Per gli eremiti metropolitani “l’isolamento è custodia del silenzio”

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“Ero da poco arrivato a Repubblica– racconta Paolo Rodari-. Proposi a Ezio Mauro, allora direttore, un reportage sugli eremiti urbani, persone che abbracciano il silenzio e la solitudine all’interno di appartamenti comuni, abitazioni come tante altre dentro le nostre città. Acconsentì e uscì in due pagine questo mio articolo intitolato “I nuovi eremiti“. Nel reportage scrissi a lungo di Antonella Lumini, la cui esperienza di solitudine mi aveva colpito più di altre”. In tempo di pandemia e di isolamento dovuto all’emergenza sanitaria, Interris.it ha intervistato il vaticanista di Repubblica, Paolo Rodari, autore di numerosi libri di successo, tra i quali “La custode del silenzio-Io Antonella, eremita di città”, vincitore del Premio Letterario Firenze per le Culture di Pace.La pandemia ha reso l’isolamento un’esperienza comune, ma per alcuni è una scelta consapevole, chi sono gli eremiti metropolitani del terzo millennio?

“Fra i tanti eremiti sparsi per il mondo, ve ne sono alcuni che hanno scelto di isolarsi all’interno delle proprie abitazioni. Sono chiamati eremiti metropolitani o urbani. Vivono dentro le proprie case nel silenzio, spesso dedicando delle ore alla meditazione. Sono persone come tutte le altre che però scelgono di vivere nel solo a solo con Dio”.Lei ha dedicato un libro a queste nuove forme di spiritualità con radici bimilennarie nel cristianesimo. Quali sono le caratteristiche degli asceti  del mondo odierno?

“Sono persone come tutte le altre. La caratteristica è che sono consapevoli del fatto che l’esperienza mistica è possibile a tutti. Non servono doti particolari e nemmeno tecniche di raccoglimento. Occorre soltanto avere la consapevolezza che in qualsiasi istante l’uomo può entrare nella verità di sé che  è il suo rapporto con lo spirito creatore. Vivere il silenzio significa rinnovare questo rapporto, viverlo quotidianamente”.Papa Francesco nel messaggio per la giornata mondiale degli infermieri parla di “santi delle porta accanto”. Come incidono gli eremiti metropolitano nella vita della società e della Chiesa?

“La Chiesa valorizza poco queste persone. La preghiera silenziosa, la ricerca della voce di Dio all’interno della propria coscienza è un qualcosa che non si può controllare e nei cui confronti l’istituzione si muove sempre con prudenza se non con diffidenza. Eppure la preghiera silenziosa è al centro della vita di Gesù, come anche di tante persone che nel corso dei secoli l’hanno rinnovata. Fra le figure dell’Occidente più luminose mi viene in mente John Main, ma  come lui tanti altri”.

Alla globalizzazione dell’indifferenza può sostituirsi quella  della solidarietà?

“Sulla carta sì. Ma dipende dalle scelte di ognuno di noi. E’ compito di ognuno aprirsi alla solidarietà e far sì che essa diventi stile di vita comune”.

In che modo si possono unire azione e contemplazione, carità e preghiera in un contesto frenetico e poco dedito alla riflessione come la società contemporanea?

“Non bisogna unire ma partire dalla consapevolezza che già sono unite. Solo se si recupera la consapevolezza che non c’è separazione fra corpo e spirito, vita attiva e contemplativa, si può recuperare l’unità che ci contraddistingue. Alcuni uomini e donne dello spirito insegnano che ripetendo come un mantra alcune parole questa unione può essere recuperata, o meglio si può tornare ad averne consapevolezza. Ad esempio c’è chi ripete più volte al giorno l’espressione aramaica citata da San Paolo “maranatha”, vieni Signore. Ripetere questa formula può riconnetterci a ciò che siamo, unione sempre presente con lo spirito creatore”.

Qual è la storia di Antonella Lumini?

“Aveva 28 anni, Antonella, quando sentì un richiamo che la spinse su una via già percorsa da tanti eremiti prima di lei, ma nello stesso tempo unica. Come gli antichi eremiti della tradizione ortodossa che senza chiedere il permesso a nessuno partivano per una vita di solitudine semplicemente dopo la benedizione di un sacerdote, così Antonella lasciò ogni cosa per abbracciare il silenzio senza ricevere alcun particolare mandato da nessuno. Lo Spirito, mi disse, deve essere lasciato libero di parlare. La mia, continuò, è una vita sulla soglia, né dentro né fuori la Chiesa. Da allora non ha mai lasciato Firenze, la città dove è nata. Si è mantenuta lavorando part time presso la Biblioteca Nazionale Centrale con un incarico sui testi antichi, dosando silenzio e lavoro, le ore mattutine in Biblioteca e il silenzio una volta rientrata a casa nel pomeriggio”.

Di che carisma si tratta?

“Lontana dall’idea di rifiutare il mondo, Antonella ha sempre dosato con disciplina la connessione a Internet e l’uso del telefono. Le parole che pronuncia sono un balsamo per l’anima di chi va a trovarla, uomini e donne che cercano di dare un senso alla propria esistenza. Nel suo appartamento una stanza è riservata al silenzio, si chiama “pustinia” che in russo significa deserto. Più volte sono entrato in questa stanza, per ascoltare il silenzio, per ascoltare Antonella e mettere in pagina nel libro “La custode del silenzioe” la sua storia. Una vita dedicata all’ascolto del silenzio, alla voce che parla in esso, una voce raggiungibile da tutti, nessuno escluso. Una voce che è origine, radice, verità. ‘Caro Paolo – mi ha detto -, la mia è una consegna. Ti porterò dentro questo viaggio. Ora può essere raccontato'”.

 

 

 

Giacomo Galeazzi: