In piena emergenza Covid-19, Interris.it approfondisce le gravi conseguenze dell’epidemia sulle disabilità complesse, rare, intellettive. Antonio Massacci vive a Jesi, in provincia di Ancona, presiede l’onlus Anffas, l’associazione delle famiglie di disabili intellettivi. Suo figlio Giorgio, 37 anni, soffre di un’epilessia farmacoresistente che gli impedisce di memorizzare ciò che apprende.
Perché definisce doppia l’emergenza sanitaria per i disabili intellettivi?
“Comprendiamo che il momento è complesso, difficile e trovare la soluzione migliore, quella più adatta ad ogni situazione è sicuramente impresa ardua ma non provarci affatto non è da illuminati. Si è decretato più volte ed ogni volta in maniera più precisa e stringente, e dopo qualche giorno, la popolazione ha iniziato a rispettare, e sempre meglio, le disposizioni impartite. Ecco, appunto, le disposizioni impartite, ci dicono di restare in casa, di uscire solo per le cose indispensabili, di evitare gli assembramenti, di mantenere le distanze”.
Quali sono gli effetti pratici?
“Mantenere le distanze quando si cura, quando ci si prende cura di persone non autosufficienti o con ridotte autonomie è praticamente impossibile e infatti, il “decisore”, ha demandando alle Regioni, appunto, la decisione, della chiusura o apertura dei Centri Diurni, per persone con disabilità e per anziani. In una realtà frastagliata e frantumata quale è quella italiana dove venti ‘staterelli’ sono stati chiamati a decidere su tematiche complesse e lo hanno fatto, spesso, anteponendo gli interessi di corte a quelli collettivi con una instabilità decisionale non sempre commendevole, e il quadro che ne è emerso ci restituisce realtà dove si è deciso di chiudere e realtà dove, facendo ricorso al ‘ponziopilatismo’ si è lasciata facoltà agli enti gestori di decidere autonomamente”.
Il risultato è lasciare sole le famiglie?
“Chiudere l’attività in un contesto come questo, non significa sospendere la produzione, significa abbandonare chi non può essere abbandonato. Ora, occorre tener presente che, le persone di cui parliamo, le persone che vengono prese in carico non possono essere allontanate, al contrario, occorre lavorare su di loro e con loro. Laddove si è optato per l’apertura dei centri si dovrà lavorare senza mezzi adeguati, scarsità e inadeguatezza di mascherine e di guanti, di materiale igienizzante e, senza direttive precise e vincolanti. Le famiglie sono chiamate a decidere se usufruire o no del servizio oppure tenere il proprio congiunto in casa e farsene carico. Così fanno quelle che hanno i mezzi fisici, gli spazi adeguati, la forza necessaria alla cura per tutti giorni, interi, e per tutto il periodo che sarà necessario”.
Può farci un esempio?
“Laddove si è optato per la chiusura dei centri diurni, per le famiglie che hanno comunque bisogno di aiuto sono previsti i sostegni domiciliari, quasi ovunque. Nelle situazioni in cui si attivano i sostegni domiciliari, l’esposizione al rischio di persone fragili, dei loro familiari e delle persone che portano loro aiuto è ancora più critica. Qui si mettono in contatto persone che hanno la loro vita, le loro famiglie con l’utenza, spesso si va di casa in casa perché non è possibile fare altrimenti e il ritornello che dice: ‘nessuno sarà lasciato solo’, ha un suono sinistro e sa di abbandono al caso, alla sorte o, spero, alla benevolenza di Dio”.
Cosa chiedete al governo e alle autorità locali?
“Ripeto, ci rendiamo perfettamente conto del quadro generale difficilissimo. Siamo consapevoli della complessità e delle difficoltà del momento che stiamo vivendo. Ci stiamo comportando responsabilmente. Certo ci piacerebbe che chi vive questa situazione, da utente o da operatore, abbia accesso ai pensieri di chi è chiamato a decidere, che possano almeno disporre di quei presidi atti a garantire, nel limite del possibile, la loro sicurezza, che queste persone, per la loro natura, non siano costrette a percorsi tortuosi per accedere alle cure, nel caso se ne manifesti il bisogno. Ci farebbe piacere che si tenesse conto del fatto che la disabilità non è una scelta ma una condizione, subita, per questioni ambientali e stili di vita che prescindono dal volere individuale”.