“Alcune persone stanno vivendo in un clima spesso dominato da irrazionalità, paura, senso di impotenza”, dichiara a Interris.it l’arcivescovo di Monreale mons. Michele Pennisi, vicepresidente della Conferenza episcopale siciliana ed ex rettore del Collegio Capranica di Roma.
La società italiana come sta reagendo all’emergenza sanitaria?
“Quell’individualismo che fino a ieri ci aveva portato a tenere lontano i migranti ci induce oggi ad aver paura del vicino di casa. Ma paradossalmente in altri l’epidemia del coronavirus che porta ad isolare fisicamente gli individui, può aiutare a riscoprire relazioni autentiche fra le persone nella coscienza che siamo tutti nella stessa barca, siamo fatti tutti della stessa argilla, facciamo tutti parte dell’unica grande famiglia umana, abbiamo bisogno gli uni degli altri. La scoperta della nostra fragilità ci fa superare la nostra autosufficienza e ci fa riconoscere la necessità di affrontare anche dei sacrifici per il bene della comunità”.
Ritiene che usciremo collettivamente e individualmente cambiati da questa situazione di allerta?
“La crisi provocata dalla diffusione del coronavirus può offrire un’occasione in cui testimoniare la solidarietà, l’attenzione e la genialità che nascono da un’esperienza di fede convintamente abbracciata e vissuta”.
Dal punto di vista religioso qual è il modo corretto di inquadrare la prova che gli italiani stanno affrontando?
“Una fede cristiana adulta non ci assicura una vita tranquilla senza difficoltà, ma ci fornisce una concezione nuova della vita che ci dà la forza di affrontare le vicende liete e tristi dell’esistenza nella certezza che nulla ci potrà separare dall’amore che Gesù Cristo ha per noi. Da cristiani non possiamo esimerci dal leggere anche l’epidemia del Covid 19 alla luce del l’insegnamento di Gesù”.
L’epidemia è un castigo divino come si sostiene in alcuni settori ultraconservatori del mondo cattolico?
“Non possiamo dare ascolto ai toni apocalittici dei profeti di sventura che alimentano la paura della gente minacciando flagelli divini per raccattare qualche seguace. Il Dio in cui noi cristiani crediamo non è un “dio tabbabuchi” delle nostre insufficienze umane , per usare una espressione del pastore evangelico Bonhoeffer, ma un Dio vicino ad ogni miseria e a ogni sofferenza che il suo Figlio Gesù ha condiviso morendo in Croce. Dio è un padre ricco di misericordia che non castiga ma perdona. Gesù è il buon samaritano che si prende cura dei drammi della nostra umanità chiede a chi crede di fare lo stesso facendosi prossimo di chi è nel bisogno”.
Qual è il ruolo della Chiesa?
“In questo momento di crisi è importante che la Chiesa ci ricordi le domande fondamentali della vita ed è ancora più importante che possiamo incontrare alcuni testimoni che ci facciano vedere, nel modo in cui affrontano l’emergenza, una vittoria della speranza sulla paura. Solo così la fede diventa ciò che serve alla vita, che la alimenta e dà ad essa speranza. In questo periodo in cui sperimentiamo dei momenti di solitudine e di riflessione sul senso della nostra vita la Parola di Dio ci illumina sulla nostra condizione di pellegrini e ci offre motivi di speranza fondata sul fatto che il Dio di Gesù Cristo partecipa alle gioie dell’umanità, ma anche è capace di caricarsi di tutte le sofferenze”.
Don Oreste Benzi, apostolo della carità in cammino verso la beatificazione, parlava spesso della vocazione cristiana di “condividere”.
“E’ verissimo. Da Gesù Cristo Crocifisso e Risorto emana una luce che può illuminare le intelligenze e riscaldare i cuori con un amore disinteressato da cui scaturisce la disponibilità a condividere il dolore di altri superando il proprio tornaconto personale, ma offrendo il proprio contributo come stanno facendo tanti operatori sanitari e tanti volontari in occasione di questa epidemia”.
In una situazione di generalizzata preoccupazione, cosa si aspetta da voi vescovi la gente?
“Durante il mio episcopato ho potuto sperimentare come la gente si aspetti dalla Chiesa e in particolare dal vescovo degli interventi coraggiosi che diano speranza. Come sono stato vicino agli operai dell’Eni di Gela quando ero vescovo a Piazza Armerina o di Carini in un momento di crisi aziendale e come sono vicino alle popolazioni della zona montana della mia arcidiocesi che soffrono per la mancanza di lavoro e di infrastrutture, così sarò vicino a tutte le persone colpite dalla malattia, alle quali non posso promettere la guarigione, ma la mia vicinanza piena di affetto e la mia preghiera”.
Quale pagina delle Scritture ritiene particolarmente illuminante in questa fase cupa?
“Mi viene alla mente la pagina del capitolo 21 del vangelo di Luca quando Gesù dice di non essere terrorizzati per le minacce di guerre, terremoti, carestie e pestilenze, ma di cogliere queste occasioni per rendere testimonianza a Gesù nella certezza che nemmeno un capello del nostro capo perirà”.