In Italia, si stima che, circa 1 bambino su 77 di età compresa tra i 7 e i 9 anni, presenti un disturbo dello spettro autistico. La prossimità alle persone con autismo passa primariamente attraverso un’attenzione adeguata al Progetto di Vita di ogni individuo. Ciò significa edificare un percorso individuale diverso per ciascuno e sempre attento alle nuove esigenze del singolo e dei familiari caregiver, con l’obiettivo di mettere sempre al centro l’inclusione e il rispetto della dignità. Interris.it, in merito a questo tema, ha intervistato Fabrizia Rondelli, presidente dell’associazione “L’Ortica”, madre caregiver ed educatrice.
L’intervista
Rondelli, che importanza ha il Progetto di Vita per le persone con autismo?
“Il Progetto di Vita è importantissimo. Dal momento stesso in cui viene fatta una diagnosi e guardando in prospettiva e al futuro, considera diversi aspetti, come ad esempio una soluzione abitativa o un’occupazione lavorativa. Bisogna però aver chiaro in che direzione si vuole andare, puntando tutti al miglioramento. Però, se si punta a creare condizioni di vita perlomeno autonome, occorre iniziare a lavorarci da subito, mettendosi nelle condizioni di riabilitare la persona. Il momento della diagnosi, su questo versante, costituisce una componente fondamentale perché, da quel momento, tutto ha inizio. Se si riceve una diagnosi dove viene detto che, il proprio figlio, è autistico ma può dedicarsi ad una occupazione lavorativa e dedicarsi a delle attività ci si predispone in un modo mentre, se si dice altro, le prospettive sono diverse. Così facendo, essi riescono ad acquisire delle autonomie che possono essere messe a frutto nell’età adulta”.
Quali sono i suoi auspici per lo sviluppo del Progetto di Vita? Qual è l’impegno de “L’Ortica” in merito?
“L’associazione ‘L’Ortica’ si sta battendo affinché, il Progetto di Vita, diventi uno strumento sempre più fondamentale. Ci impegniamo affinché, si prenda consapevolezza del fatto che, dopo la diagnosi e nel percorso verso la scuola e l’inclusione lavorativa, si possono fare degli interventi in merito. Vogliamo aiutare a prendere consapevolezza: nel momento in cui si capisce qual è il problema e lo si affronta si è già a metà strada e nella direzione giusta. ‘Ortica’ mette a disposizione gli strumenti per attuare il Progetto di Vita”.
Recentemente avete svolto a Roma un convegno sul tema del Progetto di Vita. Quali sono stati, secondo lei, i temi di maggior rilevanza che sono emersi?
“I temi emersi nel corso del convegno sono stati diversi. Uno è stato sicuramente il modo in cui vengono effettuate le diagnosi, la mancanza di un lavoro di equipe disciplinare nei contesti scolastici, ad esempio nello stilare il Pei, per il quale, molto spesso, diventano un po’ tutti autoreferenziali, mentre invece ci vuole un lavoro di rete. Sicuramente, è emersa anche la mancanza di leggi appropriate e, di conseguenza, dell’assegnazione di fondi adeguati e di professionisti. Sono poi state portate diverse esperienze riguardanti l’occupazione lavorativa delle persone con autismo e disabilità intellettiva. Avere un lavoro significa, anche e soprattutto, essere gratificati e migliorare la propria autostima, dando un senso alla rispettiva quotidianità”.
Come vorrebbe veder mutare il rapporto delle istituzioni preposte in riguardo al tema del Progetto di Vita?
“Vorrei che, in riguardo al tema del progetto di vita, le persone collaborassero maggiormente tra di loro. Auspico che, le istituzioni, abbiamo maggior contatto con le famiglie dei caregiver, raccogliendo le loro istanze e facendosene carico. È necessario istituire un osservatorio per conoscere quali sono i numeri esatti delle persone con autismo in Italia perché, se non lo si sa, è molto difficile fare delle proiezioni. Servono dei servizi efficaci, non è possibile che si continui a pensare di delegare ogni cosa alle famiglie perché non tutte, hanno le competenze necessarie per sviluppare un Progetto di Vita”.