Il Covid non è solo un virus, è una piaga sociale. Una riflessione sviluppata dall’autorevole infettivologo Roberto Cauda alla rivista culturale dell’Università Cattolica, Vita e Pensiero. “Sono mie riflessioni personali sulla pandemia di coronavirus”, spiega a Interris.it l’ordinario di Malattie infettive all’Università Cattolica del Sacro Cuore e direttore dell’Unità operativa di Malattie infettive della Fondazione Policlinico Gemelli Irccs di Roma.
Sulle orme di padre Gemelli
Vita e pensiero è la Rivista cattolica di cultura fondata a Milano nel 1914 da Gemelli, Necchi e Olgiati. Di periodicità bimestrale, pubblica articoli di attualità, cultura e politica. Dagli stessi fondatori della rivista venne costituita nel 1918 la casa editrice omonima, divenuta nel 1921 organo dell’Università Cattolica del Sacro Cuore. La casa pubblica numerosi periodici (Aegyptus, Aevum, La Rivista del clero italiano, Jus eccetera) e collane. Tra cui, accanto a quelle di carattere formativo e pedagogico, le pubblicazioni legate all’attività accademica e scientifica. La pandemia è stata qualcosa di memorabile, come la spagnola di un secolo fa– evidenzia il professor cauda-. Abbiamo constatato comportamenti eroici e virtuosi, ma anche registrato numerosi episodi negativi, fra cui l’infodemia. Cioè la circolazione di una quantità eccessiva di informazioni,spesso non vagliate con accuratezza, che rendono difficile orientarsi. È uscito il meglio e il peggio di quanto l’uomo ha dentro”. Quindi “è necessario riportare l’attenzione sulle malattie infettive come rilevante causa di mortalità e morbilità. Sottolineando l’importanza di fornire un’adeguata preparazione alle nuove generazioni di medici. E predisponendo per tempo strutture idonee per fronteggiare l’emergenza epidemica“.
Come nei Promessi Sposi
Puntualizza il professor Cauda: “E’ già tutto descritto nei Promessi Sposi del Manzoni e nella Peste di Camus. Chi segnala per primo la possibile epidemia non viene creduto. E anzi si ritrova contrastato. E’ avvenuto così anche per il giovane medico eroe Li Wenliang. Per primo ha intuito la presenza in Cina di una nuova malattia. Si tende a vedere la malattia come qualche cosa di estraneo. Ciò trapela anche dall’appellativo inizialmente conferito alla malattia. Appunto la ‘polmonite cinese‘ nel caso del Covid-19. O l”asiatica’ nell’epidemia del 1956“.
Diffusione
Analizza il professor Cauda: “Si tende in un certo senso a demonizzare i Paesi dove l’epidemia è originata. In quanto responsabili della diffusione della malattia. Lo dimostra l’ostilità generatasi all’inizio della pandemia verso i ristoranti cinesi. E verso ogni attività commerciale in qualche modo riferibile alla Cina”.
Il ruolo della Chiesa
Nell’emergenza sanitaria e sociale, puntualizza l’infettivologo, “non è tuttavia mancata nei drammatici giorni della pandemia la presenza della Chiesa. Non possiamo dimenticare la benedizione Urbi et orbi che papa Francesco ha dato una sera, sotto la pioggia, in una piazza San Pietro completamente deserta. Così come le ripetute dimostrazioni di vicinanza del Pontefice alle popolazioni colpite da Covid-19. La prova che alcuni hanno dovuto affrontare nel corso di questa pandemia è stata molto dura. Pensiamo all’immagine che ha colpito di più in questi mesi. Quella dei camion militari che trasportavano le salme da Bergamo e da Brescia perché fossero cremate. Non essendo più possibile farlo in quelle città in considerazione del grande numero“.
Come nei secoli bui
“In questo la pandemia Covid-19 del terzo millennio non si è dimostrata diversa dalle epidemie di peste medievali e seicentesche– afferma il professor causa-. Quando al culmine della diffusione si procedeva alla cremazione dei cadaveri. Come extrema ratio. Con l’intento di ridurre i rischi del contagio. Senza provvedere alla loro sepoltura. Evento eccezionale per quei tempi. Considerando che la Chiesa proibiva questa pratica“.