Nessuno tocchi Ippocrate: “Sempre più medici aggrediti, siamo in allarme”

Nessuno tocchi Ippocrate

A destra, il presidente di "Nessuno tocchi Ippocrate", dott. Manuel Ruggiero

Denunciare episodi di violenza non è un atto fine a sé stesso. È il punto di partenza per l’individuazione, la comprensione e la conseguente azione di contrasto a fenomeni fin troppo spesso invisibili alle cronache quotidiane. Perché le mura dei pronto soccorso celano, all’interno, realtà ben diverse da quelle percepibili a un’occhiata esterna. Uno spaccato sociale nel quale emergono tutte le contraddizioni di un sistema che, nei casi più estremi, finisce per dimenticare la necessaria opera di tutela nei confronti di coloro che forniscono, in prima linea, assistenza continuativa al paziente.

Le aggressioni subite dai medici non sono un fenomeno recente, né il risultato di escandescenze episodiche. Piuttosto, il frutto di una convergenza di fattori in cui i sanitari scontano lo scotto di un’emergenza continua, legata sia all’incremento degli accessi impropri nei pronto soccorso, sia ai deficit di un sistema sanitario che rende i poli di primo intervento degli avamposti di frontiera, specie nelle regioni meridionali.

L’associazione “Nessuno tocchi Ippocrate” ha tracciato, per prima, i lineamenti dell’emergenza. Raccogliendo voci ed episodi, raccontando fatti e fornendo numeri sull’area di Napoli e provincia: “Solo in questo territorio siamo a 79 aggressioni in 11 mesi – ha spiegato a Interris.it il dottor Manuel Ruggiero, presidente dell’associazione e medico del 118 -. Servirebbero dati reali in tutti i territori”. E non solo.

 

Dottor Ruggiero, “Nessuno tocchi Ippocrate” ha toccato, negli ultimi anni, un tema cruciale nel quadro della sanità italiana. Tuttavia, il fenomeno delle aggressioni al personale sembra aver subito in aumento nel post-pandemia. Qual è la situazione?
“I pronto soccorso sono presi d’assalto e non solo dall’utenza che ne ha reale bisogno ma anche da quella che, in un certo senso, ‘bluffa’. Ossia, che per ottenere accertamenti diagnostici che con iter normale ci vorrebbero 6-7 mesi, simulano malattie che non esistono per cercare di ottenerli più velocemente. Il problema del sovraffollamento è in buona parte dovuto proprio agli accessi impropri. L’utente non fa più il passaggio con il medico di base ma si rivolge direttamente al pronto soccorso, non avendo risposta celere dalla medicina generale”.

Il sovraffollamento è quindi la problematica perlopiù scatenante?
“Le aggressioni sono aumentate perché, spesso e volentieri tali persone, pretendono visite immediate. All’ingresso c’è un infermiere che fa un triage, che valuta il paziente dal punto di vista sintomatologico e dei parametri. Se quelli vitali sono buoni, viene assegnato un codice verde, con un’attesa potenzialmente anche da 3-4 ore. L’attesa, nelle persone civili, si manifesta con il dissenso. Nei più facinorosi con vere e proprie aggressioni, sia fisiche che verbali. Purtroppo, figlie di un overcrowding della medicina territoriale”.

I numeri attuali?
“Attualmente contiamo 79 aggressioni tra Napoli e provincia. Ne contiamo anche in tutta Italia ma il contatto diretto con noi ce l’ha solo il personale sanitario di questo territorio. Siamo poco conosciuti e poco segnalati. Per questo non possiamo fare il rendiconto dell’intero Paese. Io, come presidente e sanitario del 118, così come la nostra vicepresidente, infermiera, facciamo la nostra attività e il tempo che possiamo dedicare all’associazione richiede 2-3 ore di impegno”.

Quali figure del personale sanitario sono più soggette alle aggressioni?
“In primis, il 118. Si tratta del front-office della medicina. Ovvero, i sanitari si presentano a casa delle persone e, in certi casi, dell’aggressore. È capitato che equipaggi del 118 siano stati addirittura “sequestrati” all’interno degli appartamenti. Segue poi il personale sanitario nei pronto soccorso che, però, è più tutelato vista la presenza almeno della vigilanza privata. Poi c’è la medicina territoriale, l’ex guardia medica, la continuità assistenziale. E, in particolar modo, le dottoresse. C’è infatti un lato più tragico delle aggressioni”.

Riguarda la sicurezza del personale di turno anche al di fuori della struttura?
“La guardia medica lavora prevalentemente di notte e, spesso, queste dottoresse vengono chiamate per visite domiciliari, alle quali si recano da sole. E una donna che gira sola, di notte, per le strade di una grande città corre chiaramente rischi maggiori. Il lavoro nei reparti è generalmente più protetto, in quanto si è già passata la ‘trincea’ del pronto soccorso. Stesso discorso per i medici di medicina”.

La vostra può essere definita anche un’operazione di tutela oltre che di denuncia?
“Fino a poco tempo fa, le aggressioni esistevano ma se ne parlava tra di noi. ‘Nessuno tocchi Ippocrate’ ha innanzitutto spinto i colleghi a denunciarle. Inoltre l’associazione ha avuto l’attenzione del Parlamento. Siamo stati invitati alla Camera dei Deputati a discutere del riconoscimento della qualifica di pubblico ufficiale. In sostanza, l’associazione ha tutelato e tutela il personale sanitario, poiché tramite le sue battaglie riesce ad arrivare alle orecchie di chi, normalmente, non vuol sentire”.

In questo senso, per una volta, i social rappresentano un grande aiuto, anche per conoscere la portata reale del fenomeno…
“I social sono spesso teatro di trash e volgarità ma, come strumento, penso sia stato concepito come mass media che porta sui telefoni e sui pc informazioni importanti e giuste cause per cui combattere. ‘Nessuno tocchi Ippocrate’ ha portato a galla un problema nascosto ma che c’è sempre stato. Già spingere un collega a denunciare o a segnalare all’associazione è importante. Il Ministero della Salute ha istituito un osservatorio sulle aggressioni. Ma, purtroppo, se il Ministero dà la maglia nera alla Sicilia con 40 aggressioni l’anno, significa che non ha il polso reale della situazione. Solo la nostra provincia, in 11 mesi, ne ha contate 79. Ci vorrebbe un ‘Nessuno tocchi Ippocrate’ in tutte le Regioni per avere dei dati reali. Non tutti i colleghi aggrediti, infatti, compilano la scheda Istat sulla quale si basano le statistiche. Il fenomeno è molto più marcato”.

I presupposti per le aggressioni si riscontrano esclusivamente tra chi sconta lunghe attese o esistono altre concause?
“Noi abbiamo anche aggressioni da pazienti psichiatrici, che segnaliamo perché dobbiamo. È però normale che l’aggressione da questo tipo di pazienti sia non giustificata ma ‘contemplata’, proprio perché spesso senza presa coscienza da parte del soggetto che la compie. Nella maggior parte dei casi, però, sono persone esasperate da attese. È significativo, però, che in molti casi si venga aggrediti dai pazienti. Chi ha la forza di aggredire è una persona che sta male e meritevole di cure?”.

Negli ultimi anni, per i medici come per altre figure professionali, è emersa una problematica direttamente collegata all’equiparazione tra lavoro e retribuzione. Anche questo può essere un fattore di peso…
“La tendenza è a ridurre gli stipendi, anziché aumentarli. Io ritengo che, per fine anno, la carenza dei medici si triplicherà, poiché molti passeranno nel privato, altri nella medicina generale… E altri ancora saranno attratti anche da questa propaganda sulle prospettive di lavoro per i medici all’estero”.

La maggior rilevanza del fenomeno nelle Regioni del Sud è indice di problematiche su larga scala a livello sociale o, perlopiù, di un mancato sostegno ad hoc della sanità?
“È sicuramente un problema più sentito al Sud. Sappiamo che esiste la sanità regionale e che i presidenti di Regione lamentano un mancato stanziamento di fondi adeguati per la sanità. Di conseguenza, con meno soldi alla sanità aumentano i problemi, si allungano le liste di attesa, non vengono più riaperti gli ospedali chiusi in fase pandemica. Ricordo il San Giovanni Bosco e il Loreto Mare. Purtroppo viviamo la realtà del sovraffollamento più di qualsiasi altra Regione italiana, anche per una densità abitativa per chilometro quadrato tra le più alte. Basti pensare che, per tutta Napoli, ci sono quattro medici del 118 per turno. Siamo in pieno allarme”.

Damiano Mattana: