le ragazze rugbiste indiane vivono ancora in paesi spesso senza elettricità e devono percorrere tanti km a piedi per raggiungere il luogo degli allenamenti. Mancano inoltre le strutture per il gioco. Ma il rugby dà loro anche grandi soddisfazioni ed una ‘via’ per l’emancipazione! Una giocatrice nella nazionale, dopo essere rientrata dal Torneo internazionale di Hong Kong, è stata invitata al ‘tavolo degli anziani’ del suo piccolo villaggio, come segno di rispetto ed onore per aver rappresentato il suo paese, partecipazione impossibile per una donna sino a quel momento”.

Foto di Caroline Léna Becker –
2014 Women’s Six Nations Championship ‒ 9 febbraio 2014, Stade Ernest Argeles. Incontro tra: France women’s national rugby union team e Italy women’s national rugby union team

Qual’è il valore educativo del rugby per i giovani?

“La cosa in cui credo fermamente, oltre alla validità degli aspetti tecnici e alla fondamentale esperienza del gioco di squadra, è il rispetto per l’avversario, che significa rispetto per se stessi. In particolare pensando alle ragazze, specialmente in culture dove l’indipendenza femminile è assolutamente qualcosa di sconosciuto. Rispetto e libertà di esprimere se stesse. Il rugby ti supporta in questo, sfidandoti, mettendoti alla prova, insegnandoti a perdere guardando cosa ha fatto meglio di te chi ha vinto”.

Ora Erika oltre a progetti sul rugby giovanili sta lavorando ad un progetto internazionale che si chiama “WOMEN’S RUGBY LAND OF FREEDOM”

In che cosa consiste il progetto?

“Si tratta di un progetto di visibilità per il rugby al femminile di tutto il mondo: una serie di interviste a donne ed a uomini che vivono e supportano il settore femminile e che hanno fatto del rugby la propria strada di crescita ed emancipazione, interviste che diventeranno poi una pubblicazione per far conoscere e promuovere il movimento del rugby al femminile nel mondo”.

Se potessimo dire che il rugby al femminile ci dice qualcosa sulla condizione della donna in un Paese (pregiudizi, libertà, cultura), qual è la situazione del rugby femminile in Europa?

“La situazione è differente da Paese a Paese. Ci sono nazioni dove le squadre femminili sono fortissime e sopravanzano di gran lunga quelle maschili: è il caso della Spagna, con le fortissime Leonas. Oppure paradossale è la situazione del Galles, dove all’opposto le donne non sono accettate dai club maschili e hanno costituito dei club multisport a parte, una sorta di polisportive dove poter giocare. E poi c’è la Francia, dove nelle accademie di formazione (l’alto livello giovanile) si allenano sia maschi che femmine, in quanto hanno studiato che essendo le ragazze molto competitive e focalizzate sugli allenamenti rispetto ai pari età, i maschi sono molto più spronati ad impegnarsi per non essere da meno”.

Le giovanissime rugbyste del Rugby Perugia Junior

E in Italia?

“L’Italia ha una nazionale di rugby femminile di alto valore tecnico, ma – a differenza di quella maschile – le atlete non sono professioniste, ovvero non vengono retribuite per giocare. Solo alcune di esse, da alcuni mesi, possono beneficiare di una piccola borsa lavoro. Basti dire che solo il 19% dei club rugbistici ha squadre femminili e molto ancora si deve fare per promuovere questa arricchente disciplina tra le bambine e le ragazze. Va detto che nel nostro Paese, in base ai numeri, le ragazze che fanno sport sono meno e smettono prima l’attività. Questa tendenza va cambiata in generale, non solo per una questione di benessere e di salute, ma anche per la “costruzione dell’autostima delle nostre future donne”… Prima donne e poi sportive.

Lo sport in generale ed il rugby in particolare concorrono a un mindset e ad una attitudine importantissimi per il futuro anche lavorativo. Basti dire che spesso le aziende preferiscono avere tra i propri collaboratori degli sportivi! In Giappone le aziende sono addirittura sponsor delle squadre, per poi così poter scegliere ed assumere i migliori “talenti”nelle loro aziende”.

La Nazionale femminile di rugby

Che cosa si può fare, concretamente, per promuovere i valori del rugby tra le ragazze e abbattere i pregiudizi che vedono questa disciplina come uno sport maschile, in Italia?

“Per mia parte, sto promuovendo un lavoro sulla diversità pensato per i ragazzi delle scuole medie, per far entrare il rugby considerandolo prima come strumento di socializzazione sana e poi come sport.

Questa idea ha dato origine al progetto ‘Quando io valgo tu vali: rugby ed arte contro il bullismo’. Si crea una competizione nella quale la classe si confronta su due prove totalmente diverse come il rugby tag e la creazione di una installazione artistica ed attraverso questo confronto di ‘attitudini e capacità’, si vuole far capire ai ragazzi e alle ragazze che la diversità è un valore e va accolta ed apprezzata.

Ribadisco che Il rugby è prima di tutto un strumento di socializzazione e poi uno sport.

Con il Covid il progetto – ch’è patrocinato anche dal Ministero della Difesa oltre che da altre istituzioni – ha subito una battuta d’arresto (stavamo lavorando con il Ministero della Pubblica istruzione affinché potesse essere messo in atto su 12.000 alunni in Emilia Romagna), ma siamo riusciti a sperimentarlo in Veneto, nella Scuola “Cappelletti Turco” di Colognola ai Colli (VR), dove abbiamo lavorato insieme con tutto il corpo docente.

Il cammino da fare sull’armonizzazione delle diversità e sulla considerazione che uno sport venga interpretato da atleti e non da uomini o donne è ancora lungo, ma con la tenacia e la determinazione delle ragazze che vediamo in campo tutti i giorni e l’aiuto di tanti rugbisti che condividono con noi questo amore, le strade non potranno che aprirsi”.

Qual è il tuo motto o la tua frase di sintesi?

“Come formatrice aziendale che usa il rugby quale strumento per migliorare i team in azienda, ho come claim ‘GIOCANDO SI PENSA CON LE MANI’. E ci tengo a sottolineare che il rugby al femminile non è solo per ragazze! Anche le donne che hanno voglia di fare attività fisica e soprattutto di provare il piacere di far parte di una squadra possono avvicinarsi al nostro sport a diverse intensità. Infatti oltre ad i campionati agonistici, ci sono gli amatoriali: il campionato old per donne over 35 che hanno cominciato da adulte o per chi invece vuole avere il piacere di mantenersi in forma divertendosi… i tornei di rugby touch, dove al fisico placcaggio… si è sostituito il tocco a 2 mani. Il tutto cementato dalla gioia di vivere una socialità sana e di #sisterhood. I tornei al tocco sono principalmente misti, per cui uomini e donne insieme ancora una volta uniti in un momento scarica-stress divertente ed energizzante… e tu, hai mai avuto una squadra!?
Ragazze… vi aspettiamo al campo!”.

 

Mariangela Musolino: