Secondo gli ultimi dati disponibili, la povertà assoluta in Italia è ai massimi storici, tocca 1,9 milioni di famiglie e 5,6 milioni di persone, tra cui 1,4 milioni di minori. Il tasso di inflazione sta accelerando sempre di più perché aumentano i prezzi dei beni di prima necessità e i costi dei mutui per le famiglie. La crisi economica post pandemica e la guerra in Ucraina stanno acuendo la già difficile situazione, attraverso aumenti dei costi per gli approvvigionamenti energetici i quali, con l’inizio dell’autunno, rischiano di riversarsi su coloro che già versano in condizione di sofferenza economica e sociale. Interris.it, in merito a questi temi ed alle misure di protezione da attuare per proteggere le fasce più deboli della popolazione, ha intervistato il professor Roberto Rossini, portavoce dell’Alleanza contro la povertà in Italia.
L’intervista
Professore, cosa ci dicono i dati riguardo all’attuale situazione sociale ed economica italiana? Che valutazione si sente di fare a riguardo?
“I dati sono chiari e preoccupanti. Abbiamo un’inflazione che registra una crescita dell’8% su base annua. Un tasso di disoccupazione di poco superiore all’8%. Quest’ultimo potrebbe essere un dato positivo perché è in decrescita, però stiamo parlando di persone in carne ed ossa e quindi il dato in sé non è basso. Inoltre, il problema è che il tasso di disoccupazione continua ad essere alto tra i giovani, stiamo parlando di un giovane su cinque senza lavoro. Sostanzialmente abbiamo una situazione economica che, per questi indicatori, mostra fragilità. Tenuto conto che la pandemia da Covid-19 non sta terminando e lo stesso vale per la guerra in Ucraina, le conseguenze di natura umana, economica e finanziaria che ciò porta con sé saranno sempre più pesanti. E dunque ci troviamo di fronte a una situazione economica che nell’autunno sarà preoccupante. Anche i dati sulla povertà dimostrano che la questione è grave, che va presa molto seriamente. La politica, diversamente da quello che sta accadendo in questi giorni, si deve assumere una piena responsabilità”.
Quali misure economiche sarebbero necessarie per tutelare le famiglie e le persone che attualmente si trovano in condizione di fragilità economica?
“Innanzitutto, bisogna fare un’opera di sostegno al reddito. In una fase economica così complicata non basta il mercato, serve l’intervento delle istituzioni pubbliche, che siano lo Stato, le Regioni o gli Enti Locali, occorre che ci sia un sostegno al reddito. Forse bisognerebbe nuovamente parlare di un tema che sembrava dimenticato ma che ora ritorna di attualità, ossia la redistribuzione dei redditi. Faccio presente che, in Italia, abbiamo anche un’evasione fiscale spaventosamente elevata. I dati in merito ci dicono che, dal 2016 al 2018, lo Stato ha incassato in media oltre 94 miliardi di euro di imposte in meno ogni anno. Ciò è, per un terzo, costituito dall’Irpef e, per un altro terzo, dipendente dall’IVA. Dobbiamo riprendere a parlare di redistribuzione dei redditi, cioè di politiche fiscali più eque, altrimenti non si riesce a finanziare il welfare. Tutte le indagini che abbiamo letto dicono che aumenta la diseguaglianza, cioè la distanza tra il numero di coloro che aumentano i loro redditi e coloro che lo vedono diminuire, allora il welfare è decisivo, se è un welfare inclusivo, capace di re-inserire le persone nel contesto sociale”.
Le attuali misure di sostegno al reddito, come ad esempio il Reddito di Cittadinanza, sono in linea con il tempo attuale oppure dovrebbero essere riformate?
“La risposta è complessa. Il Reddito di Cittadinanza va riformato, certamente. Il sussidio si è dimostrato importante ma con alcune distorsioni. L’Alleanza contro la Povertà ha fatto ben otto proposte per riformare tale provvedimento. Attendiamo la Legge di Bilancio, quindi ottobre, per riproporre le nostre idee. Dall’altra parte invece, dobbiamo prendere atto che, dato l’alto tasso di inflazione, il sussidio in sé non sarà sufficiente e bisognerà aumentarlo. In Italia percepiscono il Reddito di Cittadinanza circa tre milioni e mezzo di cittadini e l’ISTAT ci dice che i poveri nel Paese, sono circa cinque milioni e mezzo. Dunque, ci sono circa due milioni di persone le quali, a ottobre, di fronte alla crisi energetica, saranno ancora più scoperte. La situazione sociale è grave, bisogna prenderne atto”.
In che modo e con quali misure bisognerebbe riequilibrare il sistema economico e sociale italiano per arginare le nuove povertà che questo periodo storico sta facendo emergere? Quali sono i suoi auspici per il futuro in merito?
“Certamente c’è un problema di welfare locale che va rafforzato. Il Reddito di Cittadinanza è importante ma non è sufficiente per intervenire sulle questioni legate alla povertà. Non basta un trasferimento di denaro. Il tema della povertà si cura non solo partendo dalle conseguenze, ma cercando di eliminare le cause. Ciò significa che bisogna disporre di un sistema di welfare capace di interventi sulle cause della stessa, le quali possono essere legate alla salute, piuttosto che al tema del lavoro o all’ambito familiare o socioeducativo. Sono diverse le ragioni per cui le persone cadono in povertà e bisogna quindi disporre di un welfare potente, in grado di intervenire in maniera precisa. C’è anche una questione di omogeneità, perché l’Italia è davvero molto lunga e diversa e il welfare è estremamente diseguale nelle diverse aree geografiche tra sud a nord. Vi sono Comuni in cui il welfare è efficiente e altri in cui è deficitario. L’omogeneità della qualità e della prestazione è molto importante, sta alla base degli interventi di tutela e chiaramente ha un costo finanziario ma anche politico. C’è anche una questione di impostazione culturale: spesso si ritiene ragionevole riflettere sul fatto che prima occorre pensare allo sviluppo e poi a strutturare il welfare per curare chi resta indietro. Invece non c’è un prima e un dopo: sviluppo economico e sviluppo del welfare devono correre alla stessa velocità e non in senso inverso, in file parallele. Serve una politica parallela”.