“Quell’incidente è stata la
tragedia con la T maiuscola. Perché ero sola, ancora adolescente. E senza gli strumenti per affrontare la fine di un sogno.
Da fuori poteva sembrare una banalità. E nessuno capiva che andava ben oltre il semplice fatto di non poter più
giocare a tennis– racconta Anna Prouse-. Per me il tennis era la fuga da casa, da Milano. Mi permetteva di non rimanere bloccata tra quattro mura”.
Un vuoto emotivo e fisico che ha condizionato per molti anni la sua vita e il rapporto con gli altri. “Ricordo ancora di
aver tirato indietro la mano la prima volta che il mio ragazzo la prese nella sua. Provavo come un fastidio,
come se avesse invaso la mia sfera personale. Ho dovuto imparare a toccare, abbracciare, accarezzare le altre persone.
Motivo per cui non faccio questi gesti facilmente. Per me hanno un significato, un valore davvero importante”, prosegue. Ecco perché è stata
la prova più dura per me“, aggiunge Anna. Che dopo quell’incidente ha subito otto interventi che
l’hanno costretta in casa per tanti anni. A Milano ha frequentato la Scuola tedesca. E si è poi laureata in Scienze politiche alla Statale.
Per onestà comportamentale e intellettuale Anna Prouse non voleva travisare la
realtà. Né cavalcare l’onda, rifiutandosi di dipingere
un paese come non era. Un paese in cui la gente è colta. Le donne studiano e non hanno il
burqa che si indossa in Afghanistan. Diventata poi delegato per la Croce Rossa, si trovò a dirigere
un ospedale da campo a Baghdad, durante la Seconda Guerra del Golfo. Già da ragazza Anna Prouse faceva volontariato per la Croce Rossa a Milano. E anni dopo
nella capitale irachena ha provato la stessa gratificazione ad aiutare gli altri. Perché “aiutando gli altri curavo anche me stessa”. Sono stati tanti i motivi di soddisfazione e gioia nei suoi
anni di operato in terra irachena. In cui con le sue azioni quotidiane ha dato prova alla popolazione locale che “noi occidentali non siamo tutti invasori che vogliono il male dell’Islam. Ma che
eravamo anche lì per il bene della gente“. La vita di Anna Prouse è così densa di eventi contrastanti, percorsi imprevedibili, sconfitte dolorose,
battute d’arresto, ripartenze e vittorie sorprendenti, che fa venire in mente la fenice. Simbolo per eccellenza della vita, della morte e della risurrezione. L’appassionante racconto lascia il segno.
Un romanzo di oltre 400 pagine che si leggono col fiato sospeso e tante emozioni in circolo. E’ il ritratto, evidenzia l’
Agi, di una donna appunto in prima linea per la pace, dal
destino complesso e insolito. Metafora di vita di tante altre figure femminili che lottano quotidianamente ai
quattro angoli del pianeta.