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Razzismo e disoccupazione: l’altra pandemia degli Stati Uniti

La problematica razziale e la crisi post-Covid: gli Stati Uniti verso un'elezione infuocata, flagellata da un'emergenza bicefala che divide gli americani

L’ondata di protesta che ha fatto seguito alla morte di George Floyd qualche indizio lo ha portato, e non solo da un punto di vista della problematica razziale nel Nord America. A pochi mesi dalle elezioni per la Casa Bianca, gli Stati Uniti vivono forse il loro momento peggiore da quando Trump ha ottenuto la nomina presidenziale, con l’elemento scatenante dell’uccisione del 46enne afroamericano a scatenare un effetto domino che l’emergenza coronavirus aveva già iniziato a estrapolare da una società in qualche modo in cambiamento. La spallata decisiva dei fatti di Minneapolis ha acuito una crisi sfiorata già a Charlottesville durante lo Unite the Right Rally, quando a far suonare l’allarme fu la ventata suprematista che, di lì a un paio d’anni, sarebbe esplosa a Christchurch, in Nuova Zelanda.

Ondata di dissenso

Gli afroamericani sono scesi in piazza e non solo loro. Una pandemia parallela, diventato un identificativo abbastanza comune negli ultimi giorni, paragonando il morbo endemico del razzismo negli Stati Uniti a quello del Covid-19 che ha flagellato il Paese sul piano sanitario. Un male profondo, radicato, in qualche modo impresso a fuoco fin dagli albori della colonizzazione del Continente americano, esploso a cadenza alternata e con picchi di violenza sia corporale che etnica. Il reverendo Shapton, che ha officiato le esequie di Floyd, lo ha ricordato duramente, mettendo la realtà americana davanti a un fatto nudo e crudo: “Per più di 400 anni siamo stati emarginati perché l’America ha tenuto il ginocchio sul nostro collo. Quello che è successo a Floyd accade ogni giorno in questo paese, nell’istruzione, nei servizi sanitari e in ogni ambito della vita. È tempo per noi di alzarci in piedi nel nome di George e dire: toglieteci quel ginocchio dal collo”. Un’esortazione più vicina alle arringhe di Malcolm X che a quelle di Martin Luther King ma comunque identificative di una comunità che, a 2020 superato, manifesta non tanto per rivendicare i propri diritti, quanto per mostrare il proprio dissenso contro una società che, ancora, consente che questi siano violati. Del resto, fu proprio Malcolm X ad affermare che “non si può separare la pace dalla libertà perché chi non è libero non può essere in pace”.

La protesta

Ed è stato un dissenso crudo, violento in alcuni casi, contaminato da un periodo di difficoltà comune che ha portato a un sensibile rallentamento dell’economia americana, la frenata forse più repentina da decenni a questa parte. Covid e razzismo, la doppia pandemia che ha colpito gli Stati Uniti, è in realtà il frutto di una combinazione di fattori, sanitario e culturale, scoppiato in un caos sociale a causa di una scintilla troppo forte. Del rest, come analizzato dal Washington Post, su un totale di circa mille persone all’anno uccise dalla Polizia americana, in percentuale, considerando che gli afroamericani rappresentano il 13% della popolazione complessiva, le loro probabilità di essere uccisi sono molto più elevate, circa il doppio. Un dato tenuto ben presente dai manifestanti, Black Lives Matter in testa, movimento che, pur discusso dall’opinione pubblica, fa leva proprio sulla presunta impunità degli agenti che vengono colti in azioni contrarie al proprio codice etico. Come rilevato da un’indagine Ispi, un esempio per tutti è proprio la città di Minneapolis dove, dal 2012, solo 12 istanze per cattiva condotta sono state perseguite, su un totale di 2.600, con una sospensione di 40 ore come provvedimento più severo adottato contro un agente.

La disoccupazione

Forse l’incidenza del caso sulle elezioni sarà relativo. O forse no, visto l’andamento dei sondaggi che, nell’ultima settimana, hanno contato un 65% di americani contrari alla deriva assunta dal Paese dopo i fatti di Minneapolis. E, di conseguenza, contro l’affidamento delle chiavi degli Stati Uniti al presidente attualmente in carica. Vero è che, visto il quadro attuale, la questione elettorale sia passata su piano secondario rispetto alle urgenze sociali che attraversano trasversalmente il Paese (e quindi il dibattito elettorale), focalizzando l’attenzione complessiva su temi come la disoccupazione, che ha contribuito peraltro al malcontento collettivo che ha accompagnato la reazione alla morte di George Floyd. Un quadro che, al momento, parla di 1,5 milioni di americani che hanno fatto richiesta per ricevere il sussidio di disoccupazione solo nell’ultima settimana. Il che contribuisce al tasso più alto dal Dopoguerra. Fattori che portano riflessi in Borsa (- 0,10% per Dow Jones) ma che, di più, producono effetti su una popolazione già esasperata dal coronavirus e dalla recrudescenza del sentimento razziale.

Razzismo, l’incidenza

Uno step che, a detta di molti americani, il Paese ancora non ha compiuto. A 150 anni dall’approvazione del XIII Emendamento che mandò in archivio la schiavitù dei neri negli Stati Uniti. Strascichi che, per uno studio del Pew Research Center, non hanno ancora smesso di condizionare la mentalità collettiva di una Nazione che per le proprie divisioni arrivò a dichiararsi guerra. Secondo l’analisi, il 58% degli americani ritiene che le relazioni etniche siano condotte in maniera negativa, e addirittura il 56% attribuirebbe alla presidenza Trump un ulteriore peggioramento. Sondaggi forse relativi ai fini di un’elezione, ma non dal punto di vista della quotidianità. Indipendentemente dalla tornata elettorale incombente. E anche dal presidente.

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