L’atassia, inserita insieme alla distonia tra le cosiddette discinesie, è un disturbo coinvolgente il sistema nervoso, che si caratterizza per la graduale, seppur inevitabile, perdita di coordinazione motoria-muscolare. In particolare, le atassie, e le diverse sindromi atassiche, sono disturbi gravi, che esordiscono con pochi segni, ma degenerano lentamente e progressivamente. In genere, le prime manifestazioni coinvolgono le gambe, poi le braccia, per poi intaccare anche la voce, compromettendo l’articolazione della parola, la muscolatura, l’udito e la vista.
L’incidenza dell’atassia
Una delle peculiarità delle sindromi atassiche è la relativa rarità, ad esempio, nel nostro paese, si stima che all’incirca cinquemila persone ne siano affette in varie forme. Nel dettaglio, secondo gli studi effettuati in merito, sembra che siano colpite 4 o 5 persone ogni centomila. L’insorgenza delle prime manifestazioni della malattia muta in base alla forma dalla quale il soggetto è colpito, ad esempio, per quanto riguarda l’atassia di Friedrich, l’insorgenza si verifica nell’infanzia.
L’azione di A.i.s.a
In Italia, la principale associazione di tutela e sensibilizzazione nei confronti di questa patologia è A.i.s.a, ossia l’Associazione Italiana per la lotta alle Sindromi Atassiche che nasce all’inizio degli anni ’80, quando ancora questa patologia era sconosciuta, grazie all’impegno e alla tenacia di un gruppo di genitori di bambini affetti da atassia. Interris.it, in merito a questo argomento, ha intervistato Antonella Moggi, dal 2016 presidente di A.i.s.a Lombardia e mamma di un ragazzo affetto da atassia di Friedrich.
L’intervista
Come nasce e che obiettivi si pone A.i.s.a?
“A.i.s.a è nata quarant’anni fa, nel 1982, nel magentino, da un gruppo di genitori ai cui figli era stata fatta la diagnosi di atassia. In realtà, all’epoca, erano pochi genitori coadiuvati dal genetista dell’istituto Besta di Milano, il quale appunto, alla domanda dei genitori su cosa si potesse fare, il professore ha risposto di fondare un’associazione facendosi carico di aiutare la formazione della stessa. Nel tempo, a tale gruppo, si sono unite varie famiglie in Italia ed è appunto nata Aisa. Adesso siamo presenti in quasi tutta Italia con delle sezioni regionali dedicate. Non siamo tantissimi, perché appunto sono malattie rare. Ci sono comunque tanti tipi di atassie e quindi è una rarità relativa. Il nostro obiettivo, fin dall’inizio, è stato chiaramente la ricerca, perché erano malattie che non si conoscevano, di difficile diagnosi e, pertanto, la stessa è stata il motore che ha fatto partire l’associazione. In seguito, la finalità è quella di essere vicino alle famiglie nell’affrontare questo percorso di vita non facile”.
Quali sono le attività che Aisa Lombardia pone in essere nei confronti delle persone con disabilità e delle famiglie?
“Ci sono diversi progetti, uno con una psicologa, un altro di auto mutuo aiuto costituito da piccoli gruppi dedicati sia ai pazienti che ai familiari con due diversi psicologi. L’obiettivo degli stessi è di metterci a confronto e trovare delle strategie di accettazione per fronteggiare le varie problematiche poste dalla malattia. Oltre a questo, ci sono attività di terapia vocale e fisioterapia. Siccome siamo piccoli e sparsi sul territorio non è facile mettere insieme un gruppo di pazienti. Però, con il lockdown che, da una parte, è stato devastante, dall’altra ha consentito, perlomeno per la terapia vocale, di utilizzare una metodologia online, per la quale ora ci sono molti più pazienti che non in presenza. Per quanto riguarda il tempo libero invece, siamo stati fermi per un po’ di tempo a causa della pandemia ed ora, nel nostro piccolo, cerchiamo di organizzare qualche attività nel nostro centro per la raccolta fondi, ad esempio degli eventi, spettacoli, la partecipazione a sagre di paese piuttosto che mercatini con manifestazioni. Ciò, se non altro, è un modo per stare insieme, per trovarsi e scambiare opinioni. Prima del lockdown, ogni anno, facevamo un convegno nel quale i medici erano a disposizione delle famiglie e dei pazienti, per raccontare l’andamento della ricerca oltreché rispondere alle domande e ai dubbi che potevano sorgere, ma anche per stare insieme. Lo stesso vale per il pranzo di Natale che speriamo di poter riproporre quest’anno se le cose non saranno gravi come negli anni precedenti”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro in riguardo all’inclusione delle persone con disabilità e fragilità? In che modo, chi lo desidera, può aiutare la vostra opera?
“Gli auspici per il futuro sono tanti. Soprattutto, per l’inclusione delle persone con disabilità e fragilità, anche della nostra associazione. Una cosa importante è l’accesso al mondo del lavoro. Ma, prima di tutto, promuovere, per la salvaguardia della salute, una fisioterapia che possa essere disponibile per tutti, in quanto purtroppo adesso non è così. Le nostre malattie vengono considerate croniche e, di conseguenza, vengono dati pochi cicli di terapia, di quaranta sedute all’anno, se non in pochi centri, che riescono a dare qualche terapia in più. Un altro elemento importante, potrebbero essere dei centri per il lavoro in quanto le persone, fino a che possono lavorare, dovrebbero essere inserite. Purtroppo, c’erano dei progetti in merito, anche di altre associazioni, che poi non sono più stati finanziati e si occupavano di collocamento mirato. Quindi, delle aziende si rivolgevano a questo servizio e lo stesso, in base alle rispettive esigenze, poteva proporre una persona che faceva al caso loro. Ciò era molto importante ed auspico che possano tornare ad esserci perché il mondo del lavoro è estremamente importante. Chiaramente, le nostre malattie sono neurodegenerative, quindi arriva il momento in cui si verifica un peggioramento e non c’è più la possibilità di lavorare. Però, se la si ha avuta negli anni precedenti, anche la qualità della vita è molto diversa, in quanto si è inseriti in un contesto sociale nel quale si è visibili a qualcuno e dove ci si sente socialmente utili. Ciò ha una grande importanza perché, al di là della disabilità motoria, c’è molto da dare e questo è fondamentale. Ci si può aiutare in vari modi, chiaramente raccogliamo fondi per la ricerca e ciò è basilare. Mancano anche volontari e, a volte, essendo su territori molto vasti, è difficile fare le cose in gruppo. In particolare, siccome le nostre disabilità possono essere importanti, anche dal punto di vista della difficoltà nell’eloquio, ci sarebbe bisogno di persone che, anche all’interno di un gruppo, siano in grado di far parlare questi ragazzi. Nel senso che, una persona che fa fatica a esprimersi, possa essere aiutata da un volontario a farsi capire e instaurare una conversazione. Ciò ha una grande valenza in quanto, spesso, le persone non parlano perché pensano di non essere capite. La presenza e la compagnia sono fondamentali perché, certi tipi di disabilità, portano all’isolamento”.