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Progetto “Sanità Italia-Ciad”, la formazione e l’innovazione che migliorano la salute

L'intervista di Interris.it al professor Vittorio Colizzi, docente di immunologia a capo di un progetto di cooperazione sanitaria in Ciad

La Repubblica del Ciad, è uno Stato dell’Africa centrale che confina a nord con la Libia, a est con il Sudan, a sudovest col Camerun e la Nigeria, a ovest col Niger e a sud con la Repubblica Centrafricana. Ha una superficie di 1 284 000 km² e una popolazione di quasi diciassette milioni di abitanti. Il paese è una ex colonia francese indipendente dal 1960, la cui capitale è N’Djamena.

La situazione sociale

Il Ciad è uno tra i Paesi più poveri al mondo, nel quale il 66% dell’intera popolazione vive sotto la soglia di povertà. Per quanto riguarda le fasce più deboli della popolazione, l’estrema povertà e le numerose carenze nel sistema scolastico, seppur gratuito e obbligatorio, portano ad avere il 43% dei bambini sotto i cinque anni malnutriti. In particolare, secondo i dati delle Nazioni Unite, nel corso del 2022, cinque milioni e mezzo di persone, hanno avuto bisogno di assistenza umanitaria. Inoltre, dal punto di vista sanitario, il paese presenta un quadro di grande fragilità, basti pensare che l’OMS ha fissato la soglia di ventitré medici e infermieri disponibili ogni diecimila abitanti; e in Ciad ci sono solo 0,4 medici ogni diecimila abitanti, cioè su una popolazione di diciassette milioni di persone si contano cinquemila infermieri e solo settecento medici.

Il progetto “Sanità Italia-Ciad”

Il progetto “Sanità Italia-Ciad: Formazione e Innovazione Tecnologica AID 12582” è finanziato dall’AICS, ovvero l’Agenzia Italiana per la Cooperazione allo Sviluppo di Khartoum e gode della stretta collaborazione con il Ministero della Salute del Ciad, che lo ha inserito nel Piano di Politica Nazionale Sanitaria 2016-2030. In particolare, tale progettualità, alla cui guida c’è l’Università degli Studi di Roma Tor Vergata, in cordata con altre realtà italiane e internazionali, prevede di migliorare la salute degli abitanti del Ciad, contribuendo allo sviluppo delle infrastrutture e del personale sanitario locale. Interris.it, in merito alle finalità e all’evoluzione concreta del progetto nel paese africano, ha intervistato il professor Vittorio Colizzi, docente di Immunologia e Patologia all’Università di Roma Tor Vergata nonché capo della progettualità in atto.

Incontro della delegazione italiana con il ministro della Salute del Ciad (© Progetto “Sanità Italia – Ciad”)

L’intervista

Come nasce e che obiettivi ha il progetto “Sanità Italia – Ciad”?

“Il Ciad è sempre stato una priorità per l’Italia dal punto di vista geopolitico in quanto, tutta quella zona, rappresenta il confine reale della migrazione nella zona sotto il Sahara. Rientra in questo, lo sviluppo di progetti di cooperazione in questa zona. A tal proposito, l’università di Tor Vergata è stata intesa come capofila di un progetto in Ciad che affronta problemi sia di alta formazione degli specialisti chirurghi, gastroenterologi, cardiologi e anche dei servizi ospedalieri della sanità di base per far sì che i malati possano essere curati in quel paese, mediante strutture, strumenti e personale adeguato”.

Qual è attualmente la situazione sanitaria del Ciad?

“La situazione in Ciad è simile a quella di molti altri paesi africani. C’è un sistema sanitario che non ha il sistema assicurativo nazionale, ossia i pazienti devono pagare tutto, dall’ago del filo per gli interventi chirurgici, fino ad arrivare alle analisi biologiche di laboratorio. A volte, i pazienti, non si possono permettere tali costi; quindi, arrivano negli ospedali in fase molto avanzata di malattia perché, nella fase iniziale, si fanno curare dai medici tradizionali con prodotti locali. La situazione, dal punto di vista strutturale, sta migliorando, in quanto ci sono gli ospedali di zona, di distretto, di regione e nazionali. Però, di fatto, la mancanza di un sistema assicurativo nazionale, che è uno degli obiettivi principali dell’Organizzazione Mondiale della Sanità per tutta l’Africa, ma ancora non c’è e, di conseguenza, tutto si basa sui pagamenti di ogni singolo atto. Ogni volta, i pazienti, arrivano sempre tardi è c’è una sanità bassa”.

La formazione del personale sanitario locale (© Progetto “Sanità Italia – Ciad”)

Che cosa si intende per approccio “One Healt”?

“One Healt” è una tipologia di approccio a cui, ormai da dieci anni, l’Oms sta chiedendo a tutti i paesi di adattarsi. Tale approccio, prevede che, la salute umana, dipende anche da quella degli animali e da quella ambientale. In altre parole, non si può pensare di mantenere uno stato di salute e di benessere dell’uomo se non si cura anche l’aspetto animale e ambientale. Quindi, questo processo, specialmente in zone aride, come ad esempio il Sahel e in luoghi dove ci sono più specie animali che uomini e in aree in cui la popolazione è nomade e si pratica la pastorizia, il rapporto tra uomo, animale e ambiente risulta particolarmente importante.”

Quali sono i vostri auspici per il futuro in riguardo al miglioramento delle condizioni della sanità in Ciad?

“In riguardo ai due policlinici universitari su cui ci stiamo focalizzando, i nostri auspici sono di formare dei nuovi specialisti, in chirurgia, gastroenterologia, cardiologia e microbiologia, ossia degli specialisti che abbiano le capacità tecnologiche migliori, quindi fornendo loro anche gli appositi strumenti, come il laparoscopio per fare interventi in laparoscopia invece che a cielo aperto. Questo comporta meno infezioni, tempi di ricovero inferiori e, di conseguenza, tempi di ricovero inferiori per il paziente. Pertanto, alla luce di ciò, contestualizzare le nuove tecnologie con l’obiettivo di renderle ottimali per quell’ambiente e quei pazienti. Ciò significa migliori servizi, migliori tecnici e, ci auguriamo che, questo comporti un innalzamento del livello della sanità Ciad. Il ruolo dell’Italia è di facilitare questo processo che, ovviamente, è molto lungo e deve essere inserito nel processo economico e di sviluppo sociale del paese”.

 

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