La Repubblica della Namibia e uno stato dell’Africa meridionale, la cui capitale è Windhoek ed ha acquisito la sua indipendenza dal Sud Africa nel marzo del 1990. Ha una popolazione di 2 milioni e 703 mila abitanti con una densità abitativa di 3,3 abitanti per chilometro quadrato che risulta essere una delle più basse tra le nazioni sovrane al mondo – precisamente in seconda posizione dopo la Mongolia -.
La storia recente della Namibia
Vista la sua recente indipendenza questa nazione risulta essere una delle più giovani al mondo e la sua storia contemporanea è costellata da diverse amministrazioni, in particolare si ricordano: dal 1884 al 1919 il suo essere colonia dell’Impero Tedesco con l’appellativo di Deutsch – Sudwestafrica, in seguito – fino al 1961 – ha fatto parte dell’impero britannico per mezzo dell’Unione Sudafricana ed infine, fino al 1990, e stata una provincia della Repubblica Sudafricana.
L’economia e la distribuzione ineguale della ricchezza
L’economia di questo paese dipende in maniera determinante dall’industria mineraria che, per quanto riguarda l’estrazione di uranio, di diamanti ed in misura minore di zinco, rame ed oro, rappresenta oltre l’11% del Pil ed impiega oltre 2% della popolazione come manodopera nel sopracitato settore. Nel dettaglio ci sono delle problematiche che affliggono il paese sia durante il periodo coloniale che dopo l’indipendenza: il pil pro capite si aggira attorno agli 11.800 dollari l’anno e dietro di sé nasconde una delle distribuzioni del reddito più disuguali al mondo, soprattutto tra le diverse etnie che, è utile ricordare, sono almeno 11, di cui lo 82% appartenente al gruppo dei Bantu – in cui predominano gli Ovambo -ed oltre a ciò nel paese chi è la percentuale più elevata di popolazione di etnia bianca che si aggira attorno all’8%.
La fruizione delle terre fertili
Rispetto alle diverse etnie presenti nel paese c’è la questione legata alla distribuzione delle terre fertili che, soprattutto durante il periodo coloniale, sono state affidate esclusivamente ai coloni europei e sudafricani a scapito della popolazione indigena che è stata relegata nelle riserve dopo che alla stessa è stato inibito l’accesso alle sopracitate terre utilizzate per secoli. Questo processo ha subito un incremento negli anni ‘60 quando, una volta adottato il sistema tipo dell’apartheid, sono state individuate grandi aree prive di terre fertili ove la popolazione indigena è stata costretta a risiedere.
In seguito all’indipendenza, con l’adozione di un modello centralizzato, è stato limitato solo in parte questo sistema di distribuzione delle terre ma attualmente permangono ancora delle questioni aperte legate al controllo delle terre frutto del retaggio del passato coloniale. In particolare, l’etnia San, essendo priva di una base territoriale propria, è costretta a chiedere l’autorizzazione ai capi degli altri gruppi etnici per poter usufruire delle terre coltivabili. A causa di questo, gli indicatori di sviluppo di questa etnia sono molto inferiori a quelli della media nazionale, con un conseguente tasso di mortalità più elevato. È utile sottolineare che, allo stato attuale, quasi il 50% della superficie coltivabile del paese e detenuta da 5 mila proprietari agricoli bianchi mentre, oltre il 70% della popolazione di origine africana dipende da terre definite comunitarie.
Accesso equo ai terreni coltivabili
Infine, alla luce di quanto precedentemente detto e nell’ottica di una distribuzione maggiormente equa delle terre, è fondamentale che tutte le istituzioni preposte attuino provvedimenti celeri con l’obiettivo di garantire l’accesso ai territori fertili a tutte le etnie presenti in Namibia, in ossequio al lungimirante pensiero di Papa Francesco che dice: “La natura ci sfida ad essere solidali attenti alla custodia del creato, anche per prevenire, per quanto possibile, le conseguenze più gravi”.