Il grido d’allarme dei lavoratori poveri. Lidia Borzì, presidente Acli Roma, affronta ogni giorno il dramma sociale del “lavoro che ha perso garanzia e assicura più una vita dignitosa“. Da qui il suo appello a Interris.it per una riforma solidale del lavoro.
Sos lavoro
In Italia, per effetto della pandemia, ad affrontare il baratro della overtà assoluta sono i “nuovi poveri” e cioè 2,1 milioni di famiglie, 3,3 milioni di lavoratori irregolari e 2,9 milioni di working poor. Più di un italiano su due (il 55% degli italiani) “teme rabbia e odio sociale”. Sono 3,3 milioni di lavoratori irregolari, mentre aumentano i working poor, cioè gli italiani che sono poveri nonostante abbiano un lavoro. Da acrobati della povertà a nuovi poveri. La nuova frattura sociale provocata dal Covid. Oltre due milioni di famiglie a rischio povertà assoluta, dunque, e con un futuro previdenziale da incubo. Un esercito di cittadini mal pagato, senza risparmi e sprovvisto di una rete di protezione sociale, capace di guadagnare il minimo per sbarcare il lunario, ma ora messo ko dal coronavirus.
“Purtroppo molto. Il fenomeno preoccupava già prima della pandemia e il lockdown ha amplificato e fatto letteralmente esplodere fragilità che già c’erano, producendo un drammatico effetto a cascata sul sistema di welfare che non era preparato a nuova ondata di poveri, e dunque ha manifestato tutte le sue carenze lasciando scoperte grandi fasce di bisogni, anche primari”.
Quali sono le fasce di popolazione maggiormente colpite?
“La pandemia ha reso ancor più vulnerabili quelli che papa Francesco chiama “scartati”. L’emergenza sanitaria ha messo in seria difficoltà persone e famiglie appartenenti a quelle categorie con basse tutele e bassi salari. Cioè piccoli commercianti, le partite Iva, i precari, i lavoratori irregolari, quelli della cura, i lavoratori nel settore dello spettacolo, dello sport, del turismo e della ristorazione, così vitali per la nostra economia”.
“Per non parlare dei lavoratori in nero: situazione tanto deprecabile quanto innegabile. Sono tutte persone che, spesso da working poor, già prima vivano una quotidianità faticosa e problematica ma non avevano mai avuto bisogno di servizi assistenziali, e con il covid si sono ritrovati sull’orlo del baratro perché addirittura non riescono più a mettere niente in tavola per i figli”.
“Infatti questa è una contraddizione di termini eppure un’amara verità, impensabile fino alla scorsa generazione, quando chi aveva un lavoro non era povero. Invece i giovani di oggi, se vogliono lavorare, spesso sono costretti ad accettare basse tutele e bassi salari che impoveriscono il senso del lavoro oltre che il loro stipendio. E’ illuminante al riguardo una ricerca Acli Roma-Iref ( Istituto di Ricerche Educative e Formative) “ il lavORO nonostante tutto”, condotta su oltre 1000 giovani. Il 41,2% dichiara di essere un lavoratore full-time, ma nonostante questo solo il 22,6% riesce ad essere completamente indipendente dalla famiglia”.
“In poche parole, precari o no, otto giovani su dieci sono ancora appesi ai genitori e questo impedisce loro di fare famiglia, andando a incidere sul gravoso tema della natalità del nostro Paese che è ai minimi storici. Altri working poor sono anche tra immigrati e donne, che, mediamente, lavorano in settori con livelli retributivi più bassi, svolgendo lavori meno qualificati, in particolare nei settori dei servizi collettivi e personali”.
A cosa si riferisce?
“Vale soprattutto per le donne dei cosiddetti settori delle “tre C”: caring, cleaning e catering. Ovvero cura, pulizia e ristorazione. Nell’industria, nell’ alberghiero e nella ristorazione, nelle costruzioni e nel commercio”.
“Si. Ad ogni modo, per nessuno dovrebbe essere possibile lavorare e restare povero, se il lavoro fosse dignitoso per tutti, con tutele e garanzie. Il lavoro dignitoso è il vero motore di sviluppo, la via maestra per combattere le povertà, la cultura dello scarto, le diseguaglianze e lo sfilacciamento sociale, che proliferano a dismisura e che la pandemia le ha accentuato”.
“Mancano le tutele che permettono al lavoro di essere dignitoso, sono necessarie strategie lungimiranti che pongono il lavoro in cima alle priorità della politica. Sono poi necessarie misure indirette non meno importanti. Come le politiche di sostegno per la casa e i servizi di conciliazione famiglia-lavoro. Perché, soprattutto in una città come Roma, ad esempio, pagare una baby sitter 700 euro al mese con uno stipendio medio significa diventare poveri”.
Cosa propongono le Acli?
“A partire da quello che le Acli di Roma stanno già sperimentando, la nostra proposta si muove su tre piste. La necessità di un welfare che sia politica di sviluppo, sartoriale, (contrapposto al welfare a groviera che lascia scoperti tanti servizi) capace di rispondere ai bisogni effettivi, costruito su quattro pilastri. Ovvero la centralità delle politiche sociali che devono essere considerate un investimento e non un costo e quindi cifra della buona politica”.
Poi la sussidiarietà, l’interdipendenza tra i vari ambiti delle politiche, al fine di superare la logica dei compartimenti stagni. Mettendo costantemente in relazione le varie parti, passando quindi da un approccio lineare ad uno sistemico. Il mainstreaming per misurare l’impatto che tutte le politiche producono sui destinatari ed evitare di fare interventi senza partire dai bisogni. Infine, per andare oltre le emergenze e intervenire in chiave lungimirante, occorre mettere in cima alle priorità il lavoro dignitoso, appunto, e questa deve essere una scelta prioritaria della politica!”.
In concreto come è possibile incidere?
“Noi in questa direzione stiamo facendo la nostra parte con il Cantiere Generiamo lavoro rivolto ai giovani, che può rappresentare un primo passo per una vera e propria “Alleanza per il lavoro dignitoso”. Caldeggiamo fortemente un Patto nel segno della sussidiarietà circolare. Tra tutti i soggetti interessati a contrastare la disoccupazione, l’inoccupazione, il lavoro nero e le forme di precariato. Ciò per mettere in cima a tutte le priorità il lavoro dignitoso quale pilastro fondamentale per la crescita integrale e la tutela della dignità della persona e di tutta la comunità”.