La celiachia è una infiammazione cronica dell’intestino tenue, scatenata dall’ingestione di glutine in soggetti geneticamente predisposti; è caratterizzata da un quadro clinico molto variabile che va dalla diarrea profusa con marcato dimagrimento, a sintomi extra-intestinali, alla associazione con altre malattie autoimmuni.
La diagnosi
I dati della Relazione al Parlamento raccolti e diffusi ogni anno dal ministero della Salute hanno confermato che la celiachia è in aumento ma anche che persiste il grave ritardo con cui il paziente arriva alla diagnosi. Questo ha spinto l’AIC – Associazione Italiana Celiachia, una realtà nata nel 1979, all’organizzazione del convegno annuale dal titolo “La celiachia incontra gli specialisti”, interamente dedicato alla cura e alla diagnosi di questa patologia. Interris.it, in merito a questa iniziativa e alle nuove frontiere della diagnosi della celiachia in Italia, ha intervistato la dott.ssa Caterina Pilo, Direttore Generale dell’AIC.
L’intervista
Dott.ssa Pilo, qual è stato l’obiettivo del vostro convegno annuale?
“L’obiettivo generale del convegno annuale di AIC è stato quello di dare aggiornamento e formazione a tutta la rete medico scientifica che, in qualche modo, ha a che fare con il trattamento e la diagnosi della celiachia in Italia. In particolare, quest’anno, ci siamo concentrati sulla diagnosi differenziata, ovvero dei diversi specialisti e non solo dell’organo bersaglio della celiachia che, com’è noto, è una parte dell’intestino. L’immagine del camaleonte definisce bene la celiachia, in quanto si nasconde. Non sempre si hanno davanti gli stessi pazienti con i medesimi sintomi, ma anzi, ad oggi, solo il 16% delle persone affette arrivano ad una diagnosi attraverso dei chiari sintomi intestinali. La diagnosi cresce in termini assoluti. Basti pensare che, nel 2007, l’apposita relazione al Parlamento, forniva un numero di nuove diagnosi attorno alle 65 mila persone. Ad oggi invece, si attestano mediamente sulle 241 mila. L’1% delle persone in Italia e nel mondo ne è affetto e si stima che, attualmente, circa 400 mila persone, non hanno ancora ricevuto una diagnosi corretta. C’è ancora molto sommerso nel cosiddetto ‘iceberg della celiachia’ perché, come ci dicono gli esperti, la celiachia classica è stata trovata quasi tutta ed ora deve essere rintracciata nei sintomi, variegati e diversi fra di loro, che nessuno cerca. L’asintomatico, ad esempio, viene solitamente diagnosticato a seguito della diagnosi effettuata a un parente di primo grado che, in genere, hanno il 10% di possibilità in più di essere celiaci. Il nostro obiettivo è stato portare all’emersione i casi di celiachia facendo incontrare i diversi specialisti: il medico di medicina generale, il pediatra, l’internista o il gastroenterologo e il ginecologo. Il numero delle donne celiache è pari al doppio degli uomini. Nel corso del convegno, diversi specialisti, hanno fatto delle lezioni magistrali importanti e di grande interesse, con oltre 200 partecipanti, che ha visto anche la conversione in Fad e potrà quindi essere seguito fino alla fine dell’anno”.
I dati confermano che, in Italia, la celiachia è in aumento. In che modo si può colmare il cosiddetto “gap diagnostico” che attualmente lambisce il nostro paese in questo campo?
“Il ‘gap diagnostico’ può essere colmato rendendo competenti gli specialisti nel trovare i sintomi non classici della celiachia, ovvero rendere più competenti gli specialisti non celiacologi nel riconoscimento della patologia. I medici di medicina generale, ad esempio, sono un patrimonio molto importante per tutti noi come paese. Incontrano la popolazione nella loro totalità ed è molto importante che abbiano questo tipo di competenza. Un aiuto in tal senso verrà anche dalla recente norma sullo screening pediatrico, le cui modalità sono attualmente allo studio dell’Istituto Superiore di Sanità. Ciò però non ci esenta dalla diagnosi di celiachia, come peraltro abbiamo fatto con il convegno, ovvero informando, formando e aggiornando tutti gli specialisti che possono scoprire la celiachia”.
Quali sono i vostri auspici per il futuro nell’ambito della personalizzazione dell’approccio clinico per il paziente celiaco?
“La personalizzazione dell’approccio clinico avviene nella diagnosi perché, come abbiamo visto, non c’è un paziente celiaco uguale all’altro. La celiachia è una malattia multifattoriale, ovvero si ha per forza la componente genetica. Questa però è solo una delle condizioni per manifestare la celiachia. Il paziente deve essere seguito per tutta la vita, in quanto avrà sintomi differenziati e in momenti diversi della vita. Il trattamento e l’approccio alla malattia devono quindi essere personalizzati. Ciò che non cambia è la dieta senza glutine rigorosa e per tutta la vita a cui, tutti i pazienti, devono sottoporsi. Ciascuno di questi dovrà essere monitorato perché, l’osservanza della terapia e della dieta, in alcuni frangenti come l’adolescenza, può essere più difficile. Aic, al livello europeo, fa parte dell’associazione pazienti celiaci e, pochi giorni fa, abbiamo organizzato uno specifico webinar su questi temi, che ha visto anche la partecipazione del vicepresidente della Camera dei deputati Giorgio Mulè, promotore della legge in merito, insieme al dott. Agrimi, direttore del reparto nutrizione dell’Istituto Superiore di Sanità, che si sta occupando di redigere il piano di diagnosi, insieme al pediatra prof. Carlo Troncone, membro del nostro board, che ha potuto raccontare le peculiarità dello screening pediatrico che si andrà a fare. L’Italia è considerata un’avanguardia per la diagnosi di celiachia, la competenza dei medici e del sistema assistenziale a cui, molti altri paesi, si sono ispirati. Ventidue paesi stranieri si sono collegati per portate anche da loro una legge sullo screening. Questo rappresenta un grande successo per il nostro paese”.