Torna il giro nelle carceri di Interris.it. Questa volta facciamo tappa ad Alessandria nel carcere di Don Soria. Qui incontriamo Andrea Ferrari che ci apre le porte di Social Wood, la falegnameria del carcere.
““SocialWood” è una falegnameria sociale ideata e realizzata all’interno della Casa Circondariale “Cantiello e Gaeta” di Alessandria. Rappresenta un laboratorio artigianale che coinvolge i detenuti del “Don Soria”. L’obiettivo di restituire loro dignità e autonomia, facilitando forme di integrazione sociale attraverso il legno. Il progetto è realizzato dall’Associazione ISES con KEPOS in collaborazione con la Casa di Carità Arti e Mestieri” racconta Andrea.
Lavorare il legno in carcere
“Il progetto nasce nell’anno 2015 con l’obiettivo di produrre, all’interno del laboratorio, mobili in pallet e accessori di arredamento realizzati con materiali riciclati, facilitando il percorso di reinserimento sociale e lavorativo dei ragazzi. In particolare, l’obiettivo dell’Associazione ISES è stato quello di dare vita ad uno spazio destinato alle necessità del terzo settore locale, rappresentando un luogo di incontro dove poter raccontare le proprie storie e raccogliere fondi col fine di creare iniziative socialmente utili grazie a sinergie e partecipazione collettiva”.
L’importanza dell’economia circolare
“Social wood che non è altro che il seguito del percorso di formazione che la fondazione Casa di carità arte e mestieri svolge da 30 anni. Siamo nati grazie anche ai finanziamenti di Fondazione Social Cattolica Assicurazione di Alessandria. A momento abbiamo quattro detenuti all’interno del carcere e produciamo essenzialmente oggetti in legno e mobili utilizzando, quando è possibile, legno riciclato o comunque legno della filiera solidale, legno PFC. Al momento stiamo svolgendo una produzione per il centro Baladin di Cuneo e per altre aziende. Dal 2015 ad oggi quindi c’è stata una grande evoluzione e al momento al Don Soria sono presenti due falegnamerie, una è quella dedicata principalmente alla formazione da cui siamo partiti e l’altra invece è quella con strumenti più performanti”.
Una seconda possibilità per tutti
“Abbiamo notato che c’erano tante persone nel carcere capaci di creare ed era giusto dare loro una seconda possibilità. Per questo abbiamo voluto fare qualcosa che generasse lavoro e occupazione, ma soprattutto generasse qualcosa che potesse avere un mercato e quindi non fare sgabelli da tenere lì ma fare qualcosa che potesse circolare. Ad oggi fare i box delle birre ci permette di uscire dal carcere arrivando in tutto il mondo“.
La più grande soddisfazione
“Una delle soddisfazioni più grandi è stata quella di vedere il primo contratto di lavoro firmato. Una persona con le lacrime agli occhi. Non credeva possibile potesse realizzarsi una cosa del genere in un carcere così piccolo come il carcere di Alessandria il Don Soria. Poi vedere l’impegno quotidiano delle persone e la voglia di migliorarsi, vedere l’impegno dei ragazzi che cominciano a lavorare con noi è la più grande soddisfazione“.
Il senso di responsabilità
“Dal punto di vista umano è molto incentivante, possono andare a lavorare solo se comportano estremamente bene in quanto ci sono delle attrezzature molto pericolose e quindi si da un senso di responsabilizzazione molto elevato e loro ne sono molto felici. Quando sono lì dentro è come se fossero dei lavoratori a tutti gli effetti. Si sentono in fabbrica, si sentono produttivi“.
Il futuro dopo la detenzione
“Fino ad ora non lavorano oltre il fine pena, ma ci stiamo attrezzando con il nostro Partner Kepos con una falegnameria esterna perché possa inserire al suo interno le persone che finiscono di lavorare con noi. L’idea c’è ma siamo fermi per una questione di burocrazia a causa del Covid. A breve però credo che riusciremo ad inserire il primo ex detenuto che ha da poco finito di scontare la sua pena”.