Padre Feretti: “Gli insegnamenti racchiusi nella figura di San Giuseppe”

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La solennità di San Giuseppe rappresenta il giorno in cui si celebra anche la Festa del papà. Il padre è la figura che, con il suo compito educativo e di crescita dei figli, illustra nel migliore dei modi il significato del prendersi cura delle fragilità di ognuno e della crescita delle giovani generazioni. In particolare, un tratto fondamentale di San Giuseppe è rappresentato dal dono di sé e dalla tenerezza, doti fondamentali della paternità. Interris.it, in merito alla valenza più profonda di questo Santo e al significato dell’essere papà nella nostra epoca, ha intervistato padre Alfredo Feretti, presidente e direttore del “Centro La Famiglia” di Roma.

Padre Alfredo Feretti. Foto: Centro La Famiglia

L’intervista

Padre Alfredo, oggi si celebra San Giuseppe, una figura simbolo della paternità e dell’umiltà. Qual è il suo significato più profondo?

“Nella figura di San Giuseppe sono racchiusi tantissimi significati e insegnamenti, attualissimi nel momento che stiamo vivendo. Papa Francesco ci ha donato la bellissima lettera, intitolata ‘Patris corda’, e incentrata sulla figura di San Giuseppe. Egli è qui descritto come grande dono, una delle figure più silenziose del Vangelo, che ha rivelato aspetti fondamentali, ma oggi un po’ messi da parte, della figura del padre. San Giuseppe, nell’oggi, è un apripista. Ci aiuta a riscoprire il ruolo dell’essere padri. La paternità è un percorso lungo. Il Papa ha detto ‘padri non si nasce, lo di diventa’. Non solo perché si mette al mondo un figlio, ma per il prendersene responsabilmente cura giorno dopo giorno. Tutte le volte che ci assumiamo la cura della vita di un altro, esercitiamo una paternità. La bellezza di San Giuseppe risiede nel rivelare una responsabilità paterna che supera il biologico. Diventa padre a tutti i livelli, assumendosi il compito della cura, dandogli un’identità e manifestando l’attaccamento tipico delle figure paterne, pur non essendolo biologicamente. San Giuseppe quindi, è un modello, ovvero colui che ci aiuta a scoprire molte dimensioni della paternità”.

Cosa significa essere padre oggi in un’epoca profondamente segnata dell’emergere di nuove fragilità umane e sociali?

“Oggi viviamo una società orfana di padri. I cambiamenti iniziati negli anni ’60 e ’70, hanno mutato la visione dei ruoli all’interno della famiglia ed hanno fatto sì che, si scoprissero sempre di più, dimensioni che prima non c’erano. I padri, in questo tempo, stanno sperimentando delle modalità di esserlo, totalmente diverse dal passato. Il padre non è più colui che comanda o spadroneggia, ma si fa carico dei cuccioli d’uomo che hanno bisogno di molto tempo per poter arrivare ad una stabilità adulta. Un bambino e poi un ragazzo, ha bisogno di quasi vent’anni per arrivare ad un tempo maturo a sufficienza e, l’accompagnamento che da il padre, non serve solo a vivere o sopravvivere ma, dovrebbe aiutarli a dare un senso alla propria vita. Questo necessita di tempi lunghi. La nostra epoca è caratterizzata da diversi sfilacciamenti in cui, le relazioni familiari, sono molto spesso interrotte da diversi strumenti e dall’invasione di altre realtà. Penso alla tecnologia che, sovente, ci allontana o fa sì che, il padre, deleghi ad altri i compiti di protezione e, nello stesso tempo, di inserimento ed esplorazione nella società. Quindi, questo tempo complicato, richiede padri attenti. A volte, alcuni di loro, sbagliando, vogliono fare gli amici dei figli ma altri, accanto alle madri, si assumono la responsabilità educativa in toto. Essi prendono per mano il figlio e lo conducono all’incontro con il mondo e gli permettono una maturazione equilibrata”.

In che modo, i padri, possono favorire il superamento dei conflitti intergenerazionali e favorire il dialogo con i loro figli?

“Questo aspetto è il più difficile perché, ciascuno, costruisce la relazione con i propri figli nella quotidianità. In consultorio vedo la fatica dei papà e delle mamme di fronte ai loro figli adolescenti perché non riescono a raggiungere un dialogo costruttivo con loro. A volte, dei padri, passano mesi in totale silenzio con i loro figli in quanto hanno difficoltà a dialogare e ad approcciarsi con loro. Il dialogo si conquista giorno dopo giorno attraverso la responsabilità, il farsi carico dei bisogni e la disponibilità ad accogliere la parte emotiva dei propri figli. Bisogna lasciarsi coinvolgere nei momenti più importanti della loro vita. Un tempo, i padri, erano figure lontane e quasi irraggiungibili e, magari, non manifestavano nessun tipo di tenerezza. Il rischio c’è anche oggi, si può scomparire dietro a un computer o un telefono. Le generazioni si ricongiungono non facendo i giovanilisti ad oltranza, ma essendo sé stessi, capaci di dire dei ‘sì’ e dei ‘no’, i quali hanno lo stesso valore educativo. Occorre perdere l’autoritarismo ma guadagnare l’autorevolezza”.

Papa Francesco, in più occasioni, ha sottolineato l’importanza del ruolo educativo dei padri e dell’essere vicini ai loro figli. Come può essere esplicato questo insegnamento nella quotidianità?

“I momenti forti, dove si lascia un’impronta nel cuore dei figli, sono l’infanzia, la preadolescenza e l’adolescenza. Tutti questi momenti sono molto importanti. Nei primi anni c’è l’attaccamento, il quale immette nei figli una sicurezza ed una disponibilità emotiva al rapporto in cui si insegna ad essere un bene. È necessario esserci. Nell’adolescenza invece, i figli, iniziano a staccarsi e, le mani di un padre, li stringono e nello stesso tempo, li spingono all’esterno. Questo è il momento più rischioso e deve essere gestito con molta accuratezza”.

Christian Cabello: