C’è un aggredito è un aggressore, con questa motivazione l’Occidente si è mobilitato in difesa dell’Ucraina fin dal primo giorno dell’invasione Russa. Lo stesso principio non sembra però valere per la martoriata popolazione dell’Armenia che da metà settembre subisce un durissimo attacco dalle forze armate dell’Azerbaigian. Gran parte della Comunità internazionale tace poiché in molti casi ignora completamente il dramma vissuto dal popolo armeno.
Un nuovo scontro nei pressi del confine tra i due Paesi mercoledì ha provocato tre morti tra i militari armeni, mentre sono 135 le vittime armene dell’offensiva di due settimane fa, portata dalle forze azere dentro IL territorio dell’Armenia. Una delle questioni al centro di questa guerra dimenticata è il territorio conteso del Nagorno-Karbakh, popolato da armeni, sul quale insistono le mire espansionistiche dell’Azerbaigian che può contare sul sostegno della Turchia.
Per comprendere il contesto di questo conflitto e la fragile posizione dell’Armenia bisogna fare qualche passo indietro, alfine di ricostruire la storia recente di questo paese del sud del Caucaso, con una profonda e ricchissima tradizione cristiana, flagellato da uno dei genocidi più sanguinosi di sempre e crocevia tra Occidente e Oriente. Per fare questo abbiamo intervistato Emanuele Aliprandi, membro del consiglio direttivo della comunità armena di Roma e autore di diversi libri sul conflitto nella regione del Nagorno, ultimo dei quali “Pallottole e petrolio”, pubblicato nel 2021.
L’intervista
Come nasce il conflitto in Nagorno-Karabakh e perché assistiamo a questa nuova fiammata di violenze?
“Tutto inizia con il crollo dell’Unione sovietica ma va detto prima di tutto che il Nagorno-Karabakh è una regione di 120mila abitanti, al confine tra Armenia e Azerbaigian, popolata al 95% da armeni, che ha ripetutamente chiesto di essere annessa all’Armenia. Purtroppo Stalin nel 1923 per una questione di equilibri geopolitici con la Turchia decise di dare questa regione, armena e cristiana, all’Azerbaigian che invece è turcofono e islamico”.
Ma all’epoca sia l’Armenia sia l’Azerbaigian facevano parte dell’Urss…
“Esattamente, ma con la fine dell’Unione Sovietica sono rinate le rivendicazioni di autodeterminazione. Nell’agosto 1991 la repubblica azera lascia Unione sovietica, ma una legge dell’Urss prevedeva che se all’interno di una repubblica sovietica c’era una regione a statuto speciale questa poteva fare un percorso autonomo, quindi il Nagorno Karabakh il 2 settembre del ‘91 dichiara di non seguire la repubblica dell’Azerbaigian. Il 6 gennaio del 1992 nasce la repubblica del Nagorno e poche settimane dopo Azerbaigian l’attacca e l’Armenia corre in soccorso della regione a maggioranza armena. Nonostante la sperequazione di forze gli armeni non solo difendono il Nagorno ma conquistano dei distretti esterni che permettono alla regione di avere una continuità territoriale con l’Armenia e di avere delle zone cuscinetto di protezione. Questo status quo dura trent’anni con una pace mediata dalla Russia”.
Poi cosa succede?
“Succede che nel settembre del 2020 l’Azerbaigian attacca in forze il Nagorno Karabakh, provocando centinaia di morti. Questa volta le forze di Baku (capitale dell’Azerbaigian ndr) hanno dalla loro i droni di costruzione turca e infatti guadagnano molte posizioni, conquistano circa un quinto del Nagorno-Karabakh mentre avvengono episodi di vandalismo contro le chiese e i simboli della religione cristiana, la cattedrale del Santissimo Salvatore viene bombardata due volte. I territori conquistati rimangono in mano agli azeri e le forze armene si ritirano”.
Poche settimane fa un nuovo attacco, perché?
“Probabilmente l’Azerbaigian approfitta della debolezza della Russia che è garante della pace tra Yerevan e Baku. Gli azeri vogliono la continuità territoriale con la Turchia per creare un unico grande spazio per tutte le popolazioni turcofone, gli armeni sono sempre stati un problema perché con la loro presenza sono un ostacolo a questo processo. Stavolta infatti hanno attaccato direttamente il territorio della Repubblica Armena”.
Quindi c’è stata un ulteriore escalation dell’offensiva azera?
“Ormai il Karabakh non c’entra più nulla, vogliono un pezzo di Armenia, ne hanno occupato un piccolo pezzo di cinquanta chilometri quadrati con la scusa che i confini non sono tracciati. E’ un fatto gravissimo, il governo di Baku si è sentito in diritto di occupare parte dell’Armenia nel silenzio generale, 36 insediamenti di civili, di un Paese che fa parte del Consiglio d’Europa, sono stati brutalmente bombardati. Ripeto stanno approfittando della guerra in Ucraina per violare la pax caucasica mediata da Mosca”.
Davvero nessuno ascolta il grido di sofferenza dell’Armenia?
“Nessuno vuole uno scontro diplomatico con l’Azerbaigian perché fornisce gas all’Europa in un momento un cui l’importazione dalla Russia è stata interrotta. Si parla tanto di democrazia e diritti umani ma si fa finta di non vedere che l’Azerbaigian è un’autocrazia controllata da trent’anni dalla stessa famiglia. Eppure l’Armenia ha un grande legame culturale e religioso con l’Europa, non dimentichiamo cosa rappresenta per la cristianità e che nei territori occupati dagli azeri è in corso una sistematica distruzione di Chiese e Castelli. Le croci sono rimosse ovunque per rivendicare una radice azera che non esiste”.
Solo un secolo fa è avvenuto l’olocausto armeno da parte dei turchi, le ferite di questa drammatica pagina storica sono ancora evidenti….
“L’odio nei nostri confronti ha radici profonde, l’Armenia è crocevia tra nord e sud, est ed ovest e poi indicare un nemico è il modo migliore per rilanciare un nazionalismo esasperato”.
Quindi gli armeni cosa chiedono concretamente?
“La comunità armena chiede solidarietà, pari trattamento, se nel caso dell’Ucraina si è mostrata grande vicinanza politica all’aggredito la stessa cosa va fatta nel Caucaso meridionale. Anche nel caso dell’Armenia ci sono un aggredito e un aggressore. Il minimo che si può chiedere è solidarietà, mettere la bandiera armena sui profili social, far sentire la voce dell’Europa. E’ vero che dall’Azerbaigian importiamo gas ma non possiamo svendere tutti i nostri valori. Invece abbiamo assistito alla Von Der Leyen che ha detto che l’Azerbaigian è un partner affidabile. Lo stillicidio del nostro popolo va fermato con una presa di posizione netta e smettendo di vendere armi a Baku. In Nagorno-Karabakh sono preoccupati che prevalga il pensiero dell’agnello sacrificale ma è impensabile che 120mila armeni possano vivere sotto il controllo azero”.
La chiesa armena in questo contesto ruolo ha?
“La Chiesa armena è stata fondamentale per la nostra sopravvivenza. In Caucaso c’erano tanti popoli è molti di questi non esistono più, invece gli armeni nonostante le numerose dominazioni straniere e i genocidi sono sempre riusciti a mantenere una loro identità, grazie a due fattori identificativi, l’alfabeto armeno e la religione cristiana”.