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Prof. Carosi: “Il primo farmaco specifico per l’epatite Delta è un importante successo”

Nella Giornata mondiale dell’epatite, l’intervista di Interris.it all’infettivologo dell’Università degli studi di Brescia Giampiero Carosi

“One life, one liver”. Una vita, un fegato. E’ il messaggio dell’edizione di quest’anno della Giornata mondiale dell’epatite, iniziativa dell’Organizzazione mondiale della Sanità (Oms) per alzare la soglia dell’attenzione e aumentare gli sforzi per il contrasto a questa malattia, un’infiammazione del fegato causata da un virus infettivo, ancora scarsamente coperta a livello di test diagnostici e di trattamenti.

L’alfabeto delle epatiti

Ci sono cinque ceppi principali del virus dell’epatite, A, B, C, Delta ed E. I tipi B (e Delta in caso di coinfezione o sovrainfezione) e C generano malattie croniche e, insieme, rappresentano la causa più comune di cirrosi epatica, cancro al fegato e decessi legati all’epatite virale. Si stima che 354 milioni di persone in tutto il mondo convivano con l’epatite B o C, e per la maggior parte di esse il test e il trattamento rimangono fuori portata.

La data

Il 28 luglio è stato scelto in quanto data di nascita dello scienziato premio Nobel Baruch Blumberg, che ha scoperto il virus dell’epatite B (HBV) e ha sviluppato un test diagnostico e un vaccino per il virus.

L’intervista

In occasione della Giornata mondiale contro le epatiti, Interris.it ha intervistato il professore emerito di malattie infettive dell’Università degli studi di Brescia Giampiero Carosi.

Recentemente l’Agenzia italiana del farmaco ha approvato un nuovo trattamento per l’epatite Delta. Cosa rappresenta questa novità?

“Finora non c’era un trattamento specifico, si usava l’interferone ma con un modesto successo nella riduzione della viremia, nell’ordine 5-10%. Il bulevertide invece, farmaco della categoria degli inibitori dell’ingresso – impedisce cioè al virus di penetrare nella cellula – è la prima vera terapia per cui c’è il riconoscimento come farmaco innovativo, per cui viene riservato un fondo speciale. L’Agenzia del farmaco europea (Ema) ha dato l’autorizzazione alla sua immissione in commercio in forma condizionata, in attesa di mantenere o meno il riconoscimento di farmaco innovativo anche successivamente. Tra l’altro è la prima volta che un farmaco, oltretutto prodotto da un’azienda statunitense, viene registrato prima nell’Unione europea che negli Usa. Dopo il passaggio all’Ema, il Comitato tecnico-scientifico dell’Aifa italiana dà indicazione per la registrazione in Italia e il Comitato prezzi e rimborsi fissa il prezzo e decide se il medicinale rientra fra quelli rimborsabili dal Servizio sanitario nazionale. Questo farmaco ci dà grosse speranze contro una malattia molto seria, anche se numericamente non molto importante, ed è indicato per i casi di malattia cronica compensata, cioè quando non si è arrivati ancora allo stadio cirrosi, negli adulti, purché abbiano anticorpi anti-Delta e HBVRna, cioè virus attivo”.

Quali sono le caratteristiche dell’epatite Delta?

“E’ la più grave delle epatiti e la sua mortalità può arrivare, nei casi più gravi, anche al 50% dopo i cinque anni. Il virus Delta è un virus difettivo, che ha bisogno di quello dell’epatite B per replicarsi. L’infezione può avvenire in due condizioni diverse: la coinfenzione, più frequente, e la sovrainfezione, più grave. Nel primo caso si è infettati dai due virus contemporaneamente, nel secondo il virus Delta si sovrappone a una preesistente epatite B, che ha già danneggiato il fegato. Per diagnosticare l’epatite Delta dobbiamo prendere tutti i casi della B e osservare chi tra questi ha anche gli anticorpi anti-Delta (HBVAb) e se il virus è attivo (HBVRna). Non è una malattia frequente, si stima che in tutto il mondo vi siano circa cinque milioni di casi, di cui 230mila presenti tra Stati Uniti ed Europa. In Italia si stima che siano tra il 5 e il 10% di tutti i casi di epatite B”.

Quali sono i numeri delle epatiti nel nostro Paese?

“Si possono fare solo delle stime, sia a livello globale che italiano. Nel mondo ogni anno un milione di persone muore per le complicanze dell’epatite cronica B e C, ogni giorno si registrano tremila nuove infezioni. Nel mondo i casi di epatite B si aggirano sui 260 milioni, l’1,5% di questi fra Usa e Unione europea, e quelli di epatite C intorno ai 70 milioni, sempre l’1,5% fra Usa e Ue, variamente distribuiti. In Europa si stimano meno di 5 milioni di casi di epatite B e 400mila di epatite Delta. Nel nostro Paese, a spanne, le stime si aggirano su un milione di casi di epatite C e mezzo milione di casi di epatite B, un 5-7% di questi casi sono epatite Delta. Questi dati, comunque parziali, li deduciamo dal numero degli screening che vengono effettuati e dalle indagini di sieroprevalenza. Nelle indagini condotte negli anni Settanta-Ottanta si registrava un’alta prevalenza tra chi era nato tra gli anni Cinquanta e Sessanta, rispetto a chi è nato invece negli anni Ottanta, dopo l’introduzione della vaccinazione per l’epatite B, divenuto obbligatorio nel 1991”.

Quali sono i problemi di salute causati dalle epatiti?

“Le epatiti A ed E non cronicizzano ma danno solo casi acuti, a differenza delle B, D quando associata, e C. Le prime due si trasmettono per via orale e solo in meno di un caso su mille causano epatiti fulminanti a prognosi infausta, mentre le altre si veicolano attraverso il sangue, le siringhe delle persone che fanno uso di sostanze stupefacenti, o per via sessuale. Tutte le epatiti danno gli stessi sintomi nella fase acuta e le forme croniche, a lungo asintomatiche, danno le stesse complicanze di salute. Il processo evolutivo è comune: il primo stadio di complicanza è rappresentato dalla fibrosi, quando il tessuto epatico viene sostituito pressoché del tutto da un tessuto cicatriziale allo stadio finale, la cirrosi. La classificazione dello stadio a cui si trova è possibile grazie al Fibroscan. Riguardo l’ultimo stadio, possiamo avere la cirrosi compensata, oggi trattabile con i nuovi farmaci, mentre al di là di questa ci sono lo scompenso epatico e il carcinoma epatico. Se non si interviene con delle terapie pesanti, come la resezione, o le terapie loco-regionali non resettive, l’ultima spiaggia resta il trapianto di fegato”.

A livello globale l’accesso alle cure per le epatiti è sufficientemente garantito o ci sono diseguaglianze?

“I test di screening e diagnostici costano pochi euro, così come sono economiche le terapie per l’epatite B che arrestano la replicazione del virus, mentre per l’epatite C, negli ultimi cinque anni, disponiamo di farmaci che non solo arrestano la replicazione ma eradicano il virus, facendo pertanto guarire il paziente. Per ora però l’accesso alle cure è soddisfacente solo negli Usa e in Ue, perché all’atto pratico i sistemi sanitari nel mondo sono diseguali e in diversi Paesi in via di sviluppo persistono carenze importanti nelle diagnosi e nelle notifiche, anche se in Africa ci si vaccina abbastanza frequentemente per l’epatite B. Non dimentichiamo però che anche da noi appena il 10% di chi ha l’epatite B sa di averla, perché, presentando una sintomatologia molto sfumata, non ricorre ai test diagnostici. Il Ministero della Salute, a questo proposito, lancia diverse campagne per lo screening, puntando a far emergere le epatiti sommerse”.

Quanto è lontano l’obiettivo di debellare le epatiti?

“L’Organizzazione mondiale della Sanità fissa periodicamente dei traguardi molto ottimistici e praticamente non raggiungibili, ma molto importanti perché danno un orizzonte a cui guardare. Gli ultimi, fra questi traguardi auspicano che entro il 2030 dovrebbe essere diagnosticato il 90% dei casi di epatite B e C (a tutt’oggi è diagnosticato il 10%-20%), e dovrebbe essere trattato l’80% dei casi diagnosticati, mentre sappiamo che a tutt’oggi sono solo il 20% dei casi di epatite B e il 60% dei casi di epatite C. Si conferma pertanto che si tratta di auspici improbabili da raggiungere ma molto utili perché indicativi”.

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