La filosofia del “qb”, del “quanto basta”, opposta alla sfrenata logica consumistica mondiale, mira a trovare l’equilibrio, perso dalla società contemporanea, tra eccesso e difetto, in ogni esperienza e ambito. La società attuale spinge verso un abuso consumistico, godereccio, di accumulazione monetaria, convincendo che “più” è sempre meglio di “meno”.
Qb è una sigla utilizzata nei libri di cucina, per le ricette, relativa alla quantità di un alimento, in cui si lascia alla persona una certa discrezionalità nel valutare; a esempio, per intendere il limite di utilizzo del sale. Sempre in ambito alimentare e nutrizionale, l’adagio del “quanto basta” significa anche porre un giusto limite, evitare indigestioni e un pessimo rapporto con il cibo. La locuzione diviene una filosofia, rappresenta la metafora pratica (il sale nella cottura) dell’essenza: una vita positiva, non rinunciataria ma attenta agli sviluppi e a non esagerare.
“Quanto basta” deve far riflettere verso una giusta via di mezzo e non implica alcun incitamento alla mediocrità, men che meno uno scivolare verso il tiepidismo. Non significa svogliatezza o apatia, quindi, ma impulso alla creatività, alla libertà del giusto essere.
In politica, rappresenta il giusto compromesso per cercare di non scontentare nessuno ma il rischio è di sacrificare tutti. L’equilibrismo è una delle doti principali del buon politico, dovrebbe essere un sano adattamento tra le richieste del popolo e la realizzazione pratica. L’equilibrio non è quello del “cerchiobottismo”, volto ad aizzare chi serve e a dimenticare chi non serve. Nella sua versatilità, il politico tende a essere inclusivo con gli alleati, divisivo con gli avversari.
A volte, il principio è stato utilizzato, in modo strategico, per acquietare le folle e mantenerle in una condizione statica, “non promuovendo” le opportunità di “ascensione sociale”. Guido Baccelli, medico e politico, nella Relazione al Re (Umberto I) per la Riforma dei Programmi per le Scuole Elementari (R.D. 29 novembre 1894, n.525), a esempio, esordì “Quando ebbi occasione di esporre alla Camera dei deputati i criteri e i metodi che avrei seguito nella riforma delle scuole elementari, e di raccogliere tutto il mio pensiero entro la formula ‘Istruire il popolo quanto basta, educarlo più che si può’, questo concetto ottenne manifesti segni di approvazione dalla Rappresentanza nazionale”.
Nella sua meditazione del 23 maggio 2017, dedicata al tema “La Chiesa non è dei tiepidi”, Papa Francesco osservava “Il cammino della nostra conversione quotidiana: passare da uno stato di vita mondano, tranquillo senza rischi, cattolico, sì, sì, ma così, tiepido, a uno stato di vita del vero annuncio di Gesù, alla gioia dell’annuncio di Cristo. Passare da una religiosità che guarda troppo ai guadagni, alla fede e alla proclamazione: ‘Gesù è il Signore’. […] Tutti noi abbiamo questo: una rinnovata giovinezza, una conversione dal modo di vivere tiepido all’annuncio gioioso che Gesù è il Signore”.
Valerio Zafferani, formatore e consulente esperto in marketing e comunicazione strategica, è l’autore del volume “Quanto basta” (sottotitolo “Come e perché è necessario costruire una solida relazione di clientela per sostenere e sviluppare la propria attività commerciale nel tempo”), pubblicato da “Intermedia edizioni” nel luglio 2021. Parte dell’estratto recita “In un mondo ‘commerciale’ dove l’offerta di prodotti e servizi ha di gran lunga superato la domanda, saper elaborare strategie sostenibili nel tempo è divenuta una sfida centrale per la sopravvivenza e lo sviluppo delle attività. […] ‘Quando basta’ mira quindi a fornire quegli elementi, dapprima culturali e poi di metodo, per riuscire a essere cliente centrici”.
L’espressione si usa anche in ambito economico, per indicare una fase intermedia, di attesa, fra espansione e recessione, fra rischio e prudenza. A proposito di accumulazione monetaria, la Banca d’Italia, al link https://www.bancaditalia.it/statistiche/tematiche/conti-patrimoniali/conti-distributivi/neri-spuri-vercelli-prime-evidenze-2024.01.05.pdf, l’8 gennaio scorso ha evidenziato alcuni dati sulla ricchezza delle famiglie. Fra questi, si legge “Alla fine del 2022, il cinque per cento più ricco delle famiglie italiane deteneva il 46 per cento della ricchezza netta complessiva mentre il 50 per cento più povero ne possedeva meno dell’otto per cento. La concentrazione della ricchezza netta è aumentata tra il 2010 e il 2016, per poi mantenersi pressoché stabile”.
L’Istat ha pubblicato, il 14 giugno scorso, un ampio Report sulle condizioni di vita e reddito delle famiglie, visibile al link https://www.istat.it/it/files//2023/06/REPORT-REDDITO-CONDIZIONI-DI-VITA2022.pdf Fra i dati si legge “Nel 2022 poco meno di un quarto della popolazione (24,4%) è a rischio di povertà o esclusione sociale, quasi come nel 2021 (25,2%). Tuttavia, con la ripresa dell’economia, si riduce significativamente la popolazione in condizione di grave deprivazione materiale e sociale (4,5% rispetto al 5,9% del 2021) e rimane stabile la popolazione a rischio di povertà (20,1%). Nel 2021 il reddito medio delle famiglie (33.798 euro) è tornato a crescere sia in termini nominali (+3%) sia in termini reali (+1%)”.
Per capire meglio il giusto livello del qb, in realtà, è opportuno chiedersi, allo stesso tempo, “quanto manca?”: per raggiungere un obiettivo, per aiutare una persona, per comportarsi secondo rettitudine. È importante, in ogni circostanza, mantenere il senno e comprendere il limite. Arrivandoci per gradi, è più facile comprendere gli step utili e quelli in eccesso o in difetto. A metà, fra la privazione e l’esagerazione, c’è il giusto. Il postulato, non corretto ma diffuso, è quello di considerare la posizione di partenza come una privazione: da questo considerare necessario qualsiasi passo in avanti per colmare l’ingiustizia (e semmai ripagarla). Il volere sempre di più, in termini di successo, soldi, potere, si lega, spesso, a questa convinzione di essere al di sotto del giusto.
Le tentazioni della società reale e di quella virtuale del web, spingono l’individuo a valutarsi sempre inappagato e, quindi, a cercare qualcosa in più che colmi la privazione.
Il qb è un valore che si giova del fatto di non essere valutato in cifre; è lasciata all’individuo la libertà (non la schiavitù della sovrabbondanza) di ponderare e fermarsi ove dovuto. Si tratta, inoltre, di un valore diverso tra le varie culture, per aspetti precipui. È relativo quanto basta. Anche nella sua specificità, infatti, essendo libero, consente intervalli e mezzi adeguati alle circostanze ma con un fine omogeneo e comunitario. Si tratta anche di una corretta valutazione del tempo, senza frenesie e approcci stressanti, consapevole del valore dell’attesa, dei periodi giusti.
Di Aristotele è noto il celebre principio del “giusto mezzo”, l’equilibrio fra ragione e passione. Del filosofo greco, a questo punto, andrebbe ricordata anche l’importanza dell’esperienziale poiché il mondo contemporaneo, per ideologie e teorie, ha sollevato l’essere umano dal compiere gesti, dal discernere anche dal sensibile, lasciandosi guidare, acriticamente, da dettami altrui.
La cura all’eccesso, per difetto o per abbondanza, è il cardine del qb. L’abuso fa notizia e la sregolatezza (pianificata) aumenta l’audience mediatica. La società dell’eccesso e dell’esagerazione, del “tutto o niente”, del troppo o troppo poco, della felicità personale a tutti costi e con tutti i mezzi, si scontra con oasi di senno e di buonsenso. Quest’ultimo valore, tuttavia, deve essere sentito, non di facciata, né reclamizzato, proposto e non imposto.
Il senso della misura non equivale ad accontentarsi o a comportamenti stringenti: il qb non svuota, bensì è la pienezza dell’essere. Solo nel caso dei valori, l’esubero è auspicabile e la misura non è colma: a esempio quello del volontariato, del tendere un aiuto, materiale e spirituale, a chi non ha quanto basta. Una società che fonda il suo metro sul consumismo e fa credere alla persona di dover materializzare il più possibile il bisogno e l’esistenza, uniformando ogni valore a questa legge, può essere contrastata solo con una filosofia inversa, sensata e uniformata all’unica misura che occorre davvero: quella che valorizzi l’essere umano.