Perdono e penitenza per stare vicino a coloro che soffrono

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La Chiesa Cattolica in Italia ha istituito per la giornata del 18 novembre la prima Giornata Nazionale di Preghiera per le vittime e i sopravvissuti agli abusi, per la tutela dei minori e delle persone vulnerabili.

Come nasce questa giornata

Nel 2016 una sopravvissuta agli abusi aveva presentato una proposta alla Pontificia commissione per la tutela dei minori. L’aveva presentata come aiuto in un processo di guarigione per i sopravvissuti e per aumentare la consapevolezza nella Chiesa. Papa Francesco aveva approvato e aveva chiesto che ogni Conferenza Episcopale scegliesse una giornata da dedicare alle vittime.

La scelta di questa data

Questa data è stata scelta per la concomitanza con una ricorrenza “civile”: la Giornata europea per la protezione dei minori contro lo sfruttamento e l’abuso sessuale ma, quest’anno, la data del 18 novembre 2021, assume una valenza ancora più particolare perché precede di due giorni la solennità di Cristo Re. Interris.it ha intervistato su questo tema padre Alfredo Feretti, direttore del “Centro La Famiglia” di Roma, il primo consultorio sorto nella capitale d’Italia, fondato nel 1966 da padre Luciano Cupia degli Oblati di Maria Immacolata.

L’intervista

Qual è il significato di questa Giornata?

“Prima di tutto ha l’obiettivo di rendere sensibili le persone sull’importanza della tutela dei minori. La ricchezza più grande che abbiamo sono le nuove generazioni, anche se l’Italia in questo momento ha un record negativo di nascite ma, la ricchezza più grossa sono appunto i ragazzi, i bambini e gli adolescenti. Quindi, a mio avviso, un valore di questa giornata è proprio il mettere in evidenza come alcune istituzioni che sono la famiglia, la scuola, la parrocchia, i luoghi di aggregazione, di studio o di sport devono essere ambiti dove aiutiamo a crescere i ragazzi e dove gli stessi possono sentirsi protetti. Il secondo obiettivo di questo giorno è quello di rendere sempre più trasparente e far emergere tutto ciò che potrebbe essere una situazione di grave abuso e quindi che va contro a tutto ciò quello che è la dignità della persona e al ruolo che la Chiesa e non solo deve avere nei confronti dei minori. C’è quindi una dimensione positiva e una riparativa”.

In che modo la Chiesa può aiutare le vittime di abusi?

“Si stanno mettendo in atto, a seconda delle varie Chiese, diverse modalità di riparazione. La prima cosa è aiutare le persone che non sono state aiutate a rimettere al centro della loro personalità la dignità, l’indipendenza e ridare così loro la possibilità di vivere la vita con maggiore serenità. Gli abusi perpetrati sui giovanissimi lasciano segni pressoché indelebili ma, pur con questi segni, noi possiamo offrire tutto il sostegno possibile – sia spirituale che psicologico e tutto ciò di cui hanno bisogno – affinché possano ritrovare la loro dignità e libertà. Io dico sempre che bisogna aiutare le persone a rimettersi in piedi perché, questa posizione, è quella di colui che sta di fronte, la posizione dell’uomo libero e degno creato da Dio. Ovviamente, ogni Diocesi, mette in atto altre modalità di aiuti che possono essere economici, di accompagnamento per un tempo piuttosto lungo e tutto ciò che è necessario. A mio avviso, il primo modo per aiutare le vittime di abusi, è metterle nella condizione di poter parlare con molta franchezza e rimettersi di fronte a questo delitto con la forza e la potenza interiore di colui che dice “questo non lo posso più permettere”. La situazione è sempre piuttosto delicata perché ogni persona è totalmente diversa quindi, a volte, ci sono contesti in cui è necessario un percorso molto lungo per arrivare ad una trasparenza, ad un’accettazione e ad un eventuale perdono perché, anche questo, è il passaggio più ampio”.

 Come si possono prevenire i fenomeni di abuso?

“Nel mio consultorio lavoro moltissimo con la base, ossia le famiglie. Prima di andare a vedere altre modalità di prevenzione che sono la formazione dei preti, degli operatori e degli educatori. La famiglia può e deve essere il luogo primario dove si educa e si prende coscienza di chi siamo attraverso corpo, psiche e spirito nell’unità di tutti e tre gli elementi. La famiglia è il luogo dove si può imparare ad essere trasparenti, chiari e leali, perché l’abuso sopravvive dove c’è la fatica di poter comunicare. Questa è la cosa più drammatica, quando si ha vergogna di dire ciò che si vive. La famiglia dovrebbe essere il punto della libertà, dove si possono affrontare le situazioni in cui si è in qualche modo oppressi. È molto importante, a questo proposito, lavorare sulle famiglie”.

Che insegnamento ci da la Lettera al Popolo di Dio di Papa Francesco?

“Ci conferisce la dignità di Popolo di Dio che abbiamo forse dimenticato, dove tutti siamo responsabili della vita, della salute e del Corpo mistico di Cristo. Nel momento in cui il Santo Padre ci ha ripetuto la dignità di Popolo di Dio ci dà anche la responsabilità di rispondere a ciò che avviene e a ciò che è successo con franchezza e profondità, questa credo che sia la cosa più importante. L’insegnamento che viene da quella Lettera è che ridà voce e coralità a tutto l’insieme del Popolo di Dio senza riservare all’uno o all’altro dei ruoli che non sono esclusivi ma sono di tutti noi. Certamente, all’interno del popolo di Dio, i Ministri ordinati hanno dei ruoli particolari ma tutti, per la responsabilità di una dignità regale che c’è stata data nel Battesimo, abbiamo il compito di salvaguardare il bene dell’uomo e dell’umanità, dai più piccoli in avanti”.

Papa Francesco nella sala Clementina

Qual è il senso più profondo della richiesta di perdono rivolta alle vittime?

“La richiesta di perdono rivolta alle vittime significa divenire una cosa sola con la loro sofferenza e avviene prima di tutto perché si è capito quello che è successo e ce ne si fa carico. Il secondo senso è quello di cercare la pace, l’obiettivo non è riparare ma trovare la pace per tutti. Quella pace che è una personalità unificata e raccolta, che non sia spezzettata dentro, come avviene nel caso di un abuso. Ci vuole quell’umiltà di dire – insieme – percorriamo un itinerario dove la vittima ritrova la propria dignità e noi, che siamo voce di questo immenso popolo, ci rimettiamo in stato di perdono e di penitenza”.

Christian Cabello: