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Phubbing: lo smartphone come barriera alle relazioni sociali

Il valore attribuito alle parole, e ai contenuti del prossimo più caro (genitore, amico, partner), può essere considerato secondario rispetto a quello dei legami virtuali del web

Il termine “phubbing” unisce quelli di “phone” (telefono) e “snobbing” (snobbare) e riguarda le situazioni, tipiche dei tempi contemporanei e diffuse ovunque, in cui, una persona (phubber), si dimostra intenta a guardare il proprio telefono, per messaggi, video, fotografie o telefonate, ignorando l’interlocutore (il phubbed).

Come sono cambiate le relazioni umane con l’avvento degli smartphone

Lo smartphone ha cambiato radicalmente le abitudini umane, nel bene e, soprattutto, nel male. Accanto ai fenomeni di smombie (gli “zombie” che camminano guardando lo schermo del telefono) e lo scrolling (lo scorrere compulsivo del dito per cambiare i contenuti), vi è, quindi, il phubbing. A sostegno, spesso ruota la “fomo” (fear of missing out), la paura di perdersi qualcosa di interessante. Chi ne è affetto, privo di autocontrollo, controlla continuamente il web per non rischiare di essere fuori dal gruppo o dal mondo. In realtà, temendo di perdere il virtuale, pone le premesse di rinuncia al reale. Tra le varie forme di dipendenza da internet e da smartphone, esiste anche questa. La sua diffusione è sempre più evidente, al passo, crescente, con il quale il web circonda il quotidiano di ognuno. In tale situazione, così surreale, anche Aristotele dovrebbe rivedere i suoi convincimenti: l’uomo è animale sociale o animale social?

Cos’è il phubbing

Phubbing è un’azione ripetuta, intenzionale né mitigata da una parola di scuse; non riguarda la visione di un contenuto episodico e veloce (che può capitare a chiunque) salvo, poi, dedicare tutte le attenzioni all’interlocutore. L’isolamento si verifica nei casi in cui, il singolo, in casa o in viaggio, decida di trascorrere il suo tempo guardando lo smartphone. Il phubbing è una fase successiva, comincia quando si è in presenza di un altro, a cui non si rivolge attenzione o dialogo. Oltre a costituire una forma di maleducazione, può indurre chi ignora a isolarsi sempre di più, a vivere in un mondo virtuale, effimero, tralasciando quello vero. Avvicina ciò che è distante ma, al tempo stesso, allontana ciò che è vicino. Il prossimo tende a scomparire; si tratta della fine del dialogo.

Quando il telefono è meglio delle relazioni

I messaggi, le fotografie e i video veicolati dal telefono si dimostrano, per il phubber, decisamente più importanti del tessuto relazionale, dello sguardo condiviso e delle parole scambiate. Chi ignora, ritiene normale rivolgersi verso ciò che più lo interessa. Situazioni di phubbing, fastidiose e con conseguenze molto negative, si verificano in famiglia, a scuola, sul posto di lavoro, con il proprio partner.

Il phubbing familiare

Una grave “versione” è quella familiare, in cui la “distrazione telefonica” si opera dai genitori verso i figli o viceversa. In questa sfera, così altamente delicata e suscettibile di pericolose ripercussioni, un dialogo assente, vacuo, disturbato, compromette, irrimediabilmente, i rapporti tra un figlio che cresce senza attenzioni e incentivi o, al contrario, che si disinteressa dei consigli e delle raccomandazioni di un genitore. In bambini e adolescenti, l’abbandono comunicativo del genitore può indurre a problemi di depressione e di scarsa autostima. Gravi mancanze di rispetto (e conseguenti risultati negativi in termini di apprendimento) si riscontrano nel disinteressarsi durante una lezione scolastica, focalizzandosi, invece, sui contenuti del telefono. La stessa circostanza si riscontra anche per i più adulti, in occasione delle riunioni o dei corsi aziendali. A livello lavorativo, le ripercussioni sono varie e profonde. L’isolamento impedisce un proficuo lavoro di squadra e non alimenta i dovuti e sani rapporti fra i dipendenti, producendo fratture e incomprensioni a tutto detrimento della produttività aziendale.

L’aspetto legato alla sicurezza

Un altro aspetto, in tal senso, è quello legato alla sicurezza: proiettare la propria attenzione esclusivamente sui dispositivi, implica maggiori rischi, una sottovalutazione del pericolo. Relazioni basate sulla sola presenza fisica, senza alcun coinvolgimento emotivo e affettivo, risultano di breve durata o si trascinano sull’onda di rinnovati conflitti e polemiche. In un’epoca di relazioni sentimentali sempre meno durature, a tempo determinato, il verificarsi del phubbing incide negativamente.

L’importanza del dialogo

Nel Messaggio per la celebrazione della XVI Giornata Mondiale della Pace, San Giovanni Paolo II, il I gennaio 1983, ricordò, con delle parole sempre molto attuali “Il dialogo è un elemento centrale e indispensabile del pensiero etico degli uomini, chiunque essi siano. Sotto l’aspetto di uno scambio, di una comunicazione tra gli esseri umani, quale permette il linguaggio, esso è in realtà una ricerca comune. Fondamentalmente, esso suppone la ricerca di ciò che è vero, buono e giusto per ogni uomo, per ogni gruppo e ogni società, sia nella parte con cui si è solidali, sia in quella che si presenta come avversa. Esso dunque esige, in via preliminare, l’apertura e l’accoglienza: che ogni parte esponga i propri elementi, ma ascolti anche l’esposizione della situazione così come è descritta dall’altra parte, la recepisca sinceramente con i veri problemi suoi propri, i suoi diritti, le ingiustizie di cui ha coscienza, le soluzioni ragionevoli che propone. Come potrebbe stabilirsi la pace, se una delle parti non si è neppure data pensiero di considerare le condizioni di esistenza dell’altra?”.

Uno sguardo in libreria

Le ricercatrici Laura Marciano e Anne Linda Camerini sono le autrici di “Lo smartphone: alleato o nemico?” (sottotitolo “Consigli per una vita digitale sana e bilanciata”), pubblicato da “Carocci Editore” nel marzo 2022. Parte dell’estratto recita “Proprio per i loro ‘poteri’, questi strumenti rischiano a volte di ammaliarci e privarci della risorsa più preziosa che abbiamo: il nostro tempo. In questo volume, le autrici esplorano il rapporto tra i giovani e la loro vita digitale: quando l’uso di smartphone e social diventa un problema? Quando può essere considerato una dipendenza? E soprattutto: cosa fare?”. Lo scorso 21 febbraio, “We are social” (agenzia che interpreta comportamenti sociali e decifra culture e sottoculture online), ha pubblicato, al link https://wearesocial.com/it/blog/2024/02/digital-2024-i-dati-italiani/, alcuni dati interessanti riguardo il rapporto degli italiani con il web. Si legge “Tenersi informati sull’attualità e intrattenersi nel tempo libero (47%) sono i primi due motivi per cui le persone accedono ai canali social, seguiti dal restare in contatto con amici e familiari (45%). Aumenta il tempo quotidiano speso sui social (quasi 1 minuto in più rispetto all’anno scorso) e anche il numero di persone che dichiarano di guardare contenuti video (91%, +0,4% YoY). A trainare questa crescita sono soprattutto contenuti appartenenti alla categoria ‘comedy, meme e video virali’ (+3,7%). In crescita anche il gaming, con l’84% delle persone che gioca ai videogiochi (+4,3% rispetto all’anno precedente). WhatsApp è la piattaforma social più utilizzata dagli italiani (precisamente dal 90,3%) ma anche la preferita (dal 40,7%). Instagram e TikTok hanno guadagnato qualche preferenza in più rispetto all’anno scorso. Le categorie nel settore ecommerce che hanno registrato un incremento di spesa maggiore rispetto all’anno scorso sono la moda (+25,7%) i beni di lusso (+21,4%). I film e i servizi TV in streaming si confermano essere invece i contenuti digitali maggiormente acquistati (dal 40,3%)”.

La diffusione del phubbing

Il fenomeno presenta una caratterizzazione a catena poiché può indurre la persona ignorata a comportarsi come il phubber, rifugiandosi, a sua volta, nello schermo del telefono. Un individuo non intenzionato, quindi, a ignorare, posto dinanzi al silenzio e all’indifferenza di chi gli è accanto, ripiega, altrettanto, verso il comportamento così maleducato. Si vive a braccetto ma non ci si guarda né ci si parla. La diffusione del phubbing, praticata in forma severa o lieve, è tale che, in alcuni casi, è implicitamente condivisa e giustificata dagli altri, anche loro vittime e carnefici. Alcuni, infatti, non si scandalizzano né si offendono se ignorati, consapevoli, con naturalezza, del comportarsi allo stesso modo. L’attenzione per i dialoghi tende a diminuire sempre di più. Un tempo, nel caso ci si annoiasse, si sarebbe guardato l’interlocutore pensando ad altro, oggi il tedio si manifesta in modo esplicito. La reazione può essere di altrettanto rifiuto, di chiusura e di litigio. In altri casi, l’ignorato può sprofondare nella sensazione di sentirsi “scarto” e, quindi, diminuire la propria autostima, convinto che le proprie argomentazioni e il modo di essere risultino noiosi e inutili. La colpevolizzazione, per non sapersi relazionare ed essere all’altezza, è dietro l’angolo.

Una palese forma di egoismo

Il dialogo che manca alla base, tra familiari, amici, mogli e mariti, colleghi, si ripercuote al vertice, a un livello sempre più ampio, fino ad arrivare alle conflittualità tra comunità e alla “soluzione” bellica. Per una comunità (e per le sue cellule che la costituiscono), travolte già da un’indifferenza e un disinteresse galoppante, in cui la diffidenza sembra sublimare e rappresentare la difesa e la sicurezza, quest’ulteriore barriera sociale rappresenta un’enorme deriva verso il basso, verso l’isolamento, la solitudine, la distanza, la divisione. Il phubbing incarna una palese forma di egoismo: tutta incentrata su “io” e “mio”. Diviene importante, infatti, solo l’interesse personale, a costo anche di sacrificare figli, partner e amici. Al prossimo, che chiede confronto, solidarietà, dialogo, aiuto, non rimane che mettersi in fila e attendere il turno, se e quando l’altro avrà tempo, voglia e modo di ascoltare. Si tratta di una vera e propria forma di esclusione sociale, in una collettività in cui, al contrario, si “parla” e si “teorizza” il termine opposto, quello dell’“inclusione”, in tutti i settori.

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