Ad aprire la questione dei nuovi lavori è stato al Meeting di Rimini il ministro della Transizione ecologica. Sostiene Roberto Cingolani. “La gran parte dei lavori che ci saranno tra 40 anni noi oggi nemmeno li conosciamo. Spariranno quelli di routine. Emergeranno nuove esigenze, tipo memory manager. Probabilmente gli artigiani rimarranno. Perché un conto è andare su Marte con un robot. Con l’intelligenza artificiale. Un conto è aggiustare un bagno. Meglio un idraulico. La spesa deve valere l’impresa. Spariranno molti dei lavori di routine. Sia cognitiva che fisica. Decine di milioni di posti in Europa. Nasceranno delle nuove esigenze. Pensiamo al memory manager. O all’ingegnere dei nuovi materiali“.
I lavori del futuro
Come cambierà il mondo del lavoro? Interris.it ha approfondito il tema intervistando il manager Andrea Famiglietti. Esperto di relazioni industriali e responsabile delle risorse umane in multinazionali fondamentali nel progresso tecnologico. Autore di importanti saggi sulla vita in fabbrica come “Correndo con il diavolo. Anime in saldo al mercato del lavoro” (Aldenia). Afferma Famiglietti: “Difficile fare pronostici attendibili sui nuovi lavori. Ma di sicuro i tempi odierni impongono soluzioni efficaci ad esigenze nuove. Sia per il livello tecnologico raggiunto. Sia per gli scenari macroeconomici mutati sensibilmente rispetto a 20 o 30 anni fa.In che modo la tecnologia rivoluzionerà la gestione delle risorse umane?
“Renderà obsolete alcune professionalità. Da quelle centrate sulla trasformazione dei prodotti. A quelle legate ai servizi. Ma non mi fascerei la testa prima di rompermela. Se ben gestiti, questi cambiamenti potranno essere assecondati da nuovi schemi formativi per le generazioni future. Così che non arrivino sprovviste di strumenti per approcciare un mondo del lavoro diverso. Dovremo abituarci a concepire il lavoro non più come una parte routinaria. E rigidamente staccata dal resto della quotidianità. Ma come un’attività complementare alle altre. Nella quale lo sforzo creativo sarà finalizzato a diversificare tempi, strumenti e luoghi di lavoro. Senza perdere in efficacia ed efficienza”.Che ruolo ha la pandemia in questa mutazione del mercato del marcato del lavoro?
“Anticipa domande e dubbi che c’erano già prima della sua esplosione. In questo senso trovo che qualche conseguenza positiva l’abbia portata con sé”.
La rivoluzione digitale produrrà un mondo del lavoro più meritocratico?
“No. Cambierà solo gli strumenti e le modalità del lavoro. La meritocrazia va oltre questi aspetti pragmatici. Va creata e tutelata da leggi e buone abitudini. E’ da sempre un argomento poco controllabile. Anche se tutti i governi si sono sempre spremuti in battaglie a suo nome. Spesso è legata al caso più di quello che si vuole ammettere”.Può farci un esempio?
“Il libero mercato del lavoro, a seconda dei periodi storici e dei contesti nazionali, paga e riconosce alcune abilità più di altre. Ma chi può dire che un professore delle scuole superiori, che pure è investito di una delicatissima responsabilità, sia meno meritevole di un gestore di hedge fund? Per il semplice fatto di essere retribuito molto meno? E poi, per quanto possano essere efficaci gli strumenti di welfare pubblico per un accesso egualitario alle migliori risorse formative”.
A cosa si riferisce?
Chi nasce in famiglie abbienti avrà sin da subito occasioni e stimoli migliori e più costanti degli altri. Soprattutto durante le ore di tempo libero. Dunque non sarà la transizione digitale a decretare la vittoria della meritocrazia. Non illudiamoci”.