“Le esperienze di solidarietà che si sono sviluppate in questo periodo sono il frutto di un impegno comunitario”, afferma a Interris.it don Walter Insero, responsabile dell’Ufficio comunicazioni sociali e portavoce del Vicariato di Roma. Don Insero è Rettore della Basilica Santa Maria in Montesanto a Piazza del Popolo, la Chiesa degli artisti. Afferma: “Come ci ricorda il Papa, in questa tempesta improvvisa ci troviamo sulla stessa barca. Nelle stesse condizioni di vulnerabilità e precarietà. Chiamati a remare tutti insieme. E nella stessa direzione. Abbiamo constatato come un principio fondamentale della vita cristiana, deve essere riscoperto anche nella vita sociale. Nessuno si salva da solo”.
Chiesa missionaria e Vicariato
Dopo aver terminato la Maîtrise in Teologia alla Facoltà di Teologia cattolica dell’Università Scienze Umane (Marc Bloch) di Strasburgo, don Insero ha conseguito nel la licenza in Teologia Dogmatica all’Università Gregoriana. La tesi di dottorato è stata sulla “Chiesa missionaria per sua natura”. Da cinque anni alla Gregoriana dirige due seminari tematici. E ha coordinato la comunicazione, per conto della diocesi di Roma, della canonizzazione dei due Papi Giovanni XXIII e Giovanni Paolo II.
La tempesta della pandemia suscita più solidarietà o chiusura in se stessi?
“Esiste certamente la tentazione di chiudersi in se stessi per paura. Lasciando spazio alla diffidenza e all’indifferenza nei confronti degli altri. Ma l’esperienza di questi mesi di emergenza testimonia il moltiplicarsi di nuove forme di solidarietà. In questa crisi pandemica, preferirei che si parlasse di un necessario distanziamento fisico. Piuttosto che di un distanziamento sociale. Siamo tenuti, infatti, a rispettare una distanza solo fisica e non sociale”.In tempo di pandemia, come cambia il valore sociale della solidarietà?
“Durante i mesi più difficili della quarantena, si sono moltiplicate tante iniziative di solidarietà. Non mi riferisco solo a quelle promosse da parrocchie. Da comunità. Da associazioni impegnate al servizio del prossimo. Tante proposte e azioni concrete sono state ideate e realizzate spontaneamente da singoli o famiglie. Nei propri quartieri. Nei comprensori. Nei condomini. Rispondendo alle esigenze reali. Con una creatività straordinaria. Suscitata da un forte altruismo”.
Può farci un esempio?
“L’ho potuto constatare nella città di Roma. Ma è avvenuto in tanti altri luoghi. Abbiamo assistito a un diffondersi di progetti. E di attività al servizio delle persone più povere e sole, provate non solo dalla malattia. Ma dalla difficile situazione generata dalla pandemia. È davvero edificante assistere a questa testimonianza di fratellanza e di condivisione. In un momento di bisogno che ha avvicinato e accomunato tutti”.
Il Vangelo parla dei lebbrosi. C’è il rischio che la pandemia accresca l’esclusione sociale?
“Questo rischio purtroppo esiste. E si associa, a mio avviso, maggiormente alla precarietà economica che molte famiglie stanno vivendo. Una situazione che viene peggiorata dalla crisi pandemica. L’aumento della povertà e della solitudine, infatti, può accrescere notevolmente l’esclusione sociale. Con serie conseguenze per la vita della nostra società. Penso a numerose categorie di lavoratori. Hanno dovuto ridurre o persino sospendere le loro attività. Ciò per garantire una riduzione delle possibilità di contagio. Ma con il rischio del fallimento. E di una futura perdita del posto di lavoro”.Chi soffre maggiormente per l’emergenza Covid?
“Credo che le persone più provate siano quelle che hanno vissuto la sofferenza del lutto. Oltre agli ammalati toccati in prima persona. Alle famiglie dei contagiati che sono costretti all’isolamento e al distanziamento. Tanti sperimentano un dolore dilaniante per un distacco ancor più difficile da accettare. Vista l’impossibilità di assistere e di accompagnare i propri cari negli ultimi momenti dell’esistenza. Inoltre, soffrono molto anche le persone in difficoltà. Quelle emarginate. Quelle che sentono il peso della solitudine. E versano in condizioni economiche precarie. Infine, i bambini e gli anziani. Mi sembrano le categorie che maggiormente risentono della paura. E della pesantezza delle restrizioni da rispettare”.Qual è il valore sociale dell’informazione in un mondo sempre più globalizzato e interconnesso?
“Grande è il valore e il ruolo sociale, ma anche la responsabilità dell’informazione in questa pandemia mondiale. Una funzione fondamentale che permette di informare i cittadini. Di far conoscere i pericoli della diffusione del Covid-19. E di sensibilizzare sull’adozione di misure utili per la prevenzione. Un’emergenza in cui l’informazione riveste un ruolo insostituibile. A servizio del bene comune E per garantire il diritto alla tutela della salute di tutti”.
Un’emergenza collettiva come la pandemia rende o meno più pervasiva l’informazione?
“Oltre a riconoscere l’utilità e la centralità dell’informazione, vorrei evidenziare anche alcune criticità emerse in questa crisi. Una comunicazione quasi esclusivamente concentrata sulla pandemia. Con rappresentanti di diverse categorie coinvolte nell’emergenza che sembrano occupare la scena mediatica. Non senza l’intento di veder crescere il proprio consenso e guadagnare visibilità”.A cosa si riferisce?
“A una comunicazione in alcuni momenti martellante. Che per molti è stata la causa di paura. E di ansia generalizzata. In questo difficile contesto, anche l’informazione non è stata esente da una eccessiva insistenza. E da una semplificazione tesa a ridurre tutto a numeri. Con una fredda lettura di un bollettino giornaliero di deceduti. Senza ben specificare il rapporto con il numero di tamponi effettuati. E le concause dei decessi”.Con quali effetti?
“Ciò potrebbe aver contribuito alla diffusione di un esagerato allarmismo. E della percezione di una enfatizzazione mediatica della realtà. E ciò anziché favorire una serena consapevolezza dei pericoli da affrontare con un impegno condiviso”.