L’isolamento sociale è un fenomeno sempre diffuso tra i giovani. L’adolescenza in particolare, essendo un periodo di transizione tra età diverse, può portare a situazioni particolari, come quella che, in Giappone, viene definita “Hikikomori”, termine che significa letteralmente “state in disparte”. In Italia non ci sono ancora dati ufficiali su questo versante, ma si stima ci siano circa centomila casi.
L’opera del Gruppo Abele
Il Gruppo Abele è una Onlus fondata a Torino nel 1965 da don Luigi Ciotti e svolge molteplici attività di aiuto e prossimità alle persone con diverse fragilità, anche attraverso percorsi educativi rivolti ai giovani e alle famiglie. Tra questi c’è anche il progetto “9 ¾” dedicato ai ragazzi e alle ragazze in ritiro sociale volontario. Interris.it, in merito a questa esperienza di inclusione, ha intervistato la dott.ssa Milena Primavera, psicoterapeuta e responsabile del servizio “9 ¾”.
L’intervista
Come nasce e che obiettivi ha il progetto “9 ¾”?
“Il progetto 9 ¾ è nato nel giugno 2020, subito dopo la prima ondata della pandemia da COVID-19, con l’intento di offrire un sostegno ai giovani in condizione di ritiro sociale. In particolare, noi ci occupiamo di ragazzi dai 17 anni d’età fino ai 26 anni. L’obiettivo principale è quello di creare delle alternative reali, conciliate con quelle che loro compiono virtualmente, al fine di indebolire i vissuti di vergogna, inadeguatezza e incapacità, cercando di rafforzare la consapevolezza nei propri interessi e nelle competenze possedute. Questi giovani ne possiedono molte ma, per un periodo della loro vita, rimangono in standby. La finalità, quindi, è di aumentare l’autostima e la fiducia in loro stessi. Gli aspetti ulteriori del progetto sono: il ritorno graduale alla socialità e la ripresa delle attività scolastiche o del lavoro, ripensando al proprio percorso di vita. La progettualità in atto nasce dal crescente numero di richieste pervenute da parte delle famiglie, le cui segnalazioni erano giunte già nel periodo precedente alla pandemia, presso il servizio di accoglienza e trattamento del gruppo Abele. Tali segnalazioni, riguardavano le problematiche di dipendenza da dispositivi tecnologici e da internet le quali, dopo gli opportuni approfondimenti, ci si accorgeva che stavano vivendo una condizione di ritiro sociale. Inizialmente si pensa che la causa di dipendenza è dovuta al computer o a un videogioco, poi si comprende che la situazione è molto più complessa e riguarda tutto il sistema familiare. Quindi, per rispondere a questo fenomeno sempre più in crescita, tre anni fa abbiamo dato vita a questo progetto.”
In che modo, secondo lei, negli ultimi anni si è evoluto il fenomeno dei giovani in condizione di ritiro sociale? Quali sono, a suo parere, i fattori che lo hanno incrementato di più?
“Il nostro progetto prosegue da tre anni, quindi non possiamo dire ancora molto in merito all’evoluzione del fenomeno nel tempo. La pandemia sicuramente ha aggravato delle fragilità nei giovani e, dai servizi con cui lavoriamo in rete è arrivata la segnalazione dell’abbassamento dell’età nell’esordio di questa condizione di ritiro. In particolare, ci occupiamo di una fascia d’età in cui è più difficile avere una continuità dalla Neuropsichiatria Infantile alla Psichiatria per adulti o, in generale, ai diversi servizi, sia nel pubblico che nel privato sociale.”
Quali azioni prevede il progetto “9 e ¾? In che modo verranno coinvolte le famiglie?
“Dopo la prima segnalazione, che può arrivare dai familiari dei giovani oppure dai servizi sociosanitari del territorio, si effettua un approfondimento in merito alla situazione personale dei ragazzi, dei rispettivi nuclei familiari e in riguardo al contesto in cui vivono, attraverso dei colloqui periodici nella fase dell’avvicinamento relazionale. Questo primo passo avviene in un contesto domiciliare attraverso la figura di un educatore, con la finalità di creare una situazione di fiducia. L’intervento richiede molto tempo, a volte mesi o un anno, in base alle caratteristiche di ognuno. Dopo il primo step, qualora il ragazzo fosse disposto e interessato, il passo successivo riguarda la possibilità di poter accedere alle attività laboratoriali tenute presso il nostro centro. Qui proponiamo attività individuali o in piccoli gruppi, come ad esempio corsi di arte, giardinaggio, cucina, orticoltura, falegnameria, ciclofficina, musica, pet therapy e ippoterapia. Le attività sono seguite dal personale interno e da quello esterno, attraverso quelli che noi definiamo ‘maestri di mestiere’. Tutto si basa sullo stare insieme e senza giudizio, partendo dai loro interessi e inclinazioni. Lo scopo primario è quello di favorire le nuove esperienze e riscoprire le proprie risorse e competenze. Ogni cosa avviene in un’ambiente protetto, all’insegna della sperimentazione di sé mediante la socialità con i pari. Lo stesso spostamento dall’abitazione al centro è una finalità da raggiungere perché, molto spesso, i ragazzi non hanno mai preso i mezzi pubblici e si sono sempre fatti accompagnare dai genitori, hanno l’occasione di lavorare sulle loro autonomie. Su ognuno costruiamo un progetto personalizzato, attraverso un percorso graduale che segue i loro tempi e interessi. Oltre a ciò, abbiamo allestito un’aula studio perché, spesso, il primo segnale del ritiro sociale, e costituito dall’abbandono scolastico e qui possono riprendere il percorso che hanno perso. Inoltre, abbiamo previsto un sostegno ai genitori, effettuato dagli psicologi del servizio accoglienza. Vengono seguiti sia individualmente che in coppia con un focus specifico sul loro figlio. Inoltre, in accordo con i servizi e le famiglie, abbiamo strutturato un esperimento graduale di autonomia, attraverso il cohousing, effettuato nella stessa struttura del centro chiamato ‘Via degli Orfani 15’, in cui attualmente vivono due ragazzi che hanno effettuato il nostro percorso. Questo è un grande passo”.