Rifugiati: forum alla Lumsa sull’integrazione sociale e la partecipazione attiva

Oggi il seminario sul Manifesto dell’Università Inclusiva organizzato dall'Università LUMSA in collaborazione con UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati) e RUIAP (Rete delle Università Italiane per l’Apprendimento Permanente)

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SALVATAGGIO GDF DI MIGRANTI A LARGO DI LAMPEDUSA. Credit: UFFICIO IMAGOECONOMICA

Dalla parte dei rifugiati. Oggi è programma il seminario sul Manifesto dell’Università Inclusiva organizzato dall’Università Lumsa. In collaborazione con UNHCR (Agenzia ONU per i Rifugiati) e RUIAP (Rete delle Università Italiane per l’Apprendimento Permanente). Per l’occasione saranno presentati i risultati del questionario rivolto a studenti universitari richiedenti e beneficiari di protezione. Il Manifesto dell’Università Inclusiva è uno strumento finalizzato all’agevolazione dell’accesso per i rifugiati all’istruzione universitaria e alla ricerca. L’obiettivo è promuovere l’integrazione sociale e la partecipazione attiva alla vita accademica. Domenica, poi, ricorre la Giornata Mondiale del Migrante e Rifugiato. Papa Francesco esorta a pregare per chi, in fuga da soprusi e oppressioni, abbandona la propria terra “in cerca di condizioni di vita degne”. Persone che “vivono l’esperienza del Dio compagno di viaggio: quante bibbie, Vangeli e Rosari accompagnano i viaggi attraverso deserti, fiumi, mari”. Il Pontefice ribadisce che “l’incontro coi migranti è incontro con Cristo“. E invita a “fare Sinodo con loro”. A Dio si affidano i profughi prima di partire: “A Lui ricorrono nelle situazioni di bisogno. In Lui cercano consolazione nei momenti di sconforto. Grazie a Lui, ci sono buoni samaritani lungo la via. A Lui, nella preghiera, confidano le loro speranze“.

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Accanto ai rifugiati

L’accento posto sulla sua dimensione sinodale permette alla Chiesa di “riscoprire la propria natura itinerante”. Ossia la natura “di popolo di Dio in cammino nella storia, peregrinante, diremmo ‘migrante’ verso il Regno dei cieli” Dio non solo cammina con il suo popolo, ma anche nel suo popolo, osserva Vatican News. Nel senso che si identifica con gli uomini e le donne in cammino attraverso la storia. In particolare con gli ultimi, i poveri, gli emarginati. Come prolungando il mistero dell’Incarnazione. L’incontro col migrante, infatti, è “anche incontro con Cristo”. Lo ha detto Gesù stesso: “È Lui che bussa alla nostra porta affamato, assetato, forestiero, nudo, malato, carcerato, chiedendo di essere incontrato e assistito”. Il convegno odierno alla Lumsa di Roma prevede due sessioni di lavoro. Leggere i bisogni delle persone rifugiate nelle Università Italiane: voci della ricerca sociale applicata. E laboratorio di servizio Gruppo di Lavoro RUIAP per l’Apprendimento Permanente e l’integrazione accademica delle persone rifugiate. Durante i lavori interverranno, tra gli altri, Patrizia Bertini Malgarini, Direttore Dipartimento di Scienze umane Università Lumsa. Paula Benevene, coordinatrice gruppo di lavoro RUIAP. Chiara Cardoletti Rappresentante UNHCR e per l’Italia, la Santa Sede e San Marino. Renato Raffaele Amoroso, Università degli Studi di Napoli Federico II. Dorella Cianci, Università Lumsa. Amalia De Leo, Università Cattolica del Sacro Cuore.

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Foto di MAMADOU TRAORE da Pixabay

Appello Unhcr

I rifugiati hanno bisogno della nostra solidarietà, ora più che mai- afferma l’agenzia Onu per i rifugiati-. Solidarietà è tenere le porte aperte. Celebrare la loro forza e i loro successi. E riflettere sulle sfide che devono affrontare, quando sono costretti a scappare dalle proprie case e lasciarsi indietro tutto. Solidarietà con le persone costrette a fuggire significa anche ricercare soluzioni alla loro condizione. Porre fine ai conflitti in modo che possano fare ritorno alle loro case in sicurezza. Garantire loro opportunità di prosperare nelle comunità che li hanno accolti. E fornire ai Paesi le risorse necessarie per includere e sostenere i rifugiati”. Prosegue l’Unhcr: La Giornata Mondiale del Rifugiato vuole accendere i riflettori sui diritti, i bisogni e i sogni dei rifugiati. Contribuendo a mobilitare la volontà politica e le risorse affinché i rifugiati possano non solo sopravvivere ma anche prosperare”. Molte storie dii rifugiati sono testimonianze di integrazione possibile. Elisabeth e Guleed vivono entrambi a Milano, Guleed è rifugiato ed è arrivato in Italia quando aveva 17 anni. A farli incontrare è stato il progetto Community Matching, che offre ai rifugiati e alle comunità locali l’opportunità di conoscersi e insieme costruire l’inclusione.

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Foto di Barbara Zandoval su Unsplash

Testimonianze

Il progetto Community Matching ha l’obiettivo di mettere in contatto rifugiati e rifugiate con volontari e volontarie che possano affiancarli nel loro percorso di integrazione in Italia. Un progetto dove l’aiuto reciproco getta le basi per nuove amicizie. l’Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati, lavora per proteggere e assistere coloro che fuggono da guerre, violenza e persecuzioni. Dal 1950 l’Unhcr ha aiutato decine di milioni di persone a trovare sicurezza e ricostruire le proprie vite”. Iman ha iniziato a praticare lotta libera in Iran quando aveva 15 anni. Costretto a fuggire dal suo Paese, oggi è in Italia e lotta per realizzare il suo sogno: entrare nella squadra olimpica dei rifugiati. ​​In Afghanistan le arti marziali sono considerate sport unicamente maschili. Mahdia ha iniziato a praticare taekwondo a 12 anni, nascondendolo a suo padre. È stato difficile allenarsi, ma non ha mai mollato, e con l’aiuto dei fratelli e della madre, è riuscita ad allenarsi e combattere per più di un anno. Finché ha vinto i campionati regionali, e a quel punto ha deciso di confessare il suo sport a suo padre. Ad agosto 2021, con la presa del potere da parte dei talebani, Mahdia e le sue sorelle sono fuggite da Kabul. Lei è arrivata in italia, dove ha potuto proseguire gli allenamenti. Oggi è entrata a far parte del Programma olimpico per rifugiati. “Ho ricevuto la mail dal programma olimpico mentre tornavo a casa dalla palestra e mi è venuto da piangere- racconta Mahdia -. Ho chiamato mio padre e anche lui era felicissimo per me. Spero che un giorno nel mondo tutte le donne, soprattutto in Afghanistan, possano avere i loro diritti fondamentali e la libertà“.