Sono in molti a chiederci, per telefono o per lettera od anche di persona, nei contatti che abbiamo con i nostri lettori, come devono votare al prossimo referendum. In Terris ospita da giorni numerosi articoli di illustri opinionisti e di esperti per fare da guida ad una scelta consapevole di espressione del proprio voto.
La chiamata alle urne
L’obbligo, morale e giuridico, è di recarsi a votare mentre la scelta deve limitarsi ad essere libera e consapevole. Ricordiamo che nella stessa giornata si vota anche in molti comuni che hanno necessità di rinnovo delle cariche per scadenza mandato o per scioglimento anticipato; sono ben 962 i comuni italiani tra cui diciotto capoluoghi di provincia (Agrigento, Andria, Arezzo, Bolzano, Chieti, Crotone, Enna, Fermo, Lecco, Macerata, Mantova, Matera, Nuoro, Reggio Calabria, Trani) e tre capoluoghi di regione (Aosta, Trento e Venezia). Si vota anche per il rinnovo dei Consigli regionali in ben sette regioni: Campania, Marche, Toscana, Liguria, Veneto, Puglia, Valle d’Aosta. Nelle stesse giornate elettorali fissate per domenica 20 (dalle ore 7 alle ore 23) e lunedì 21 settembre (dalle ore 7 alle ore 15) i cittadini di tutta Italia sono chiamati anche a votare per il referendum sulla legge di modifica della Costituzione della Repubblica che ha ridotto il numero dei deputati alla Camera da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200, con la riduzione a cinque dei senatori a vita contemporaneamente in carica.
I fautori del “no”
C’è gran confusione nelle indicazioni di voto come nei messaggi di propaganda a favore dell’una o dell’altra tesi, giacché i fautori del no richiamano la fine della democrazia per effetto della rinuncia ad eleggere i senatori che sarebbero eletti dai Comuni mentre i fautori del sì insistono per il risparmio della spesa pubblica e la semplificazione delle procedure. Nessuno di questi argomenti è vero e corrisponde al quesito che viene posto né la modifica proposta ha le conseguenze che vengono minacciate. Chi vuole può leggere il testo della legge di riforma costituzionale pubblicata sulla gazzetta ufficiale della Repubblica n. 240 del 12 ottobre 2019 reperibile a questo indirizzo.
Si tratta unicamente della riduzione dei deputati da 630 a 400 e dei senatori da 315 a 200 (con la limitazione a 5 dei senatori a vita contemporaneamente in carica). Nessuna modifica sul sistema elettorale che viene riconfermato su base circoscrizionale per la Camera e su base regionale per il Senato. Nessuna cessione del diritto di eleggere i parlamentari con delega ad altri, quindi, ma mantenimento dello stesso sistema elettorale.
Il nodo della base numerica
Nessun miglioramento rispetto agli altri paesi europei che hanno lo stesso attuale rapporto di rappresentanza tra popolazione e parlamentari (circa 1 rappresentante ogni 100.000 abitanti). E allora dov’è il problema? Nella diversa base numerica elettorale per concorrere alla elezione dei parlamentari e nella incidenza che il diverso rapporto tra elettori ed eletti ha sulle minoranze. Ed infatti, a seguito delle modificazioni proposte, se vincesse il SI il numero degli abitanti per deputato aumenterebbe così da 96.006 a 151.210 mentre il numero di abitanti per ciascun senatore aumenterebbe da 188.424 a 302.420.
Nessuna modifica, invece, se vincesse il NO. Non v’è chi non veda che la riforma non contiene alcuna delega a terzi né alcuna rinuncia al diritto di voto, né tanto meno mette in discussione la ripartizione dei seggi tra le circoscrizioni e le regioni. Né è vero che il risparmio sulla spesa pubblica sia significativo e determinante posto che è stato calcolato in poco meno di un euro all’anno per elettore; infine, è palese che il parlamento non viene agevolato nei suoi compiti di discussione ed emanazione delle leggi.
Una modifica sensibile
La gran parte delle preoccupazioni che circolano, quindi, non sono affatto corrispondenti alla verità e chiunque può sincerarsene leggendo il testo della riforma costituzionale proposta. Ma occorre considerare da un canto che l’attuale rapporto di rappresentanza tra elettori ed eletti vigente in Italia è simile a quello degli altri maggiori Paesi europei con la Gran Bretagna in testa, seguita da Francia e Italia, e poi Germania e Spagna e via via tutte le altre; con la riforma il sistema cambierebbe sensibilmente e l’Italia scenderebbe all’ultimo posto tra tutte le nazioni europee per rappresentatività dei propri parlamentari rispetto al numero degli elettori.
Distinzione a rischio
Dall’altro il sacrificio imposto alla rappresentatività verrebbe scontato in massima parte dalle minoranze, cioè dai partiti meno rappresentativi, che perderebbero sensibilmente il numero di eletti con la conseguenza che il parlamento sarebbe espressione pressoché unificata dei partiti più rappresentativi. Solo in questo senso allora il governo ne uscirebbe rafforzato, giacché esso sarebbe espressione di un parlamento sostanzialmente forte nel sostegno all’esecutivo e questo non può essere valutato come un elemento positivo giacché la democrazia italiana si fonda sulla distinzione dei poteri tra legislativo ed esecutivo, che, con la riforma, verrebbero ad essere di fatto accomunati.
Parola al convincimento politico
Non c’è un consiglio da dare a coloro che ci chiedono come votare: rispondiamo di andare a votare senza esitazioni e di esprimere il proprio consenso o il proprio dissenso alla riforma sulla base del proprio orientamento volitivo nel senso di una maggiore forza ed autonomia del governo rispetto ad una maggiore rappresentanza delle minoranze in un parlamento efficacemente distinto dal governo. Chi vuole il potere forte voti SI; chi vuole il potere temperato dalle esigenze della minoranza voti NO. Non è meglio l’una o l’altra soluzione: è il proprio convincimento politico che deve emergere e l’istituto del referendum è previsto proprio per questo, affinché l’elettore si scelga la sua forma di rappresentanza