Commemorare è riflessione ma, insieme, un preludio all’azione. Perché se il ricordo fosse legato a un singolo giorno, rischierebbe di non essere funzionale al cambiamento ma solo un mero dovere da esercitare per senso civico o semplicemente obbligo di coscienza. Perché l’esempio dei testimoni va oltre la semplice conoscenza. È edificazione morale e sociale lasciata in eredità alle generazioni del domani. Il 6 gennaio 1980, le pallottole di cosa nostra posero fine alla vita di Piersanti Mattarella, governatore della Sicilia, assassinato davanti alla famiglia poco prima di recarsi a messa, consegnando alla storia e alla buona volontà dei siciliani, un mandato ben preciso: quello di cambiare la Sicilia attraverso l’impegno civico, ancor prima che politico. E il quarantaquattresimo anniversario dell’assassinio di Via della Libertà, a Palermo, è un’occasione per fare il punto su quanto ancora manca da fare. Inclusa una chiarezza piena.
Piersanti Mattarella, il ricordo e il dovere
“Vorrei che questo 6 gennaio non fosse la solita passerella commemorativa ma una sveglia, una campanella, affinché si capisca che oggi c’è un vero e forte bisogno del modello politico del fratello del Capo dello Stato”. A parlare, ad AdnKronos, è Aurelio Grimaldi, autore del libro “Il delitto Mattarella”, del quale ha diretto anche una trasposizione cinematografica. Con una punta di amarezza perché “purtroppo, dopo la breve parentesi per il quarantennale anniversario dall’omicidio, è tornato nel dimenticatoio”.
Certo, a ricordarlo c’è la sua Castellammare del Golfo, nel trapanese. E anche la memoria collettiva di un Paese che ha in suo fratello Sergio un richiamo quotidiano. Eppure, nel corso del suo breve mandato alla presidenza della Sicilia, Mattarella stesso aveva indicato la via da seguire. Lui, tra i pochi rappresentanti istituzionali a commemorare Peppino Impastato, nella sua Cinisi, all’indomani della brutale esecuzione per mano mafiosa, pronunciando una dura reprimenda contro cosa nostra nei giorni in cui l’attenzione dell’Italia era catalizzata dal ritrovamento del corpo di Aldo Moro.
Il discorso a Cinisi
Fu quel giorno, a Cinisi, che Mattarella fissò il cardine del suo operato come presidente regionale. Negli anni in cui le infiltrazioni mafiose iniziavano a farsi più insistenti e pericolose, volte ad allargare il proprio giro di potere in un contesto sociale che pure era già stato scosso dalla prima guerra di mafia degli anni Sessanta. E che, di lì a breve, ne avrebbe conosciuta un’altra, altrettanto lunga e sanguinosa. Non sempre, però, il sangue bastava ad aprire gli occhi sul vero volto di cosa nostra.
E il presidente della Sicilia, in questo, cercò di educare anche la classe politica, appoggiando i principi di legalità e trasparenza richiamati da Pio La Torre. E, al contempo, legiferando in contrasto alle speculazioni edilizie campestri, fin lì terreno fertile per le mafie. Un modo nuovo di fare politica che, ispirato a figure di riferimento del cattolicesimo democratico, al fine di promuovere “l’autonomia regionale puntando su una Sicilia con ‘le carte in regola’”.
Fede e ragione morale
Del resto, se la ferocia dell’omicidio di Peppino Impastato aveva lasciato sgomenti, pur nel sostanziale silenzio dovuto agli echi nazionali dei fatti di Roma, il muro del silenzio e dell’omertà era ancora estremamente duro. E una posizione forte da parte dei rappresentanti politici indispensabile al fine di indicare, concretamente, una via alternativa alla sudditanza al potere mafioso, anche quella dettata dalla paura. Un impegno che, nonostante il poco tempo trascorso tra il suo insediamento alla Regione (20 marzo 1978) e il suo omicidio, ha lasciato il segno come esempio di “moralizzazione della vita pubblica e contrasto alla mafia”, per “liberare la Sicilia dalle consorterie mafiose”.
Negli anni immediatamente successivi a quel 1980, di sangue ne sarebbe stato sparso ancora. Finché, con i massacri del 1992, divenne ormai chiara la natura di antistato delle mafie, la cui violenza divenne un’aperta sfida alle istituzioni legittime. Quella natura che Piersanti Mattarella aveva intuito e combattuto, come anche Peppino Impastato. Seminando quotidianamente legalità e rispetto. Quello che siamo tutti chiamati a fare, assieme alla memoria.