Un secolo di orrore. Così cento anni fa il nazismo avvelenò la storia

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Il nazismo come veleno della storia. “Nel 1939 in Europa vivevano circa dieci milioni di ebrei. Il Paese in cui, in percentuale, ce n’era il numero maggiore era la Polonia con circa tre milioni- afferma l’arcivescovo Stanisław Gądecki, presidente della Conferenza episcopale polacca-. Quando la Germania nazista invase la Polonia nel 1939 e ne occupò le terre fino alla fine della guerra nel 1945, fu proprio sul suolo polacco che decise di istituire campi di concentramento e di sterminio. Questi campi divennero luogo di esecuzione e di omicidio di massa di persone di origine ebraica, provenienti dalla Polonia e da molti altri Paesi europei, oltre che di rappresentanti di altre nazioni. L’obiettivo del nazismo tedesco era la completa eliminazione del popolo ebraico. Altri popoli indesiderati, destinati all’annientamento, erano i sinti, i rom e i polacchi”. Sono passate quasi quattro generazioni dalla Shoah e dalla Seconda guerra mondiale. Bisogna quindi parlare ai giovani della Shoah affinché il tempo non cancelli i segni di questa tragedia. In questo contesto sono molto importanti le parole di Papa Francesco: “Il ricordo di quello sterminio di milioni di persone ebree e di altre fedi non può essere né dimenticato né negato». Lo sterminio pianificato degli ebrei, da parte dei tedeschi nazisti durante la Seconda guerra mondiale, è un “crimine contro l’unico e vero Dio e contro il suo popolo”. 

Orrore del nazismo

Nel 2006 Papa Benedetto XVI ad Auschwitz ha smascherato il piano criminale. Le autorità del Terzo Reich, da criminali spietati, intendevano annientare il popolo ebraico perché  volevano uccidere il Dio che aveva chiamato Abramo. “Con la distruzione di Israele, con la Shoah, volevano, in fin dei conti, strappare anche la radice, su cui si basa la fede cristiana, sostituendola definitivamente con la fede fatta da sé, la fede nel dominio dell’uomo, del forte“, aveva affermato Joseph Ratzinger. Papa Francesco, visitando il campo di concentramento di Auschwitz-Birkenau nel 2016 ha pregato in silenzio. Il suo commovente silenzio è stato un appello alla pace, altrettanto necessaria ai giorni nostri. Nel 2016 un numero record di giovani ha visitato il Museo di Auschwitz. Grazie ai gruppi che hanno partecipato alla Giornata mondiale della gioventù a Cracovia. “È un esempio per il futuro che indica che i giovani che partecipano agli eventi organizzati dalla Chiesa possono visitare anche i luoghi del martirio del popolo ebraico“, osserva il presidente dei vescovi polacchi.

Lezione della storia

“Cento anni fa, iniziava il putsch di Hitler a Monaco. La lezione che ne traiamo. Dobbiamo proteggere e difendere la nostra democrazia – contro tutti coloro che vogliono minarla. Questo vale per ognuno di noi, soprattutto in questi giorni”, ha scritto il cancelliere tedesco Olaf Scholz. Il riferimento è al fallito colpo di Stato tentato dal futuro dittatore nazista e detto anche “Putsch della birreria”. Adolf Hitler, all’epoca già capo del partito nazista, provò il colpo di mano a Monaco di Baviera l’8 e 9 novembre 1923, durante la Repubblica di Weimar. Circa duemila nazisti marciarono sulla Feldherrnhalle, nel centro della città. Ma vennero dispersi dalla polizia con un bilancio di 16 nazisti e quattro agenti uccisi. Arrestato dopo due giorni per tradimento, Hitler sfruttò il processo per attirare l’attenzione dei media di allora su di sé e il suo partito che poi prese il potere un decennio dopo, nel 1933. Pur condannato a cinque anni di reclusione, scontò solo nove mesi durante i quali dettò a due compagni di prigionia il suo libro-manifesto, il “Mein Kampf“. Il putsch, ispirato dalla Marca su Roma di Benito Mussolini dell’anno prima, è detto anche “della birreria“. Perché iniziò quella sera in una delle più grandi che esistevano a Monaco, la Buergerbraeukeller.

Il veleno del nazismo

La piccola fabbrica di scarpe già avviata, una moglie e due figlie da crescere. La vita tranquilla della famiglia cambia per sempre da una lettura distratta di una prima pagina di giornale: “Hitler è in Austria”. E’ l’11 marzo 1938, l’invasione annunciata si sarebbe concretizzata già l’indomani. Ed è dall’Anschluss all’ignoto che Adriano Sconocchia, nipote di Michael e Salcha Finkelstein, racconta in un libro auto pubblicato la storia di una normale famiglia borghese vittima del nazismo. Mai tanto attuale, con il conflitto israelo-palestinese in corso e l’antisemitismo riacceso tra bandiere strappate e pietre d’inciampo bruciate. “Protagonista del romanzo è la famiglia di mia madre – spiega Sconocchia – ebrei viennesi che, come milioni di altri ebrei, hanno subito la feroce persecuzione nazista“. Una storia uguale a quella di altri milioni di ebrei costretti agli albori della seconda guerra mondiale a una nuova diaspora.

Lager

Dall’annuncio della forzata annessione della capitale austriaca agli incontri disperati in sinagoga con il rabbino. Per immaginare possibili e rapide vie di fuga. Quella di una famiglia comune diventa l’urgenza generale di salvare il salvabile. Di studiare soluzioni immediate. Di stravolgere la propria vita. Pronti a rinunciare a tutto e tutti. Ed è una decisione comune anche quella presa dai Finkelstein di mandare a Londra la secondogenita appena 12enne. Al sicuro con altri ragazzini. Mentre resta da scegliere un nuovo posto dove stare, l’Australia tanto lontana dove vive un cugino o l’Italia. Dove poi, ingenuamente convinti della bontà che gli sarebbe stata riservata da un Mussolini ancora lontano dalle leggi razziali, si sarebbero rifugiati. “Mio nonno ha conosciuto i campi di concentramento di Dachau e Buchenwald, da cui è miracolosamente scampato” racconta Sconocchia. E conoscerà pure i campi di internamento dove gli ebrei profughi dalla Germania venivano rinchiusi nella non più conciliante Italia. Michael Finkelstein finisce inizialmente a Tortoreto Stazione, nella villa Tonelli. Infine ad Atri, in Abruzzo, l’ultima tappa prima della liberazione ad opera degli alleati. Questa che l’autore del libro “memoriale” svela non senza fatica, tra documenti di famiglia e i pochi racconti ascoltati, è una storia a lieto fine. Che riaccende la speranza di una rappacificazione in terra di conflitto. E di una possibile serena convivenza tra due popoli condannati, loro malgrado, a sanguinolente tensioni.

Decisione finale

“Finalmente i miei nonni si ricongiungeranno anche con la figlia Irene, rientrata dall’ Inghilterra. Una volta lì, dovranno decidere se emigrare negli Usa, in Estremo Oriente oppure in Palestina, nel nascente stato di Israele, o se, invece, rimanere in Italia – racconta Sconocchia – quest’ultima sarà la decisione finale. Rinunceranno a chiedere i risarcimenti per i danni subiti dagli ebrei, come stabilito negli accordi post-bellici. Persero la piccola fabbrica di scarpe e la casa di Vienna. Ma non vollero più avere niente a che fare con il loro passato, che, in ogni caso, non gli avrebbe mai più i parenti sterminati nei lager nazisti”. E poi l’ultimo, raggelante, aneddoto: “Ricordo che mia madre rispondeva solo in italiano a mia nonna, quando lei le si rivolgeva in tedesco”.
Giacomo Galeazzi: