Il Rapporto 2023 sulle politiche di contrasto alla povertà si intitola “Adeguate ai tempi e ai bisogni”. Il riferimento è alle misure varate a supporto degli indigenti. Ai percorsi di inclusione. Alle criticità che si sono incontrate nella fase di attuazione dei provvedimenti guardando anche all’esperienza di altri Paesi europei. Dagli anni Cinquanta ad oggi, oltre alle differenze economiche, sono emerse profonde diversità di rappresentazione delle situazioni di marginalità sociale. La miseria estrema dell’Italia periferica del dopoguerra, al Sud come al Nord, è ritornata all’ultima Mostra del Cinema di Venezia. Con la riproposizione, del documentario che riassume i lavori della “Commissione parlamentare d’inchiesta sulla miseria”. Il filmato venne proiettato proprio a Venezia nel 1953, dopo 70 anni è ritornato nella rassegna appena conclusa della kermesse. Su iniziativa del Comitato per la Documentazione della Camera. Con il restauro da parte dell’Istituto Luce-Cinecittà.
Povertà sullo schermo
L’iniziativa è del Comitato di vigilanza sull’attività di documentazione della Camera dei Deputati. A presiederlo è Anna Ascani che ha introdotto al Lido la proiezione. “In quegli anni – ha ricordato – il Parlamento assumeva su di sé il compito alto di servire il Paese. Ed è proprio questa la lezione principale che emerge dai lavori della Commissione. All’epoca si intuì la potenza del mezzo cinematografico per far conoscere i risultati del proprio lavoro“. L’inchiesta, partita nel 1951. si concentrò su nove aree. E cioè la zona montana-alpina. Il delta padano. La zona montana-abruzzese. Le regioni Puglia, Basilicata, Calabria, Sicilia, Sardegna. Le periferie di Roma, Napoli e Milano. In questo modo si accertò che oltre sei milioni di persone, quasi il 12% della popolazione, viveva in condizioni di miseria. Tra i particolari del documentario- la cui regia fu di Giorgio Ferroni- la descrizione del piccolo comune di Grassano, in provincia di Matera.
Strada compiuta
Nel piccolo centro lucano l’indagine statistica ebbe un “focus” specifico. Anche grazie all’opera del parlamentare lucano Gaetano Ambrico, componente della Commissione. Sul tema della miseria, aggiunge Ascani, “dopo 70 anni la strada compiuta ha cambiato il Paese. Molto lavoro è stato fatto. Molte promesse restano disattese. Ancora oggi occorre uno sforzo, attraverso atti di governo, per combattere la ferita della povertà. L’attenzione ai deboli deve essere in cima alle priorità e ispirare il Parlamento. Facendo tesoro di quel che è stato fatto. Ha senso interrogarci in quale modo fronteggiare necessità magari meno tragiche ma altrettanto urgenti”. Per l’amministratore delegato di Cinecittà, Nicola Maccanico “il documento è importante non solo per la qualità e il tema. Ma perché è stato il primo momento in cui le istituzioni hanno trasferito in maniera divulgativa quel che si faceva dentro il Parlamento”. Quindi la “casa” degli italiani si apre, raccontando un tema di questo rilievo. Con un elemento narrativo centrale, prosegue Maccanico, “le istituzioni si mostrano trasparenti per avere un rapporto più diretto con i cittadini”. Inoltre “Cinecittà non è solo un luogo di teatri di posa. Ma collega la memoria del nostro paese. E la storia d’Italia ha un valore ancora maggiore se la possiamo attualizzare“, puntualizza Maccanico.
Carità e povertà
Un tema, quello del contrasto all’indigenza, affrontato anche nel libro “Storia della povertà” scritto dall’arcivescovo Vincenzo Paglia. Carità e povertà: simul stabunt, simul cadent, insieme staranno o insieme cadranno. La storia della Chiesa è da sempre legata a doppio filo all’incontro con i poveri. Sul “fare la carità” si sono giocati per venti secoli l’organizzazione concreta della Chiesa e della società. Così come l’evangelizzazione. La riforma religiosa. Le utopie secolarizzate di un mondo senza sfruttati e senza sfruttatori. Monsignor Paglia ripercorre la storia del rapporto dinamico tra Chiesa e società. Attraverso la peculiare prospettiva della lotta alla povertà nelle sue diverse forme. Partendo dal cristianesimo delle origini, dal monachesimo e dai più influenti ordini religiosi, l’arcivescovo dipinge un vasto affresco. Attraverso cui i protagonisti sono le figure emblematiche della cristianità e le loro opere. Da Gesù ai padri della Chiesa fino a papa Giovanni XXIII con il Concilio Vaticano II. E la stagione di papa Francesco. Il racconto fa emerge una Chiesa che rivendica con forza il valore della “charitas” cristiana. Come cura imprescindibile ai dilemmi sociali del mondo globalizzato. “È una grande funzione profetica della Chiesa quella di inquietare il banchetto del ricco epulone con la memoria e i dolori del povero Lazzaro- osserva monsignor Paglia-. Nell’immaginare un mondo nuovo, o almeno diverso, la povertà è una delle soglie da attraversare con audacia, intelligenza e generosità. Da parte di tutti. Credenti e non credenti”.
Povertà educativa
Ma la povertà è anche educativa. “Non pensiamo di essere molto lontani dalla società in cui è vissuto don Lorenzo Milani. Perché oggi noi viviamo in un Paese con una povertà educativa tra le più alte del mondo. Molti dei nostri ragazzi lasciano la scuola. O se non la lasciano non riescono ad ottenere quel grado di cultura che la scuola dovrebbe dare e stanno ovunque. Nelle periferie, nel sud Italia. E’ una povertà educativa frutto di disuguaglianze, potremmo dire classista. Perché chi abbandona la scuola sono i figli dei poveri. Sono i figli del Sud. Sono i figli degli immigrati”, ha detto Rosy Bindi, presidente del Comitato per il centenario di don Milani. L’ex ministro ha partecipato a Quarrata (Pistoia) alla 30° Marcia per la giustizia. “Io credo – ha aggiunto Bindi – che noi dobbiamo far parlare lui, don Lorenzo Milani. Evitare di interpretarlo. E soprattutto non dire quello che lui avrebbe detto o avrebbe fatto oggi. Ma cercare noi, prendendoci la nostra responsabilità. E ispirandoci a quello che ha fatto e a quello che ha detto, che cosa possiamo fare oggi. In tutti quegli ambiti per i quali lui ha dato la vita fino al dono totale della sua esistenza“.
L’ esempio di Don Milani
“Don Lorenzo Milani è di una grande attualità oggi – ha sottolineato Bindi – per quello che è stato, per le tante parole che ci ha consegnato, per le tante lettere che ha scritto, per i suoi libri, ma soprattutto per la sua vita. Questo prete a un certo punto della sua vita sceglie Gesù Cristo, fa una scelta radicale. Da famiglia ricca qual era, diventa davvero povero e condivide la sua vita con i poveri. Si è preso cura dell’umanità partendo dagli ultimi. Dagli emarginati del suo tempo che ha identificato negli operai sfruttati di Calenzano e nei figli dei contadini del Mugello”. Bindi ritiene che “prima di tutto, dovremmo chiederci noi oggi chi sono questi poveri, chi sono quelli messi ai margini della nostra società. Che volto hanno. Che età hanno, che colore della pelle hanno e di che cosa hanno bisogno“.