Quando il teatro parla del Sacro

Dopo quindici anni, il Festival "Tra sacro e Sacro Monte" continua a vincere la sua sfida: affrontare le grandi domande dell'uomo attraverso sguardi molteplici

Andrea Chiodi Festival Sacro Monte
Foto © Festival Sacro Monte

Affrontare il sacro attraverso una lettura ermeneutica e, in seguito, con una commistione con le più varie forme d’arte. È la sfida che, da quindici anni, anima il Festival “Tra sacro e Sacro Monte”, ospitato nel contesto d’eccezione del santuario carmelitano di Varese e, anche quest’anno, focalizzato sul Vangelo di Matteo e sugli spunti di riflessione aperti dalla sua lettura. Un modo per affrontare le domande esistenziali dell’uomo senza perdere di vista l’orizzonte della fede. Una sfida che, negli anni, come racconta a Interris.it il direttore artistico, Andrea Chiodi, è stata raccolta dalle più grandi voci del teatro italiano.

Direttore, approcciare al Vangelo in un Festival culturale significa creare una connessione tra fede e forme d’arte. Come si realizza un legame simile senza perdere l’orizzonte sulla natura sacra del testo?

“È stata la sfida fin dal primo anno. Luogo molto particolare, richiedeva un legame con ciò che si fa. Quindici anni fa partimmo dal Vangelo di Matteo. Aprire un festival con la lettura integrale del Vangelo, letto da Lucilla Morlacchi, fu una sfida vinta. Da lì in poi è rimasto il tema centrale: affrontare le grandi domande dell’uomo attraverso autori che le hanno portate a galla con il loro lavoro, dal confronto con il sacro alle domande sul senso della vita”.

Perché il Vangelo di Matteo?

“Il Vangelo di Matteo è ‘duro’, per certi aspetti: penso al discorso della montagna, che secondo me andrebbe letto da tutti i politici. È un monito su come guardare la vita e il mondo, al di là che si creda o no. Ripartire anche quest’anno da Matteo è stato come ribadire che cos’è il Festival, cosa vuole raccontare e da dove partire per farlo. La voce di apertura, questa volta, è stata quella di una grande attrice come Laura Marinoni”.

La quindicesima edizione del Festival è stata anche un omaggio implicito a grandi figure che l’hanno reso celebre…

“Arrivato ai quindici anni, il Festival ha voluto ricordare tre grandi attrici fondamentali per la sua storia: Lucilla Morlacchi, Piera Degli Esposti – della quale De Filippo disse ‘Questo è il verbo nuovo’ e per la quale è stato realizzato un ricordo attraverso Dante – e Franca Nuti, gigante del teatro del Novecento e presente al Festival numero uno. Un Festival, in sostanza, molto femminile. Del resto, il Santuario è dedicato alla Madonna ed è abitato da 40 monache di clausura. E abbiamo lavorato attorno a ‘I Dialoghi delle carmelitane’ di Bernanos, mai rimesso in scena. Per la prima volta, inoltre, è arrivato al Festival un grande attore come Toni Servillo, che ha omaggiato Giovanni Testori in dialogo con Guttuso”.

Tre attrici che, ora, sono un’ispirazione?

“Nessuna di loro era un’attrice cattolica. Ma credo che la grande arte sa porsi grandi domande. E loro sono state figure fondamentali in questo”.

Dalla storia del teatro alla storia ancora da raccontare: attrici giovanissime interpreti di un testo come “I dialoghi delle Carmelitane”. Un modo per coinvolgere le nuove generazioni in un contesto storicizzato?

“Le coinvolgiamo direttamente perché il bando per attrici vede partecipazione di 18 giovani. L’intento era veicolare a loro un testo che non avrebbero incontrato, per poi farlo incontrare al pubblico. Mi sono accorto che è un titolo che la gente conosce, forse perché legato anche alla lirica. Il messaggio che mi sembra importante è questa totale adesione al progetto che le carmelitane hanno. Vengono portate al patibolo ma anche davanti alle cose più brutte hanno uno sguardo molto lucido e molto vero. È un testo non ideologico, che parla di un cristianesimo politico ma anche spirituale. La storia dell’uomo è fatta di grandi domande, anche legate alla religione”.

Il Vangelo di Matteo riporta inevitabilmente all’interpretazione che ne diede Pasolini…

“Pasolini, come grande intellettuale, ha avuto l’onestà di mettersi davanti al Vangelo di Matteo, riconoscendone la grandezza. Se c’è un legame con lui è un legame intellettuale”.

E l’omaggio a Bob Dylan di Davide Van de Sfroos? Anche questo legato alla fede…

“Davide ha voluto farlo assieme alla Mirò, è una cosa che mi è sembrata molto giusta per il Sacro Monte. Bob Dylan, a un certo punto, si è interrogato tantissimo sulla questione della fede, passando anche per una conversione. È il modo più popolare per coinvolgere il pubblico: queste domande non sono da sfigati ma se le pongono tutti. Un percorso tra i suoi testi e le sue canzoni molto giusto per il Festival”.