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Rajangam: “Vi racconto la tragedia dei nomadi tribali indiani”

La testimonianza esclusiva e drammatica di Rajangam, un maestro elementare che aiuta i "fuori casta" e i più poveri dell'india

“Mi chiamo Rajangam. Vivo nella città di Madura, nel sud del Tamil Nadu, in India. Ci sono molte comunità tribali nomadi in Tamil Nadu e in India. Io sono tra questi: appartengo alla comunità tribale nomade dei cartomanti (in Tamil li chiamiamo GuduGuduppaikarargal), una delle più segregate dell’India”. Comincia così l’appello di Rajangam, insegnante e attivista sociale indiano di 48 anni. Rajangam è nato in una famiglia di nomadi poverissima. Unico dei suoi tanti fratelli, ha potuto studiare e liberarsi dal destino di diventare una specie di chiromante come tutti i membri della sua tribù nomade. In India vige infatti un sistema di caste ufficialmente abolito nel 1950. Ma in pratica è ancora molto presente nella società, anche tra le istituzioni, come ha raccontato a In Terris una volontaria italiana.

Un primo piano di Rajangam

L’aiuto della Chiesa indiana

Rajangam ha potuto diventare un maestro di scuola elementare (troppo costosa per un soggetto appartenente alla casta dei nomadi, come lui) grazie all’aiuto donatogli dall’allora Arcivescovo di Madurai, mons. Arockiasamy e dal Vescovo ausiliare e attuale Arcivescovo di Madurai, Mons. Antony Pappusamy. “È stata davvero un’opportunità inviata da Dio che ho colto immediatamente”, racconta. Madurai è una città di quasi 1 milioni di abitanti nello Stato federato del Tamil Nadu, nell’estremo sud-est della penisola indiana. Grazie al finanziamento della Chiesa Cattolica Rajangam – che è cattolico come tutta la sua famiglia – ha preso il diploma di maestro elementare riscattandosi così dal sistema che l’obbligava allo stesso destino di suo padre e di suo nonno. Una volta divenuto maestro, non è scappato in città lasciando il campo nomadi, ma ha scelto di aiutare gli altri nella sua stessa situazione.

La grande famiglia di Rajangam

La creazione di Tent society

Ha così fondato nel 2003 un’organizzazione umanitaria denominata TENT society. L’obiettivo è “educare e responsabilizzare i nomadi per garantire i loro diritti umani”. Anche sua moglie – che appartiene alla sua stessa comunità nomade – ha studiato e si è unita a lui nel grande progetto di riscatto del popolo nomade. “La TENT Society ha iniziato ad aiutare le comunità tribali nomadi insieme ad alcuni volontari”, racconta a In Terris Rajangam. “In questi anni, sono entrato in contatto con altri attivisti o importanti personaggi dell’India grazie a seminari e conferenze organizzate nell’interesse delle tribù nomadi. Una di queste persone speciali è padre Renato Rosso, missionario nato ad Alba che da anni segue le popolazioni nomadi dell’India e del Bangladesh. Grazie a lui, Tent ha trovato appoggio e aiuti sia da Ruah onlus fondata da padre Rosso, sia dall’Associazione Comunità Papa Giovanni XXIII (ApgXXIII) fondata da don Oreste Benzi.

La società delle disuguaglianze

Ancora oggi esistono molte forme di disuguaglianza in India a livello sociale, politico, economico, di accesso alla scuola e ai servizi essenziali quali la sanità. “Secondo la nostra costituzione – spiega Rajangam – siamo un paese secolare, ma in realtà le disuguaglianze sono ovunque e sono legate sia alla casta, sia alla religione di appartenenza. Ad esempio, tutto ciò con un indiano di religione indù ottiene dallo Stato, terreni, concessioni e così via, rischia di perderle se si converte al cristianesimo. Discriminazioni che vivono anche i musulmani e le altre minoranze religiose presenti nel Paese. Per tale motivo, come Tent society, abbiamo deciso di aiutare tutti, indipendentemente dal credo e dalla provenienza sociale, con una speciale attenzione alla popolazione delle tribù nomadi”.

La condizione delle tribù nomadi

Ma quali sono le reali condizioni di vita delle tribù nomadi in India, al di fuori dei proclami politici del premier indiano Nerenda Modi? “Sono davvero drammatiche“, spiega Rajangam. “Non godono di alcun diritto fondamentale sancito dalla Costituzione. Il British Act del 1871 che li ha criminalizzati durante il colonialismo è ancora valido. Spodestati dalle loro terre tradizionali in nome dello sviluppo, queste tribù antichissime sono state costrette a vagare pur di sopravvivere, divenendo così nomadi. Ma i nomadi in India sono considerati il gradino più basso della società e della gerarchia indiana perché non hanno neppure un pezzo di terra. A causa di questa discriminazione centenaria, le tribù nomadi indiane sono in ritardo in tutti gli indicatori di sviluppo. I nomadi sono considerati il gruppo più bassi della società e come tali vengono trattati. Non vengono neppure conteggiati nelle statistiche sulla povertà del Paese perché, essendo nomadi, non hanno residenza. Sono in definitiva invisibili anche allo Stato, che non se ne cura affatto”.

Coronavirus e povertà

In questo scenario già drammatico, la diffusione del COVID- 19 ha messo in ginocchio le comunità tribali, anche a livello economico. “Il lockdown – dice Rajangam – è durato più di 100 giorni impedendo ai poveri di guadagnare a giornata. Gli aiuti annunciati dal governo non li raggiungono poiché la maggior parte di loro non ha i documenti richiesti, essendo nomade. Al momento, migliaia di famiglie sono totalmente prive di cibo e sopravvivono solo grazie agli aiuti di alcune Ong e a qualche buon samaritano. Ma la maggior parte sta letteralmente morendo di fame!”. In queste circostanze drammatiche, la Tent society sta cercando di far pervenire degli aiuti dall’estero.

L’appello di Rajangam

Da qui, l’appello a donare da parte di Rajangam. “Il mio appello è per voi italiani – dice – affinché vogliate supportare economicamente circa 1000 famiglie, almeno 5000 persone. Le donazioni (qui il link al sito della Tent society) serviranno per acquistare e fornire loro razioni secche e altri beni di base necessari per la loro sopravvivenza almeno fino a novembre. Questo mitigherebbe immensamente le loro sofferenze. Una volta assicurata la sicurezza alimentare, infatti, i problemi sanitari possono essere risolti localmente. Abbiamo bisogno di tutti per risolvere questa situazione – conclude Rajangam – una vera e propria tragedia degli invisibili“.

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