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Pezzati (Oxfam Italia): “In Yemen si vive sperando di sopravvivere”

L’intervista di Interris.it a Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia, sui sette anni di guerra nel Paese mediorientale

Da sette anni un Paese, già uno dei più poveri del mondo e che potrebbe addirittura diventare il più povero, è segnato dalle piaghe della guerra, che miete vittime tra i civili, e della crisi umanitaria, che getta chi sopravvive in una condizione ancora più severa di bisogno, fame, malattia. Si tratta dello Yemen, all’estremità meridionale della Penisola araba, che nei suoi appena tre decenni di vita come nazione unitaria non ha pressoché conosciuto sviluppo, dopo un passato coloniale, ma principalmente tensioni interne. Milioni di persone sopravvivono solo grazie agli aiuti umanitari, perché il Paese non è ricco di risorse e deve importare molti beni, tra cui il grano dall’Ucraina, e i mezzi di sostentamento sono pochi. Ma neanche chi ha un lavoro si vede garantita la retribuzione, i dipendenti pubblici non percepiscono lo stipendio dal 2016.

Le ferite tuttora aperte dello Yemen sono le 18.500 persone che hanno perso la vita in questi anni – 234 solo a gennaio di quest’anno, oltre a 432 feriti –,  il 40% delle abitazioni in tutte le città del Paese distrutte dai 24.600 attacchi aerei che si sono susseguiti, secondo quanto riferisce l’organizzazione umanitaria Oxfam, da molto tempo nel Paese dove dal 2015 ha soccorso quattro milioni di persone, i 10mila bambini feriti o mutilati dall’inizio dell’escalation che l’Unicef, il fondo delle Nazioni unite per l’infanzia, ha potuto verificare. Quattro bambini colpiti dalla guerra ogni giorno, nell’ultimo mese undici uccisi o mutilati nella sola Ma’rib, a est della capitale San’a. Le ferite aperte sono ancora gli aumenti vertiginosi dei prezzi degli alimenti e del carburante, l’acqua non pulita, gli episodi di abusi e violenze sulla popolazione aumentati del 63% nell’ultimo biennio, il sottofinanziamento degli aiuti che vengono dalla comunità internazionale e la conseguente difficoltà di proseguire con i programmi di aiuti umanitari. Infine, l’insicurezza alimentare, che colpisce il 54% della popolazione, e la malnutrizione di un paese che potrebbe trovarsi sull’orlo della carestia entro quest’anno, in base ai dati e alle stime dell’iniziativa multipartner Integrated Food Security Phase Classification.

Storia recente dello Yemen

Nato dall’unione, sancita il 22 maggio del 1990, delle due repubbliche, la settentrionale che era stata parte dell’impero ottomano fino al 1918 e la meridionale che era stata una colonia britannica per poi acquisire l’indipendenza nel 1967, il Paese è rimasto sempre uno dei più poveri della regione, attraversato da continue tensioni. Il conflitto in corso ha origine con gli scontri iniziati nel 2014 tra il movimento ribelle musulmano sciita degli Houthi e il governo eletto. Gli Houthi, dopo aver preso il controllo della provincia settentrionale di Saada e delle aree limitrofe, sono arrivati a prendere la capitale. “La guerra civile ha portato il governo eletto a fuggire da San’a, trovando  rifugio ad Aden, nel sud”, spiega a Interris.it Paolo Pezzati, policy advisor per le emergenze umanitarie di Oxfam Italia, “gli Houthi controllano così il nord mentre il governo internazionalmente riconosciuto è nella parte meridionale, sostenuto da Arabia Saudita ed Emirati Arabi”. L’escalation di questa guerra civile arriva il 26 marzo 2015, con l’intervento di una coalizione di nove Paesi guidata dai sauditi, che attaccano i ribelli. “Il conflitto si aggrava e vengono distrutte infrastrutture civili come scuole e ospedali, sia via terra dagli Houthi che via per aerea”, prosegue Pezzati. “Le città chiave sono Ma’rib e Hodeida, il principale porto del paese sul Mar Rosso, dove passa il 70% delle importazioni e i beni di consumi e umanitari”. La situazione, inoltre, si complica quando il gruppo secessionista Southern Transitional Council, che ha ottenuto l’appoggio emiratino, inizia a ‘sfidare’ il governo riconosciuto sul controllo del territorio, portando un’agenda alternativa per una divisione tra il sud e il nord del Paese, spiega ancora Pezzati.

Mofadal and his daughter while she is examined at The field hospital of the Sweden camp – Oxfam

L’emergenza alimentare

Nel corso del 2022 due yemeniti su tre potrebbero trovarsi sull’orlo della carestia, secondo Oxfam. L’emergenza alimentare affligge lo Yemen da oltre dieci anni e il conflitto non ha potuto far altro che esacerbare la situazione. Già nel 2011 si è introdotta, sotto il sotto il Food Security Technical Secretariat con il supporto del programma Fao-Fsis, la valutazione di insicurezza alimentare acuta, l’impossibilità per una persona di consumare cibo adeguato che ne mette in pericolo i mezzi di sostentamento o la stessa vita. Gli ultimi dati dell’Integrated Phood Security Phase Classification contenuti nel Food & Nutrition Snapeshot di marzo 2022 fotografano una realtà sempre più critica. Si stima infatti che nel periodo gennaio-maggio di quest’anno, i 17,4 milioni di persone che soffriranno di insicurezza alimentare acuta e potrebbero salire a 19 milioni entro la fine dell’anno, mentre 31mila persone già adesso affrontano livelli di fame estrema e potranno salire a 161mila entro giugno. La malnutrizione acuta, si ritiene, nel corso dell’anno potrà interessare 2,2 milioni di bambini sotto i cinque anni, tra cui oltre 500mila particolarmente malnutriti, e 1,3 milioni di donne in stato di gravidanza e in fase di allattamento.

Un paese povero

Attualmente il Paese è al 179esimo posto su 189 nello Human Development Index, che misura standard di vita, aspettativa di vita e il tasso di educazione, secondo le Nazioni unite. Ma uno studio del 2019 del Programma di sviluppo dell’Onu (Unpd) avvertiva che se il conflitto fosse proseguito fino al 2022, lo Yemen sarebbe diventato il più povero paese al mondo. Si stimava che la povertà sarebbe passata dal 47% della popolazione nel 2014 al 75% per la fine del 2019, per arrivare fino al 79% nel 2022. In una situazione del genere, l’impatto della guerra alle porte d’Europa può avere un effetto molto nocivo. Lo Yemen infatti è un paese importatore e il 42% del grano proviene direttamente dall’Ucraina, ma con il conflitto il corso i prezzi aumentano e il prezzo del pane sarebbe aumentato del 35% nella capitale yemenita. Un altro effetto negativo dell’aumento dei costi delle materie prime a livello globale è l’incremento del prezzo del carburante, triplicato nel paese in appena tre mesi, con conseguenti difficoltà nella distribuzioni di beni essenziali, soprattutto nelle zone più remote.

Ali lives in Hajjah with his two young children who both suffer from malnutrition.
Ali is unable to afford enough food or medicine for the children. He earns a small income from collecting and selling wood – Oxfam

Gli aiuti

La solidarietà internazionale fa fatica. All’ultima conferenza dei Paesi donatori, il 16 marzo 2022, ha fatto sapere Oxfam, si sono raccolti 1,3 miliardi di dollari rispetto ai 4,27 miliardi richiesti dalle Nazioni unite, appena il 30%. Gli Stati Uniti d’America si sono impegnati per 585 milioni di dollari, la Germania per 123, la Gran Bretagna per 118, l’Italia per 5,6 milioni – 5 milioni di euro. Neppure lo scorso anno l’appello da 3,85 miliardi era stato completamente finanziato. Il venir meno dei fondi rende molto più difficile portare avanti i programmi di aiuto umanitario a una popolazione che per circa il 75% dipende proprio da questi per sopravvivere.

Salvare vite nell’emergenza

A proposito di aiuto umanitario, in questi ultimi sette anni Oxfam ha operato principalmente in nove governatorati del Paese sia in ambito alimentare, con voucher per l’acquisto di cibo, sia sanitario, con la distribuzione di kit igienico-sanitari e acqua pulita nei campi profughi e realizzando campagne di sensibilizzazione sulle norme di prevenzione del contagio da Coronavirus, che lavorativo, offrendo agli yemeniti la possibilità di ricostruire le infrastrutture idriche e stradali, rimaste distrutte. In ultimo, con la campagna “Salviamo vite nelle emergenze”, a cui collaborano altre quattro organizzazioni locali, si realizzeranno progetti in sostegno dei diritti delle donne più vulnerabili, attraverso formazione specifica, campagne di sensibilizzazione e assistenza diretta alle vittime e alle organizzazioni.

L’intervista

Cosa significa per un paese sette anni di guerra e di crisi umanitaria?

“In un Paese tra i più fragili della regione, importatore netto di tanti beni dove già la possibilità soddisfare i bisogni primari era complicato, dalle persone traspare che è stata azzerata ogni speranza futuro. E’ stata menomata in modo irreversibile la spina dorsale dello Yemen, rimangono gli scheletri delle infrastrutture, delle reti di comunicazione, delle reti idriche ed elettriche, della scuola e della sanità. Si vive sperando sopravvivere, l’orizzonte è il domani, il giorno dopo”.

I dati dello Yemen Data Project mostrano che gennaio 2022 è stato il mese più violento in più di cinque anni. Come evolve il conflitto?

“Lo scorso gennaio si sono registrati 234 morti e 432 feriti tra i civili. In tutta la seconda parte del 2021 abbiamo assistito a un’escalation di violenza in alcune parti del Paese, dalla città portuale di Hodeida a Ma’rib, per un tentativoconquista da parte degli Houthi con una mossa a tenaglia che poi è stata respinta da un controffensiva. Il governatorato di Ma’rib sembra essere ricco di risorse naturali e inoltre è l’ultima enclave rimasta al governo regolare internazionalmente riconosciuto”.

Ali lives in Hajjah with his two young children who both suffer from malnutrition.
Ali is unable to afford enough food or medicine for the children. He earns a small income from collecting and selling wood – Oxfam

Cosa di dicono quei numeri su insicurezza alimentare acuta e malnutrizione?

“La situazione è catastrofica, su 30 milioni di abitanti il 54% soffre di insicurezza alimentare. Vuol dire che non si ha la sicurezza del passo successivo, non si è in grado di provvedere al bisogno giornaliero. Inoltre aumenta a otto milioni il numero di persone che soffrono di malnutrizione, poi arriveranno i dati sulla malnutrizione grave, quando si rischia il deperimento fino alla morte. In questi sette anni si è avuto un aumento di quasi cinque milioni di persone che dipendono dagli aiuti umanitari, in più quattro milioni di sfollati interni, vulnerabili, vivono in campi in  condizioni igieniche ancora più precarie  e sono esposti a rischi, in particolare donne e bambini”.

 L’effetto dell’aumento dei prezzi dei beni alimentari per il conflitto in Ucraina si farà sentire anche qui?

“La situazione, già drammatica, può peggiorare perché lo Yemen importava il grano proprio dall’Ucraina. Aver rotto la catena della distribuzione e aver menomato quella catena produttiva ha effetti immediati su quei paesi che dipendevano dai prodotti ucraini e russi. In base a dei primi rilevamenti, a San’a il prezzo del pane è salito del +35%, ma vedremo un trend crescente. Con l’aumento del costo carburante, tutta una serie di prezzi, come quelli degli alimenti freschi, salirà, perché per gli agricoltori non sarà più vantaggioso venderli. Si passerà a un’economia di sussistenza”.

Lo Yemen ha conosciuto la più grave epidemia mondiale di colera. Qual è stato l’mpatto del Covid sulla sanità del Paese?

“Sapere quanti positivi ci siano non è facile, non c’era capacità di monitoraggi. Dalla comunità internazionale arrivano pochi test e vaccini, gli strumenti medici sono ridotti all’osso, il personale sanitario non riceve lo stipendio e gli ospedali sono danneggiati. Misure come lockdown e quarantene ci sono stati solo in un primo momento, le persone poi hanno ripreso a uscire perché il mercato si mantiene sulla sussistenza”.

Le organizzazioni umanitarie come la vostra riescono a operare in sicurezza?

“E’ sempre più difficile, perché le linee del fronte sono cambiate con una certa velocità per cui non è semplice agire con un tranquillità, con l’autorizzazione dalle forze che operano sul territorio. Inoltre il clima, con alluvioni e inondazioni in questo periodo, non aiuta. La nostra organizzazione qui è presente nel nord e nel sud, impegnata nel portare acqua pulita e nel lavorare per garantire alla popolazione livelli igienico-sanitari capaci di preservarne la salute. Portiamo camion con l’acqua, cerchiamo di riparare le reti idriche danneggiate, e abbiamo costruito delle cisterne per la raccolta dell’acqua piovana. Nei campi profughi distribuiamo kit igienico-sanitari  e promuoviamo campagne di sensibilizzazione su malattie come il colera e il Covid, inoltre facciamo protection per chi si trova nei campi. Cerchiamo anche di promuovere piccole attività di mercato che vadano oltre la sussistenza e in alcune situazioni abbiamo cercato di coinvolgere le persone nel ripristino delle infrastrutture, come quelle idriche”.

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