Il parlamento è l’espressione della sovranità popolare perché i cittadini ne scelgono i componenti come propri rappresentanti. L’assemblea forma un coro di tutte le voci del popolo – quelle che superano la soglia di sbarramento fissata dalla legge elettorale. E’ l’arena del confronto politico dove si discute e si decide su ciò che riguarda la comunità, realizzando così la democrazia. In occasione della Giornata internazionale del parlamentarismo, Interris.it ha intervistato il
professore ordinario di diritto pubblico comparato all’Università La Sapienza di Roma Stefano Ceccanti, per conoscere meglio questa istituzione nel suo processo di costante cambiamento e aggiornamento nel corso dei secoli, fino alla nascita di un’assemblea sovranazionale, il Parlamento europeo, ma anche oggetto di critiche da chi la ritiene superata con l’avvento della Rete, che rappresenterebbe il luogo della disintermediazione rispetto alla delega.
L’intervista
Professore, cominciamo con un po’ di storia. Quando nasce il primo parlamento?
“La logica del funzionamento dell’assemblea parlamentare nasce in Inghilterra intorno a un compromesso sociale, pragmatico, con la scrittura della Magna Charta. Con quel documento i nobili si dicevano disposti a sostenere le spese del regno secondo il principio ‘nessuna tassazione senza rappresentanza’. Si sono poi susseguiti i cambiamenti dovuti alle diverse forme di Stato, dapprima liberale poi con il crescente intervento statale in economia ha cominciato a emergere la forza del parlamento come luogo chiave per determinare l’indirizzo politico. Si sono poi creati nuovi meccanismi secondo la logica della separazione dei poteri, tra re e parlamento, tra governo e maggioranza parlamentare da un lato e le forze di opposizione e di minoranza dall’altro. Nascono in seguito nuove assemblee dotate di poteri, come il parlamento europeo e gli enti intermedi, come le Regioni, a cui si aggiungono le corti costituzionali, per limitare gli eccessi di potere. Dal secondo dopoguerra in poi in Europa lo ‘schema’ intorno ai parlamenti è stato: ‘in alto’ gli organi Ue, gli enti locali ‘in basso’ e le corti ‘a lato’”.
Il parlamento è più un luogo di discussione, di decisione o di entrambe?
“Non è un ‘tutto’ compatto, c’è una suddivisione tra il potere della maggioranza, collegata al governo, e dell’opposizione. Le decisioni sono in buona parte quella della maggioranza, a cui le minoranze presentano il loro progetto politico alternativo”.
La democrazia parlamentare è ancora attuale al tempo della Rete e della tendenza alla rappresentanza sui singoli temi?
“Non dobbiamo pensare che ci sia stata un’età dell’oro a cui è seguito un declino, ogni epoca ha i suoi problemi di equilibrio dei poteri. Occorre fare una distinzione tra le democrazie parlamentari occidentali stabilizzate e quelle di più recente consolidamento o che comunque si trovano in contesti diversi. Nelle prime, le occidentali stabilizzate, possiamo avere delle parziali retrocessioni, ma non farei un esame di tipo apocalittico. Pochi giorni fa alle elezioni europee milioni di persone hanno espresso le loro preferenze, ma anche fuori dall’Occidente, come in Sud Africa e in India, i partiti di governo hanno dovuto formare delle coalizioni per far nascere l’esecutivo”.
Dopo la pandemia le assemblee parlamentari adesso sono in grado di rispondere alle crisi? Sono diventate “resilienti”?
“C’è una specificità italiana su cui bisogna riflettere. L’Italia ha avuto casi di mancate riforme, come quella sul bicameralismo, e anomalie da affrontare seriamente. Il governo si è attribuito di fatto in modo convulso il potere di decisione, mi riferisco alla decretazione d’urgenza, svuotando l’assemblea del suo ruolo. Così quest’ultima si trova a votare norme già entrate in vigore. Se è vero che il governo ha l’iniziativa legislativa e fa approvare le leggi, questo processo deve avvenire in maniera più ordinata, attraverso l’approvazione delle Camere. Per superare queste anomalie serve sostituire gli elementi ‘patologici’ con altri fisiologici, quali termini certi per l’approvazione dei disegni di leggi o il bicameralismo, con una delle due Camere che rappresenti le Regioni, a differenza di ora dove sostanzialmente una approva e l’altra soltanto ratifica”.
Quali effetti può avere la riforma del premierato sul nostro parlamento?
“Che ci sia bisogno di un quadro di regole diverse è indiscutibile, poi dipende da come le si fa. Il testo del governo propone un modello senza chiarire come si deve scegliere l’esecutivo. Che il governo nasca dalla scelta degli elettori è una cosa sana, ma non si riesce a capire se si avranno tre schede elettorali o solo due, oppure se le elezioni saranno a maggioranza relativa, con il ballottaggio o con la soglia per avere un premio di maggioranza, per fare degli esempi”.
Che risultato è stato aver istituito un’assemblea sovranazionale, l’Eurocamera?
“Un risultato molto importante. L’Europa vive di due anime, la collaborazione tra i governi e la logica federale, dal basso, attraverso il Parlamento europeo. E’ difficile andare avanti solo con le intese tra Stati nazionali, senza un apporto maggiormente federale”.