Non lasciamo soli coloro che combattono contro i nuovi orchi

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C’è un prete nel nostro Paese che inquieta le nostre coscienze, non ci fa dormire sonni sereni, ci richiama continuamente alle nostre nobilissime responsabilità. Ci ricorda le terribili parole di Gesù: “Chi scandalizza anche uno solo di questi piccoli che credono in me, sarebbe meglio per lui che gli fosse appesa al collo una macina girata da asino, e fosse gettato negli abissi del mare”. Questo prete della Sicilia orientale, non aveva fatto studi particolari, non aveva titoli o preparazione specifici per addentrarsi nel cuore dell’inferno, inspirare a pieni polmoni il fetore nauseabondo che emana, bruciarsi le mani, il volto, l’anima, pur di tentare di tirare fuori la scandalosa, disumana vergogna che ivi si consuma.

Questo prete, semplice, innamorato di Gesù, imponente come una quercia, buono come il pane di campagna, si chiama Fortunato Di Noto. A questo prete, la Chiesa, l’Italia, la società civile, il mondo intero, deve non solo essere riconoscente, ma stargli accanto, ascoltarlo, dargli sostegno e supporto concreti, mezzi per fare di più e meglio. Deve fare di tutto perché la sua voce non resti isolata. Al prete di cui parlo sta scoppiando il cuore e non solo in modo metaforico. Non potrebbe essere altrimenti. Dopo essersi calato, ogni giorno, diverse volte al giorno, negli abissi gelidi e senza luce, dopo aver fissato negli occhi milioni di adolescenti, bambini, neonati che lo implorano di liberarli dalle grinfie dei loro carnefici, di riportarli in superficie, di ridonare loro la gioia di vivere una vita normale, questo prete non può più vivere come se niente fosse.

Certe esperienze, come l’aratro, ti solcano l’anima. Nulla è più come prima. E grida, il prete; da anni, continua a gridare, anche quando tanta gente vorrebbe che tacesse. Continua a gridare nella speranza che non solo i soliti amici, i soliti giornali – tra cui il nostro Avvenire – , amplifichino e rilanciano il suo grido, ma tutti, proprio tutti coloro che conservano un pizzico di dignità. L’inferno che don Fortunato ha sentito nel cuore di dover portare alla luce perché possa essere spento, è quello della pedofilia e della pedopornografia. Un mondo nel mondo. Un mondo che dobbiamo conoscere, abbiamo il dovere di conoscere. Dobbiamo imparare a conoscere. Ne va della nostra onestà intellettuale, morale, umana, cristiana.

So bene che per poter interessare, una notizia deve essere in grado di commuovere; e commuove e coinvolge la notizia che ti racconta una storia, ti mostra un volto. Nella mia parrocchia, qualche anno fa, Fortuna, una bambina di sei anni, fu scaraventata dall’ottavo piano di un palazzo. In ospedale arrivò che era già morta, ma fin da subito i medici si accorsero che la bambina era stata stuprata, e non una volta sola. Una tragedia immensa di cui parlarono giornali e televisioni per settimane. Scesero in campo intellettuali e opinionisti. La gente inorridì. Il colpevole fu processato e condannato all’ergastolo. L’angelico visino di Fortuna entrò in tutte le case. Si cercò di capire. Qualcuno, facendo finta di cadere dalle nuvole, tentò di insinuare l’idea che quell’atto di pedofilia fosse da collegare alla povertà del quartiere nel quale la piccola viveva. Le cose, naturalmente, non stanno così.

Don Fortunato, insieme all’associazione da lui fondata, “Meter”, mercoledì 3 giugno, ha presentato il “report 2019”. I numeri che ha reso noti fanno spavento. Nel 2019, nel mondo, sono stati segnalati più di sette milioni di foto e quasi un milione di video pedopornografici. Foto e video che i pedofili comprano e vendono a caro prezzo. Uno scempio dalle dimensioni immani. Superfluo ricordare che dietro ogni foto, ogni video, ogni stupro on line, c’è una bambina, un bambino in carne e ossa. Un esserino umano di pochi anni, di pochi mesi, e, sovente, di soli pochi giorni. È una guerra. Una vera guerra. Una guerra impari, vigliacca, combattuta contro i prediletti di Gesù, i piccoli. Una guerra dove chi soffre e muore, non può difendersi, riesce appena a emettere flebili lamenti mentre il suo aguzzino “gode”. Tutto questo è insopportabile. Le forze politiche dei Paesi interessati non possono ignorare una simile sciagura. Facciamo qualcosa. Iniziamo noi. L’Italia si faccia avanti, si prenda il privilegio di essere capofila in questa battaglia, che tra tutte, è una delle più nobili che possa essere combattuta sulla terra.

Padre Maurizio Patriciello: