Il rischio tsunami della terapia intensiva

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“La salita c’è, anche se è più graduale. Oggi quasi 27.000 casi, di questi il 10% finirà in ospedale e solo una parte può finire in stato critico e quindi in terapia intensiva o subintensiva. 200 casi oggi e 200 domani facciamo subito 1000 perché comunque il rischio di un sovraffollamento c’è”. Così il Professore Giorgio Berlot Primario di Anestesia e Rianimazione dell’ospedale di Trieste descrive ad Interris.it la situazione attuale che si sta vivendo nell’ambiente ospedaliero in epoca covid.

Quali sono i numeri dei casi covid che presentate nel vostro ospedale in questo momento?
“A Trieste per il momento non possiamo lamentarci perché riusciamo a gestire tranquillamente ii casi che si presentano. I nostri pazienti in questo momento sono indigeni. Nel senso che sono stranieri residenti in Friuli Venezia Giulia oppure persone del Friuli Venezia Giulia, noi ovviamente abbiamo disponibilità per tutti. In Slovenia sono già sopraffatti. Il problema lì è dove mettere i pazienti”.

Come state gestendo i reparti per le altre malattie?
“Per quanto riguarda le altre malattie in questo momento abbiamo limitato alcune sale operatorie, meno che in primavera ma abbiamo comunque cercato di garantire l’attività chirurgica ai pazienti con patologie neoplastiche gravi. Non dimentichiamoci che i pazienti critici non son mica solo pazienti covid, c’è tutto un ventaglio di prospetto delle possibilità. Noi in questo momento stiamo giocando su due tavoli e stiamo tenendo. Ormai siamo nel pieno della seconda ondata sul piano non solo italiano, ma soprattutto europeo, continuo però a sperare che entro il 2021 questo virus scomparirà. Ricordiamo che la spagnola ebbe un primo piccolo nell’estate del 1918, una seconda curva molto più pesante nell’autunno ed inverno 1918/1919, per poi finire dopo la terza botta più tranquilla dell’estate 1919”.

Come salvarsi?
“Oggi bisogna avere rispetto. Basta poco per salvare se e gli altri. Abbiamo dimenticato che c’è un bene individuale e un bene collettivo e che il secondo ha prevalenza sul primo in questo momento. Punto. Non c’è altro a cui pensare. Io quando torno a casa, se contaminassi mia madre o mio padre qualche problemino me lo farei. Ecco, lo stesso ragionamento bisogna farlo per tutti. Molti dei vecchietti che ho conosciuto e che ho visto morire sono sicuro che per le condizione di salute che presentavano avrebbero avuto ancora una vita lunga davanti. Tutti devono avere la possibilità di una avere una vita dignitosa”.

Rossella Avella: