Dargli voce, ascoltare, personalizzare, fare rete e sostenere. La persona con disabilità può vivere una vita spirituale, relazionale e lavorativa grazie al supporto che nasce dall’ascolto attento dei suoi bisogni e dall’impegno unitario dei diversi mondi che la sostengono.
Il ciclo di incontri Una crisi da non sprecare organizzato dal Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità della Conferenza episcopale italiana, si rivolge a chi si occupa di persone con disabilità in diverse realtà, dalle parrocchie alle associazioni alle strutture professionali.
Nell’incontro di lunedì 6 settembre Una crisi da non sprecare: come si realizza un progetto di vita intervengono suor Veronica Donatello, responsabile del Servizio Cei per la Pastorale delle persone con disabilità, e il professor Roberto Franchini, docente del dipartimento di Pedagogia dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Brescia. A seguire due laboratori online, uno per gli operatori pastorali e l’altro per gli operatori delle residenze per persone con disabilità.
L’intervista
In Terris ha intervistato il professor Franchini in merito alle modalità e alle finalità di questo progetto e su come si possano mettere al centro i reali bisogni delle persone con disabilità.
Professore, ci spiega in cosa consiste questa iniziativa?
E’ l’ultima puntata di una serie d’incontri, iniziati immediatamente dopo la prima ondata della pandemia, che hanno come obiettivo generale l’allargamento della visione pastorale alla logica del progetto di vita. Nel corso degli incontri sono stati affrontati temi esistenziali come l’inclusione, la famiglia e la qualità della vita. Quest’ultimo incontro vuole essere una chiusura “pratica” di tutto questo percorso, cioè la convergenza dei valori e degli obiettivi nello strumento metodologico del progetto di vita – simulata all’interno di alcune sessioni di lavoro parallele divise in due ambiti, quello delle strutture residenziali e quello delle unità pastorali.
A chi si rivolge?
Il webinar è rivolto a chi si occupa di persone con disabilità. Da quando l’ufficio di suor Veronica Donatello è diventato Servizio nazionale per la Pastorale delle persone con disabilità ci siamo posti il problema di come raggiungere le persone che a diverso titolo si occupano di disabilità. Realtà come parrocchie, famiglie, strutture, associazioni. Da una parte le parrocchie curano la pastorale delle persone disabili dal punto di vista catechistico e dei sacramenti, dall’altra le strutture operano con una visione professionale centrate sulle loro risorse. Il Progetto di vita dovrebbe servire a unirle, nella promozione umana, secondo una logica long life con uno sguardo ampio, di rete territoriale che coinvolga tutti i mondi vitali. Così si può rispondere ai loro bisogni.
Qual è l’obiettivo?
I servizi di supporto alle persone con disabilità oggi hanno due difetti. Il primo è che si appoggiano alle offerte esistenti. Se in un territorio c’è un oratorio o un centro diurno, allora si manda la persona all’oratorio o al centro diurno. Non si va oltre, così la progettazione rischia di essere centrata su quello che si ha a disposizione e non sui veri bisogni della persona. Il secondo difetto, conseguente, è che si genera spesso una frammentazione in cui le diverse realtà, come le parrocchie o i centri residenziali, operano ciascuno per proprio conto. Il cambiamento che ci attendiamo è che tutti coloro che si occupano di persone con disabilità incomincino a partire dai loro bisogni, letti secondo una metodologia particolare, per trovare insieme le risposte appropriate ai bisogni.
Cos’è un Progetto di vita?
E’ la denominazione dell’elemento centrale del metodo e con questo vogliamo superare vecchie definizioni come progetto educativo o riabilitativo, come se dovessimo sempre educare o riabilitare la persone con disabilità per tutta la vita. Se questa logica è legittima durante il periodo dell’età evolutiva, nell’età adulta la vera ottica è quella del sostegno per far sbocciare una vita. Una vita spirituale, una vita di inclusione, una vita di lavoro. Il concetto non è educare ma come facilitare, sostenere, accompagnare la vita. E allora ecco questa denominazione, che si appoggia su tutta la letteratura esistente sulla definizione di qualità della vita. La vere domande sono come includere la persona, come sostenerla nella sua autodeterminazione, nella vita spirituale, come accompagnarla al lavoro. Nell’età adulta dobbiamo dargli voce, capire da loro quali sono i loro desideri, le priorità, le aspettative. Nell’età adulta la logica deve essere legata al sostegno alla vita.
Come funziona l’ascolto delle persone disabili?
Serve un ascolto non solo predicato ma metodologicamente attrezzato. Nei modelli sulla qualità della vita, elaborati alla luce di una riflessione internazionale, è centrale il metodo dell’intervista. Ci sono modelli d’intervista che puntano a riconoscere i veri bisogni esistenziali della persona, utilizzando tracce aperte, ma molto rigorose, che fungono da guida in modo tale da essere realmente centrati sulla voce della persona con disabilità.
Quale impatto ha avuto la pandemia su questa attività?
E’ stato una tragedia per tutti e ha amplificato ciò che non funzionava. Se già prima era sbagliato concentrare tutte le persone con disabilità nello stesso posto a fare la stessa cosa, con la pandemia non si possono creare assembramenti per cui vanno pensati e realizzati percorsi altamente personalizzati. Ciò significa non rispondere alla logica della concentrazione, ma a quella dei vari ecosistemi in cui ognuno di noi è chiamato a dare il meglio di sé, passando dalla standardizzazione alla personalizzazione. Ma questo è possibile solo se tutte le risorse si mettono insieme.