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Professione reporter: le notizie a costo della vita

La tragedia della giornalista di Al Jazeera, uccisa uccisa durante gli scontri fra miliziani palestinesi e l’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania

Durante la guerra le notizie ci arrivano sono principalmente grazie ai media, a tutti quei giornalisti sparsi per il mondo, spesso in zone difficili, che verificano le fonti e rischiano in prima persona pur di informarci. Molto spesso ci dimentichiamo dei pericoli che questi professionisti corrono quando ci parlano dai luoghi in cui si svolgono i combattimenti o ci raccontano storie di mafia, corruzione e tutte quelle notizie scomode che li espongono a ritorsioni. Sono delle persone che rischiano la vita tutti i giorni, pur di dare le notizie in tempo reale, credendo che un mondo più informato sia un mondo più libero e democratico. In questo periodo storico sono molti i giornalisti impegnati in prima persona, penso innanzitutto a quelli che stanno raccontando la guerra in ucraina.

I giornalisti morti sul lavoro

Alcuni di loro sono morti mentre svolgevano il loro lavoro. Penso ai cronisti sudamericani che raccontano la guerra dei narcos, quelli italiani che vivono sotto scorta perché minacciati dalla criminalità organizzata. Penso a Dafne Caruana Galizia, reporter, moglie e madre uccisa per le sue inchieste nel 2017, o a Antonio Megalizzi, giovane giornalista morto nell’attentato terroristico di Strasburgo. A questa lista, purtroppo, si è aggiunta la giornalista cristiana di Al Jazeera, Shireen Abu Akleh, uccisa durante gli scontri fra miliziani palestinesi e l’esercito israeliano nel campo profughi di Jenin in Cisgiordania, con lei c’era anche un altro giornalista che è rimasto ferito durante lo scontro.

Shireen Abu Akleh

Akleh era considerata una veterana nel mondo dell’informazione nella sua zona e lavorava per Al Jazeera dal 1997, tutti la ricordano per la sua dedizione al lavoro e la sua gentilezza. Non c’era luogo di questo territorio che lei non avesse raccontano, testimoniando cosa volesse dire vivere in un contesto di continua tensione. Questo rende ancora più grave il crimine che è stato commesso nei suoi confronti. Secondo i testimoni infatti sarebbe stata colpita al volto, mentre indossava un giubbotto che indicava chiaramente che era un membro della stampa. Queste notizie che ci arrivano non sono le prime e non saranno le ultime e non ci devono far dimenticare l’importanza che può avere un corrispondente in territori che ancora adesso si trovano sotto assedio o sotto attacco. La prima cosa che mi viene in mente leggendo notizie come queste, l’amore che ci mettono queste persone per permetterci di essere informati 24 ore su 24, è che spesso sottovalutiamo il lavoro, l’impegno e la forza che ci mettono. Anche in Ucraina per esempio, dall’inizio della guerra, molti giornalisti sono rimasti nei bunker o nei sotterranei, senza scappare, pur di continuare a fare il loro lavoro e noi non possiamo che esserne grati ogni giorno.

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