I proverbi, tramandati da secoli, in ogni continente, come emblema di saggezza e tradizione, a volte si contraddicono fra loro, con il clamoroso risultato di smentire la valenza attribuita. Il riferimento è ai detti e alle credenze popolari, tramandati di padre in figlio. Diversi, quindi, dai testi sapienziali de “Il libro dei Proverbi”, contenuto nella Bibbia e che raccoglie, invece, massime religiose, sentenze e osservanze, regole di comportamento per il sobrio vivere e per la felicità interiore.
Gli esempi di adagi contraddittori sono numerosi, fra i più noti possono essere ricordati i seguenti. “Paese che vai, usanza che trovi” che contrasta con “Tutto il mondo è paese” e “Chi non risica non rosica”, diverso da “Chi si accontenta, gode”. Altre discordanze palesi si trovano in “Chi va piano va sano e va lontano” e “Chi tardi arriva male alloggia”, tra “L’abito non fa il monaco” e “Anche l’occhio vuole la sua parte”, oppure “Il riso fa buon sangue” e “Il riso abbonda sulla bocca degli stolti” e “Chi ha tempo non aspetti tempo” con “La fretta è cattiva consigliera”. Dov’è, allora, la vera saggezza?
Le parole di San Giovanni Paolo II nel 1980 “La saggezza conferisce distanza, ma non una distanza di estraniamento dal mondo, permette all’uomo di elevarsi al di sopra delle cose, senza disprezzarle; ci fa vedere il mondo con gli occhi e col cuore! – di Dio. Ci fa dire ‘sì’ a Dio, ai nostri limiti, al nostro passato con le sue delusioni, defezioni e peccati”. Il professor Vincenzo Lambertini è l’autore del volume “Che cos’è un proverbio”, edito da “Carocci” nell’aprile scorso. Nel libro, si affronta la natura del proverbio e di altri elementi fraseologici, dal punto vista storico e della loro possibile evoluzione, a cavallo tra saggezza e contraddizione.
Alcune volte, i termini “proverbio” e “modo di dire”, si usano come sinonimi ma, in realtà, presentano delle diversità. Se il proverbio rappresenta un insegnamento e un avvertimento, il modo di dire consiste, invece, in una locuzione che si usa, figurata, per rendere meglio un’idea, a esempio “Non aver paura, è solo un fuoco di paglia”. L’“adagio”, contenente anch’esso una morale, è il giusto sinonimo di “proverbio”. Quest’ultimo, inoltre, caratterizzato dalla tradizione, nazionale e locale, si presenta in latino o in italiano o in dialetto; il modo di dire si raccorda, spesso, con locuzioni straniere, in particolare inglesi.
Fra adagi, modi di dire e proverbi, esiste anche il meno conosciuto “wellerismo”, la cui origine è molto antica ma ha avuto una notevole ripresa nella prima metà dell’Ottocento, con la pubblicazione de “Il Circolo Pickwick”, in cui figura il maggiordomo Sam Weller, particolarmente dedito a tale forma di celebre divertissement linguistico. Si tratta, appunto di un connubio tra una componente proverbiale e una scanzonata, ironica, quasi cinica. Un esempio è il “Ti serve una mano?” proferito da una persona priva di un arto. Il proverbio non va confuso con la “sentenza”, caratterizzata dalla certezza, da un contenuto non mistificabile.
“Media e fake news: opinioni e attitudini degli italiani nei confronti dell’informazione” è il “sondaggio realizzato da Ipsos per IDMO (Italian Digital Media Observatory) l’hub nazionale contro la disinformazione”, visibile al link https://www.idmo.it/wp-content/uploads/2022/03/PRESENTAZIONE-IPSOS-24-MARZO_PUBBLICO.pdf. L’analisi, pubblicata il 24 marzo 2022, corredata da numerosi dati, effettua un focus sulla credulità degli italiani. Fra i risultati emersi, si legge “La stragrande maggioranza degli italiani (7 su 10) si informa esclusivamente tramite fonti gratuite e solo 1 su 4 è disposto a pagare per accedere ad informazioni di cui si fida. […] La maggioranza – più del 60% – sostiene che chi diffonde ‘fake news’ sia consapevole del fatto che sono notizie false e che la principale motivazione sia economica (37%). Il restante 36% sostiene che chi diffonde ‘fake news’ nella maggior parte dei casi pensa che la notizia sia vera e che la principale motivazione sia sociale (29%). […] È quasi il 90% degli intervistati a sostenere che la disinformazione sia diffusa in Italia e una quota simile a dichiararsi preoccupato per questo. […] Rileviamo un ampio scostamento tra la percezione di essere personalmente in grado di distinguere fatti reali dalle ‘fake news’ (73% crede di esserne in grado) e la considerazione di quanto sia in grado di farlo una persona media in Italia (solo il 35% crede che sia in grado). […] Il 90% degli italiani dichiara di fare almeno un’attività di controllo davanti a un’informazione trovata online. […] Inoltre, il 60% degli italiani ritiene che una notizia sia più affidabile quando condivisa da tante persone (quota più alta tra i più giovani e i meno istruiti) e il 55% (ben più di 1 cittadino su 2) ritiene che sia più affidabile se condivisa da un amico molto attivo sui social (quota che sale tra i più giovani e tra i meno istruiti, mentre scende nella fascia d’età 31-50 anni e tra i più istruiti). […] La scienza ha un’immagine fortemente positiva nella mente degli italiani. Segnaliamo, tuttavia, che è considerata più soggettiva che oggettiva, oltre che più orientata all’interesse dei pochi che orientata al bene comune, da 1 italiano su 4. […] ‘La scienza non è democratica’, affermazione che è stata oggetto di ampi dibattiti negli ultimi anni, è condivisa dal 36% degli italiani, mentre il 27% non la condivide”.
Il potere di una sola parola è immenso, figurarsi quello di una frase (nonché una poesia e un libro). Gli sviluppi, i pensieri, i significati e le emozioni che può far scaturire una parola sono molteplici. Ecco perché l’essere umano, da sempre, è attento al linguaggio, alla scrittura e rimane invischiato nel loro significato. Il linguaggio ha fatto progredire le civiltà e sviluppa l’intelligenza, l’essere umano vi è grato. Ognuno è legato alle parole che usa, soprattutto alle più frequenti. La parola può dividere ma può anche unire, essere inclusiva.
Un esempio storico di grande rilievo è nell’“Elogio di Elena”. Il sofista Gorgia, consapevole dell’arte retorica e della seduzione del linguaggio, arriva a giustificare l’abbandono del marito da parte di Elena (colpita dal discorso di Paride), poiché nessuno può essere considerato colpevole se vittima della potenza della parola. “Gran dominatrice è la parola”, afferma Gorgia, pur se ha un corpo piccolissimo.
Uno dei limiti dei proverbi, che può motivare la contraddizione, sta, paradossalmente, nella loro vetustà. Se la caratteristica di essere antichi, infatti, sottolinea la base della tradizione, a sostegno della verità ormai consolidata, a prova di qualsiasi esperienza, è pur vero che questo potrebbe essere un tallone d’Achille; un proverbio nato secoli fa, infatti, potrebbe non esser più valido oggi, anzi fuori dai canoni della convivenza comune.
Si presume che l’Italia annoveri quasi 25mila proverbi, sugli argomenti più cari e stuzzicanti, come l’amore, la gelosia, il lavoro, l’amicizia, i soldi, il tempo, la superstizione, la politica.
Sono frutto di esperienze e culture disseminate nel tempo e nello spazio. Il mondo contemporaneo non è incline a generare nuove pillole di saggezza e di consigli scanzonati. Le tradizioni tendono a perdersi, i costumi mutano rapidamente e la fetta più rilevante, supportata dai social e dalle nuove tendenze, è quella di inondare il linguaggio con un’asfissiante fraseologia anglosassone. Il modo di dire batte il proverbio.
Altre cause del fenomeno così ambiguo è nell’inflazione dei proverbi, nella relatività degli stessi, nel loro sconfinare sino ai “luoghi comuni”. Tra il discernere e l’etica del comune sentire vi è differenza e la contrapposizione dei proverbi lo testimonia. L’antinomia nasce nel punto di confine tra proverbio e luogo comune. Quando le due fattispecie si confondono, la fondatezza e la “verità” della prima precipitano nell’indefinito della seconda. Il luogo comune (o la frase fatta), infatti, è spesso insensato, frutto di stereotipi e pregiudizi, di bollature o esaltazioni, ripetuto all’infinito senza un vero costrutto; a volte si usa per “coprire silenzi”, per ricevere il consenso altrui. Il proverbio ha un’altra origine e non discrimina né affibbia etichette.
Un limite del proverbio è nella ricerca ostinata della rima che conduce a una concordanza di suono ma rischia di deviare dal significato corretto e originario, forzandolo. L’efficacia non dipende dal suono delle parole, seppure questo possa contribuire alla diffusione e alla memorizzazione.
Altra considerazione: i proverbi sono espressioni anonime, non forniscono indicazioni sull’autore e sul perché le abbia elaborate o sul preciso scopo a cui indirizzarli.
L’accortezza è nel non credere ciecamente nella filosofia degli adagi ma lasciarli scivolare nelle esperienze quotidiane, come semplici consigli. Quelli che non presentano il “doppione” inverso, possono essere considerati più attendibili e meno soggetti a smentite.
Il vero insegnamento del proverbio, da comprendere, è contrario a quello a cui si potrebbe pensare: non considerarlo una sentenza, non credere ciecamente alle facili verità proferite, diffidare della prosopopea di chi vi ricorre in veste di oracolo e sostenere il dubbio, utilizzando sempre la propria testa, valutando, criticamente, le circostanze che intervengono nel quotidiano.
Si cerca sempre la verità ma è bene capire dove essa sia: più che ai proverbi è “opportuno” prestare attenzione alle parabole di circa duemila anni or sono.