Ora di religione: altro che catechismo, la chiave è la cultura

Carmela Romano, insegnante di religione, racconta a Interris.it come arrivare al cuore dei ragazzi.

Materiale scuola
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Come trasmettere le basi del sapere teologico ai giovani, se non attraverso l’insegnamento della religione? Un tema piuttosto dibattuto negli anni, soprattutto in tempi recenti, quando l’allargamento della società globale ha contribuito a ritoccare (e in alcuni casi a mettere in discussione) le basi spirituali anche dei Paesi storicamente cristiani. In primis, chiaramente, quelli europei. Ciò che ne è derivato, è stato un progressivo accantonamento della religione come materia base, così com’era stata concepita all’epoca della riforma Gentile, in luogo di un maggiore accrescimento delle ore dedicate alle materie obbligatorie. Del resto, la natura facoltativa della cosiddetta “ora di religione” (concepita come tale solo dopo la stipula dei Patti Lateranensi) era prevista già dalla Legge Casati del 1859, la prima a disciplinare il sistema scolastico, anche se con riferimento esclusivo al Regno di Sardegna, che rimandava all’obbligo unicamente per i primi due anni delle scuole elementari.

La disciplina dell’IrC

A oggi, per quel che riguarda l’abilitazione all’insegnamento della religione cattolica, non risulta necessaria l’eventuale appartenenza del docente a un ordine religioso, né lo status di consacrato. Di rimando, sulla base del DPR n. 751 del 16 dicembre 1985, si richiede il conseguimento di un titolo di studio rilasciato da un ente specificamente improntato sull’insegnamento della teologia. O, in caso, da un Seminario maggiore presso il quale siano stati compiuti degli studi teologici. Qualora l’insegnamento non fosse affidato a un docente appositamente formatosi nell’ambito del circolo didattico, spetterebbe a una figura ritenuta idonea ai sensi del can. 804, par. 1, del codice di diritto canonico, in quanto detenente una qualificazione riconosciuta dalla Conferenza episcopale italiana. In questo caso, sarebbe un sacerdote, un diacono o un religioso ad avere la possibilità di esercitare la professione.

Uno studio a sé

È chiaro, tuttavia, che l’IrC (l’Insegnamento della religione cattolica) non possa essere subordinato a un mero schema didattico, almeno per quel che riguarda l’ambito della formazione. Perché, se è vero che il campo dell’istruzione richiede innanzitutto la volontà di trasmettere i frutti di un apprendimento continuo a chi all’apprendimento deve essere educato, gli studi teologici richiedono uno step ulteriore. In ballo, infatti, non c’è solo lo studio in sé, né la professione della fede cattolica in senso stretto. Come spiegato da suor Roberta Vinerba, commentando il record di iscritti ai corsi dell’Istituto Superiore di Scienze religiose di Assisi (del quale è direttrice), infatti, chi sceglie questo percorso lo fa nell’ottica di “avere una chiave di lettura per rispondere al bisogno intimo di spiegare i tanti perché e le paure dell’uomo”.

Una materia in crescita

Per quel che riguarda l’Issr di Assisi, nell’anno accademico 2023-2024 il corso per il conseguimento del titolo di insegnante contava 140 iscritti nel mese di ottobre. Un risultato importante, anche alla luce dell’equipopellenza del titolo riconosciuto con una laurea ottenuta presso un’università statale. Con un dato interessante, ovvero l’appartenenza degli iscritti al range d’età compreso tra i 20 e i 30 anni. In pratica, quello coincidente con l’inizio della formazione e dell’esercizio della professione di insegnante. Con una previsione che, da qui ai prossimi anni, “andrà a esserci una richiesta sempre maggiore di insegnanti in tutta Italia”, anche per le varie vie professionali aperte dal titolo accademico. E questo nonostante il sistema scolastico preveda non solo la possibilità di accedere a corsi alternativi all’IrC ma anche viva un continuo confronto con lo sganciamento della cultura europea dalle proprie radici cristiane.

Insegnare religione

Eppure, l’ora di religione è tutt’altro rispetto a una mera lezione su rudimenti teologici. Anzi, nessuno ha detto che debba esserlo, almeno non nel senso che ci si aspetterebbe: “Per venticinque anni ho insegnato in un istituto professionale. Da 3 anni sono in un liceo classico. Si tratta di esperienze completamente diverse ma ognuna è, o è stata, fonte di arricchimento”. A raccontarlo, a Interris.it, è Carmela Romano, insegnante di religione e docente presso due istituti teologici. “Nel primo caso, i frutti sono andati oltre le aspettative. I ragazzi sono stati così motivati da essere coinvolti in un viaggio in Moldavia, nell’ambito della missione del Rinnovamento nello Spirito Santo. Un viaggio pagato dalla nostra diocesi, per il quale i ragazzi si sono attrezzati, maturando una bella esperienza di aiuto agli altri”.

Un’ora aperta a tutti

Altrettanto interessante la sfida con i giovani liceali: “L’auditorio è diverso, i ragazzi provengono da una situazione familiare differente. Sono esperienze diverse ma molto belle: nel primo caso lavori per tirare fuori gli uomini e le donne che sono in quei giovani allievi. Al liceo, i ragazzi si confrontano, sono partecipativi”. La chiave di volta, però, sta in un altro fattore: “Alle mie lezioni faccio partecipare anche ragazzi di altre confessioni, dimostrando che non si tratta di catechismo ma di un’ora culturale. E loro partecipano, manifestando i loro desideri. All’inizio svolgo un lavoro di introduzione alla disciplina. Molti studenti, infatti, sono arroccati su una posizione di pregiudizio ma, attraverso il dialogo e la conoscenza degli argomenti, imparano a superare tali barriere. Se il punto di partenza è l’osservazione della realtà, l’ora di religione diventa educativa, trasversale di tutto il sapere”. E i ragazzi diventano attori protagonisti: “Nelle quarte e le quinte, chiedo addirittura loro di preparare la lezione. Creiamo un calendario e loro, a gruppi di due o tre, diventano insegnanti dei loro compagni. Segue poi un momento di dibattito, nel quale il confronto diventa stimolo per nuove idee”.

Da insegnanti a testimoni

Una strategia che ha successo. Sia nel rendere più chiara la vera natura dell’ora di religione, sia nel rendere maggiormente partecipativi gli alunni, offrendo loro gli strumenti per il superamento di alcuni pregiudizi. “Io ho diversi alunni che sono diventati insegnanti di religione. Durante le lezioni si appassionano e capiscono che la cosa riguarda loro. Iniziano a studiare teologia per approfondire, poi diventano insegnanti. Molto dipende anche dal docente che hanno avuto a scuola. Se lui si fa amare, diventa un testimone, loro comprendono che stai proponendo delle cose alte. L’ora di religione è una grande sconosciuta ai più, ma L’esperienza cristiana passa da quella culturale. E gli allievi capiscono che la tua dimensione, come insegnante, è realmente quella della testimonianza, non quella del ‘ripetitore'”.