Prandini (Coldiretti): “Agricoltura e Agroalimentare: in 4 mesi perdite per 12 miliardi di euro”

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Una fusione che creerà un polo per contrastare il potere delle multinazionali e rafforzare così il sistema dei consorzi agrari che sono “l’unica struttura in grado di sostenere il potere contrattuale delle imprese agricole“. E’ quanto ha affermato il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini, in relazione alla costituzione della società Cai (Consorzi agrari d’Italia), fra la Bonifiche Ferraresi e i consorzi agrari Adriatico, Centro Sud, Emilia e Tirreno.

“La nuova realtà estende la propria operatività, dall’innovazione tecnologica ai contratti di filiera, dalle agroenergie al giardinaggio, dalla fornitura dei mezzi tecnici alla salvaguardia delle sementi a rischio di estinzione – ha spiegato Prandini -. L’allarme globale provocato dal coronavirus ha fatto emergere una maggior consapevolezza sul valore strategico della filiera del cibo e delle necessarie garanzie di qualità e sicurezza ma ne sta però mettendo a nudo tutte le fragilità sulle quali è necessario intervenire con un piano nazionale per difendere la sovranità alimentare e non dipendere dall’estero per l’approvvigionamento in un momento di grandi tensioni internazionali”.

L’intervista a Ettore Prandini

Contrastare il potere delle multinazionali, preservare le imprese agricole e zootecniche italiane, mantenere la biodiversità, fiore all’occhiello del comparto agricolo e agroalimentare dell’Italia. Inserire l’agricoltura in un contesto di scelte strategiche che abbracci anche il mondo della ristorazione e del turismo. Sono queste alcune delle azioni che le istituzioni e il governo dovrebbero tenere a mente, secondo il presidente della Coldiretti, Ettore Prandini. Interris.it lo ha intervistato.

Presidente Prandini, qual è l’obiettivo di questo polo di consorzi?
“Studiando e analizzando da anni gli investimenti che vengono fatti da altri Paesi, come la Cina, il tema che si sta ponendo in termini di attenzione sul comparto agroalimentare è un modello completamente diverso dal nostro. Loro puntano molto sulla quantità in termini di produzione, indipendentemente da dove questa provenga, basti vedere quello che stanno facendo in Africa e non solo. Il loro modello è quello di produrre in questi Paesi ma pensando ad un approvvigionamento. Il modello che ha sempre contraddistinto il modello agroalimentare italiano è quello di puntare sempre sulla valorizzazione della biodiversità, del numero di manodopera che si riesce ad avere su un ettaro di superficie, l’impiego di persone è triplo rispetto alla Spagna e alla Francia. Noi abbiamo un’agricoltura molto specializzata e quindi richiede più manodopera. Di fronte a tutto quello che è un meccanismo che pone l’agroalimentare di fronte a quelle che sono le scelte strategiche che i vari Paesi si stanno dando, noi dobbiamo diventare sempre più protagonisti, non solo nella fase di coltivazione, semina e raccolta, ma cercando di creare anche grazie alle nuove tecnologie – dall’agricoltura di precisione, all’utilizzo dei satelliti – un modello che sia di nostra proprietà, di cui ne custodiamo i dati. Sappiamo benissimo che dalla lettura dei dati passa tutta l’informazione che poi verrà utilizzata anche da altri Paesi che potrebbero cercare di costruire un modello omologativo. Se ciò dovesse avvenire, significherebbe che l’Italia perderebbe il patrimonio che si è costruito negli anni di storia. Da qua la necessità di valorizzare con un soggetto forte italiano e dai consorzi agrari storici italiani”.

Un mezzo per difendere anche le nostre imprese?
“Sicuramente, noi sappiamo che ciò che ci caratterizza è la biodiversità. Il vero patrimonio che noi oggi abbiamo è il suolo su cui lavoriamo e dove riusciamo ad ottenere dei risultati impossibili in altre parti del mondo. Noi abbiamo un patrimonio inestimabile da tutelare. Pensiamo ai grani: ne abbiamo più di 140 varietà mentre in tutti gli Stati Uniti ce ne sono 6. Questo fa capire quanto ancora noi possiamo crescere e recuperare in termini di qualità del prodotto legato alla storia, alla cultura e alla tradizione. Noi riteniamo che questo sia il modello. Se dovessimo lasciare questo spazio nelle mani delle multinazionali, che tra l’altro non sono italiane ma spesso e volentieri statunitensi e cinesi, si rischierebbe di vedere annullata questa distintività che noi abbiamo”.

A causa della pandemia da coronavirus, qual è la situazione del comparto agricolo e agrolimentare?
“Molto critica. Purtroppo rispetto a un dato iniziale del mese di marzo, dove sembrava che la contrazione delle vendite legata alle esportazioni potesse essere assorbita invece da un aumento dei consumi nella grande distribuzione, nel nostro Paese continuavamo a sostenere che era una visione nel breve periodo; purtroppo abbiamo avuto ragione. I dati particolarmente positivi del mese di marzo, sono stati totalmente annullati ad aprile, maggio e giugno. Se a questo uniamo il blocco delle esportazioni, con le perdite di un settore particolarmente importante, ossia quello vitivinicolo, dove c’è stato un calo del 70%, è ovvio che questo ci preoccupa. Lo stesso vale anche per i comparti zootecnici, dal Grana Padano al Parmigiano Reggiano, dal Prosciutto di Parma al San Daniele, sicuramente oggi noi vediamo, soprattutto nel prezzo che viene valorizzato sul lavoro fatto dalle nostre imprese, un calo medio che va dal 30 al 50%”.

E’ possibile quantificare quante persone stanno rischiando il posto di lavoro in questo settore?
“Rispetto ad altri settori produttivi, noi non rischiamo di lasciare a casa persone. Laddove tu ti vai ad alleggerire sul numero di persone che collaborano all’interno dell’impresa, vuol dire non riuscire a produrre. E’ una situazione che possiamo tamponare ancora per qualche settimana, al massimo qualche mese. Se la situazione si dovesse protrarre nel tempo, noi rischiamo proprio la chiusura delle nostre imprese. E’ un rischio che, in questa fase non vogliamo neanche immaginare. Nell’arco di quattro mesi abbiamo perso un valore complessivo di 12 miliardi di euro”.

E per quel che riguarda l’ortofrutta?
“Il settore ha passato e sta passando un brutto momento. Solo nell’ultimo mese abbiamo fotografato nell’ultimo mese, rispetto allo stesso periodo dello scorso anno, un calo del consumo del 18%. Noi non possiamo limitarci a ragione in termini di agricoltura fine a sé stesso, ma la dobbiamo inserire in un contesto più ampio che è agricoltura, ristorazione e turismo. Serve veramente uno sforzo affinché nessun settore venga marginalizzato o dimenticato, ed è la prima cosa che abbiamo chiesto al governo: di fare un ragionamento più ampio di visione strategica”.

In questi mesi di pandemia, il governo ha tutelato abbastanza questi settori?

 

Manuela Petrini: