“Da difficoltà la pandemia può diventare opportunità. Da sofferenza per l’emergenza Covid, quella della comunità cristiana, può divenire riprogettarsi. Iniziare nuovamente da capo. Ricominciare a camminare lungo la via di Emmaus”, afferma a Interris.it don Giuseppe Trappolini, parroco nella capitale di San Giacomo in Augusta e responsabile della prima prefettura della diocesi di Roma. “Una rinascita che trae origine dal sentire che il Signore sta accanto a ciascuno. Anche se non ce ne accorgiamo, eppure lui ci spiega le Scritture e ci invita a sedere e spezzare il pane con lui“.
La sfida pastorale della pandemia
Ogni mattina la colazione distribuita accanto alla chiesa ai poveri del quartiere. Poi il catechismo ai bambini dislocati sui banchi distanziati nella navata. L’assistenza spirituale e materiale agli anziani. Nell’emergenza sanitaria e sociale il parroco colma vuoti nella vita pubblica e sostituisce figure assenti.
“Il momento particolare che stiamo vivendo per la pandemia porta delle contraddizioni interiori in ciascuno di noi. Alla domanda ‘più solidarietà o chiusura in se stessi’ credo, si possa rispondere, che tutte e due le dimensioni siano ‘coesistenti’. Da un lato uno sente il desiderio di solidarietà verso gli altri, soprattutto vedendo situazioni di precarietà e miseria. Ma nello stesso tempo c’è la tentazione di chiudersi in se stessi”.
“Quello di vedere la solidarietà soltanto come un giusto impegno che altri ‘devono avere’ e non ci si mette in gioco in prima persona. A volte la chiusura in se stessi e data anche dalla situazione stessa che si sta vivendo: Io penso soprattutto alle persone più fragili che non hanno a volte neppure il coraggio di esprimere le proprie perplessità, le proprie paure, è dentro di sé sentono il peso della situazione. Il valore della solidarietà certamente è cambiato. Probabilmente in meglio”.
“Ho visto concretamente come persone che siano rese disponibili ad andare incontro alle necessità anche di alcune persone fragili. Nella nostra comunità non abbiamo situazioni in cui si portano i pacchi viveri in casa. Ma, per esempio, molti guardando i poveri che stanno davanti alla chiesa la mattina per fare colazione, si sono domandati il modo in cui uno potesse essere più solidale però anche qui, la solidarietà a volte è soltanto un ideale. Un ideale da perseguire ma che a volte è difficile da realizzare. C’è anche un altro rischio”.
“Quello dell’esclusione sociale. Mi sono accorto di come molti persone mi dicono: ‘stai attento Don Giuseppe, stai attento alle persone che incontri, soprattutto a quelle persone che vengono a fare colazione, guardati da quelle persone che non conosci e vengono a parlarti, anche in ufficio’. Sono inviti che continuamente mi si fanno. Io ancora non sono caduto in questa trappola. Ma ogni tanto comincio a pensarci e questo già non va bene, perché vuol dire che indirettamente l’esclusione sociale striscia nella vita quotidiana. Forse il rischio non c’è adesso immediatamente. Spero che non ci sia tra poco”.
Chi soffre maggiormente per questa emergenza?
I fragili, i deboli pagano il prezzo più alto alla situazione attuale. Abbiamo delle persone povere accanto a noi che stanno per strada, che soprattutto durante il periodo della ‘chiusura totale’ giravano senza meta, senza sapere dove andare. Trovando a volte anche mense e luoghi di ritrovo chiusi. Certamente ne soffrono più di altri. Ma non sono i soli”.
Chi altri?
“A soffrirne sono tutte le persone malate. Il Covid-19 non è la sola malattia che esiste in questo momento. Cresce la paura, l’incertezza di coloro che sono malati per altre patologie. Oggi curarsi è difficile. Molte persone che conosco hanno tralasciato alcune cure importanti per la paura di contrarre il virus in ospedale. Molte altre persone che ho conosciuto non sono state accolte in ospedali perché anziane, anche con febbre a 40. Ed ecco allora la categoria degli anziani è quella che più ne soffre. Anzitutto per la solitudine e poi anche per l’esclusione”.
“Al fatto che addirittura si arrivi a pensare a scelte che bisogna fare nell’ospedale per la cura. Pensare di scegliere chi ha più possibilità di vita è una cosa drammatica. E certamente le persone anziane di questa situazione ne risentono psicologicamente. Soffrono sopratutto coloro che si trovano isolati, a volte soli. Non tutti hanno i figli. Qui soprattutto nella mia situazione, ci sono persone single, che vivono da sole e certamente sentono l’esigenza di parlare. Avvertono l’esigenza di uscire da questa solitudine”.
“La pandemia grava pesantemente sui bambini e i ragazzi che in tutto questo periodo non riescono ad avere un rapporto sano tra di loro. Non è possibile ora una crescita normale, quella che dovrebbe essere diritto di ogni bambino. E’ diritto dei ragazzi non essere mai da soli ma sempre in comunione con gli altri. E oggi, questo, diventa un problema grosso, un problema educativo, un problema affettivo, un problema di crescita”.
“Ho conosciuto medici che sembravano scoraggiati di fronte alle situazioni in cui si sono improvvisamente trovati. Stremati in ospedale. Ma ho conosciuto anche medici di famiglia medici che la sera erano stanchissimi a volte anche scoraggiati”.
“Dell’emergenza Covid ne soffrono molto le comunità cristiane che non si sono trovate a pregare insieme nella normalità. Non si sono trovate a crescere insieme nell’ approfondimento della Parola. Nella condivisione e nel semplice trovarsi a vivere insieme. Tutto ciò è una fatica grande, ma è una fatica superabile che invita tutti quanti a rivedere quello che significa essere Chiesa. Siamo chiamati a riflettere su cosa significhi annunciare il Signore, essere parole di vita. Che cosa significhi fare in modo tale che la parola del Signore possa, qui, oggi, in questa situazione permeare la nostra vita quotidiana”.