Da diverse settimane, ormai, gli agricoltori stanno protestando. Sono scesi in strada con i loro trattori e ora, minacciano di entrare a Roma se verrà rifiutato loro un incontro con il ministro dell’Agricoltura, Francesco Lollobrigida. A Sanremo, invece, l’istanza potrebbe finire sul palco dell’Ariston: “Altrimenti fermeremo il Festival”. Interris.it, ha intervistato Onofrio Rota, segraterio generale Fai-Cisl per approfondire l’argomento.
Dottor Rota, cosa chiedono gli agricoltori al governo e all’Europa?
“Non emergono messaggi univoci. In Italia ci sono richieste soprattutto per rivedere la Pac e il Green Deal. Il fatto è che la Politica agricola comune 2023-2027 stanzia oltre 300 miliardi per il settore, più di un terzo del bilancio europeo, Poi ci sono 4 miliardi l’anno riservati alle imprese di piccole dimensioni. È prevista l’istituzione di un fondo per far fronte agli shock dei prezzi e le conseguenze delle calamità naturali. Nel 2023 ci risultano erogati 500 milioni di euro alle aziende più colpite dalla crisi. Aggiungiamo che in Italia il Governo ha incrementato da 5 a 8 miliardi le risorse del Pnrr destinate al settore agricolo”.
Le risorse sono sufficienti?
“Difficile lamentare la scarsità di risorse. Semmai è fondamentale che queste risorse, che siano stanziate dall’Europa o dai singoli governi, giungano con tanto di relativa assistenza fiscale anche alle tante piccole e medie imprese che costituiscono una parte fondamentale della nostra agricoltura, per facilitare i necessari investimenti su formazione e nuove competenze, certificazioni, qualità e tracciabilità dei prodotti, innovazioni tecnologiche per la sostenibilità ambientale dei processi produttivi. Questo per dire che non basta prevedere un budget. I fondi non possono essere ‘a pioggia’ ma devono innalzare la qualità delle produzioni e del lavoro. In questo senso siamo tutti sulla stessa barca: aumentare i redditi degli agricoltori è importante anche per garantire la dignità dei lavoratori lungo tutta la filiera, per avere più reddito, più stabilità occupazionale e più sicurezza sul lavoro”.
Le proteste riguardano anche le difficoltà economiche, ad esempio la differenza tra il prezzo a cui gli alimenti vengono venduti ai fornitori e quello che poi pagano i clienti in negozio. Come mai la differenza è così alta?
“Che ci siano fenomeni speculativi lo denunciamo da tempo, sono stati anche rilevati da enti ispettivi e ricerche. Poi ci sono anche rincari dovuti alle condizioni di oggi, che sono diverse da quelle che avevamo quando sono stati concepiti la Pac e il Green Deal: pensiamo alla guerra in Ucraina, all’impennata dell’inflazione, al caro gasolio e caro energia, ai rincari dei seminativi, alla crisi dei porti. Oggi a valle della filiera abbiamo la grande distribuzione con un peso enorme, sia economico che decisionale, mentre a monte abbiamo l’aumento delle spese di produzione per gli agricoltori. Ecco perché stiamo avanzando diverse proposte per riequilibrare il valore lungo tutta la filiera del cibo, a cominciare dai prezzi anti caporalato, sotto i quali non si può vendere cibo”.
Molti dei manifestanti hanno affermato che alcuni dei problemi relativi alla produzione agricola sono causati dalle leggi che cercano di tutelare l’ambiente: è così?
“Gli agricoltori oggi denunciano una riduzione dei redditi e un eccesso di burocrazia. Ma attenzione a non semplificare una questione così complessa: la sfida non è affossare le politiche ambientali o la Pac, ma intervenire sulla sua revisione di medio periodo e con la giusta flessibilità per ogni singolo Paese, per dare risposte immediate senza smontare le conquiste ottenute sul piano ambientale o sociale, come la condizionalità che riduce i fondi pubblici, o li taglia nei casi più gravi, alle imprese che non applicano i contratti e sfruttano i lavoratori. Sono principi di buon senso, non possono essere considerati semplice burocrazia.Non bisogna permettere che si mettano in contrapposizione agricoltura ed ecologia, anche perché, come ripetiamo da sempre, i migliori custodi dell’ambiente sono proprio le tute verdi, categorie strategiche per affrontare la transizione ecologica. Semmai questo errore è stato fatto dall’Ue per alcune strategie verdi, scritte senza il sufficiente coinvolgimento delle associazioni agricole. Ecco perché oggi si è fatta marcia indietro sulla prevista riduzione del 50% degli agrofarmaci e del 20% dei fertilizzanti di sintesi entro il 2030. Però questa è una via da non abbandonare: dobbiamo salvaguardare assieme la sostenibilità economica con quella ambientale e sociale”.
Quanto incide sulle difficoltà economiche degli agricoltori l’arrivo nei mercati europei di prodotti agricoli da paesi dove il costo del lavoro è notevolmente inferiore al nostro?
“Incide molto ma anche su questo punto bisogna specificare due cose fondamentali. Primo, che molte campagne per il Made in Italy stanno funzionando, dunque tra i consumatori sia in Italia che all’estero cresce molto la consapevolezza del valore del cibo e in particolare di quello prodotto in Italia. Secondo, che sui mercati internazionali l’Italia sa stare con competitività e riconoscimento. Per dirlo in maniera più brutale: non puoi pretendere di contrastare l’import se poi hai fatturato oltre 64 miliardi grazie all’export. Non vanno demonizzati i mercati globali. La sfida è quella di ottenere accordi che rispettino il principio di reciprocità. Che nel nostro caso vuol dire garantire la tracciabilità delle produzioni per salvaguardare qualità del cibo, salute dei consumatori, sicurezza alimentare. Dobbiamo distinguerci su questi punti, spingendo gli altri Paesi a competere innalzando la qualità, non possiamo rincorrere le altre economie abbassando i costi sul lavoro. Ecco l’importanza strategica dei consumatori, che devono essere ben informati per scegliere liberamente cosa mangiare e agevolare le imprese oneste, che applicano le norme e rispettano i lavoratori”.
Come sindacato qual è la vostra posizione?
“Vanno ascoltate le istanze degli agricoltori ma devono essere di buon senso e devono rispettare le scelte delle associazioni agricole che a differenza di certi movimenti hanno alle spalle un percorso di democrazia e partecipazione trasparente. Forse dico una cosa controcorrente ma siccome non ci piace il populismo bisogna dirla: vedo un certo qualunquismo in questi movimenti di trattori, come fu per i forconi dieci anni fa. Sentiamo attribuire all’ambientalismo e all’Europa la colpa di qualsiasi cosa. Anche i consumatori rischiano di essere disorientati: molti approvano le proteste degli agricoltori perché vorrebbero mangiare sano e spendere meno, ma non credo che cancellare la riduzione dei fitofarmaci porti a un’alimentazione più sana. Sono contraddizioni su cui bisogna ragionare”.
Pensa che si riuscirà a trovare un accordo fra agricoltori, governi e Europa?
“Qualche proposta l’Europa già l’ha fatta, e sono convinto che si troveranno accordi. Però non si può neanche cedere a chi urla di più. Bloccare strade e creare disagio per milioni di cittadini non è un buon modo di protestare né negoziare. La settimana scorsa eravamo a Bruxelles proprio per un confronto sullo stato di applicazione della condizionalità sociale nella Pac, e quello che è accaduto va assolutamente condannato. Anche noi abbiamo fatto tante battaglie nelle piazze, ma mai promuovendo la violenza e mai senza una piattaforma di controproposte. Invece tra i trattori di questi giorni vedo molti slogan generici, spesso urlati da persone che si sono autoproclamate leader e portavoce di questo o quel movimento. Sappiamo anche di personaggi che non hanno messo piede in un campo o in un’azienda agricola. Ecco perché le richieste vanno veicolate nei percorsi di rappresentanza democratica. Altrimenti dobbiamo prendere atto che alla base delle proteste ci siano altri scopi, con il solo obiettivo di influenzare le prossime elezioni europee”.