Senza pace: né in Myanmar né in Bangladesh. Quella dei Rohingya, in Birmania, è la storia di una delle popolazioni più perseguitate al mondo. Originari del Rakhine, territorio della Birmania occidentale al confine con il Bangladesh, sono di religione musulmana. E non sono riconosciuti da alcun Paese. Il casus belli che ha portato agli scontri del 2012 è stato lo stupro e l’uccisione di una giovane donna buddista. L’escalation di violenza che ne è derivata ha portato a morti e dispersi, oltre che al saccheggio e alla distruzione di interi villaggi. Dagli scontri del 2017 con l’esercito birmano è nata invece un’operazione di pulizia etnica, con una conseguente forte ondata migratoria che ha coinvolto tutti i Paesi limitrofi. A lanciare l’allarme è Gariwo. L’acronimo di Gardens of the Righteous Worldwide. La nostra attività inizia nel 1999 a Milano con l’incontro dei quattro fondatori. Il presidente Gabriele Nissim, storico e autore di libri sui Giusti. Il console onorario d’Armenia in Italia Pietro Kuciukian. E le filosofe Ulianova Radice, scomparsa nel 2018, e Anna Maria Samuelli. Responsabile della Commissione didattica.
L’impegno di Gariwo
“Il nostro impegno è quello di far conoscere i Giusti educando alla responsabilità personale– spiegano i volontari di Gariwo-. Pensiamo che la memoria del Bene sia un potente strumento educativo e serva a prevenire genocidi e crimini contro l’umanità. Per questo creiamo Giardini dei Giusti in tutto il mondo e diffondiamo il messaggio della responsabilità individuale. Nel 2003 abbiamo creato insieme al Comune di Milano il primo Giardino dei Giusti di tutto il mondo al Monte Stella, che dal 2009 è gestito dall’Associazione per il Giardino dei Giusti di Milano. Composta da Gariwo, comune di Milano e Unione delle Comunità Ebraiche Italiane”. E aggiungono: “Dal Parlamento europeo nel 2012 abbiamo ottenuto la Giornata dei Giusti – 6 marzo, che nel 2017 è stata riconosciuta solennità civile in Italia come Giornata dei Giusti dell’Umanità. La nostra attività è sostenuta da istituzioni, scuole, volontari, da un Comitato scientifico internazionale e dai nostri ambasciatori. Dal 2020, Gariwo è diventata una Fondazione con sede a Milano“.
Giusti
Il termine Giusto è tratto dal passo del Talmud che afferma “chi salva una vita salva il mondo intero”. Ed è stato applicato per la prima volta in Israele con i Giusti tra le Nazioni onorati nel Giardino di Yad Vashem, in riferimento a coloro che hanno salvato gli ebrei durante la persecuzione nazista in Europa. Gariwo è nata con l’intento di estendere tale esperienza dalla memoria della Shoah a quella di tutte le persecuzioni contro gli esseri umani. Evidenziano i promotori dell’iniziativa: “Negli anni, abbiamo ricercato storie di Giusti del passato e del presente, figure più note o ancora sconosciute. E le abbiamo raccolte in una Enciclopedia dei Giusti. Divisa in sezioni dedicate a ogni genocidio e tematica, che possa essere un punto di riferimento morale ed educativo oltreché il più grande contenitore di storie esemplari. Il Comitato per la Foresta dei Giusti-Gariwo onlus ha iniziato a operare a Milano nel 1999 e si è costituito ufficialmente nel 2001. Nel 2009 è diventato onlus. Tre anni fa il Comitato ha deliberato di trasformarsi in Fondazione. Tutte le attività di Gariwo sono volte alla diffusione del messaggio dei Giusti, con il fine ultimo di educare alla responsabilità personale e contribuire alla prevenzione dei genocidi. Dal 7 dicembre 2017 la Giornata dei Giusti è solennità civile in Italia.
Memoria
“Il nostro Paese è stato il primo ad aderire ufficialmente alla Giornata dei Giusti istituita il 10 maggio 2012 dal Parlamento Europeo. Che con 388 firme ha approvato la proposta di Gariwo di dedicare una ricorrenza ai Giusti per tutti i genocidi– precisano i volontari del Giardino dei Giusti-. Il 6 marzo, data scelta in onore di Moshe Bejski, l’artefice del Viale dei Giusti di Yad Vashem, è quindi il cuore delle nostre attività. Ogni anno celebriamo, nel Giardino di Milano, nei Giardini dei Giusti in Italia e nel mondo e insieme alle scuole, l’esempio dei Giusti del passato e del presente. Per diffondere ovunque i valori della responsabilità. Della tolleranza. Della solidarietà. Crediamo infatti che le storie dei Giusti contribuiscano alla costruzione non solo della memoria. Ma dell’identità civica di giovani e studenti. Alle scuole proponiamo progetti didattici, seminari per insegnanti, spettacoli teatrali. Giochi didattici, visite guidate al Giardino di Milano. Durante tutto l’anno, inoltre, diffondiamo le storie dei Giusti, la conoscenza sui nostri temi e le riflessioni su memoria e genocidi attraverso il sito gariwo.net, i nostri social network e tutte le nostre iniziative”.
Territorio
Le origini del popolo Rohingya, più di un milione di persone, si perdono nella storia. Alcune teorie sostengono che questa etnia risieda in Myanmar da secoli, altre che i Rohingya siano giunti nel Paese con la campagna migratoria dell’ultimo secolo. Di certo la loro presenza è attestata nel 1785, anno dell’invasione birmana che uccise migliaia di indigeni, tra cui molti Rohingya. Chi riuscì a salvarsi fuggì nelle zone limitrofe, sotto il controllo britannico, lasciando il territorio quasi disabitato. La successiva conquista inglese dello Stato dell’Arakan – l’antico nome del Rakhine – incoraggiò gli abitanti delle regioni adiacenti a migrare in quelle fertili terre. Migliaia di Rohingya si stabilirono così dal Bengala orientale – oggi Bangladesh – all’Arakan. I censimenti inglesi che si riferiscono al distretto di Akyab riportano la presenza di 58.263 musulmani nel 1871. Che sono diventati 186.323 nel 1911, grazie alla necessità di manodopera a basso costo da impiegare nei campi della Compagnia delle Indie Orientali.
Tragedia ignorata
Tra Bangladesh e Myanmar una tragedia ignorata. Li hanno definiti, con un’espressione che sintetizza la loro storia e la loro vicenda, “il popolo che nessuno vuole”. Il popolo dei Rohingya, gruppo etnico di religione musulmana che da secoli vive nello stato di Rakhine. Una zona del Myanmar occidentale. Ed è protagonista di una vicenda tormentata da decenni. Segnata negli ultimi sei anni da violenza e sfollamento forzato. Una legge sulla nazionalità nega la cittadinanza ai Rohingya. E li priva così delle libertà e dei diritti che ne conseguivano, rendendoli di fatto “apolidi“. Perciò, evidenzia l’agenzia missionaria Fides, vivono da stranieri nella loro stessa terra. Nel 2017 i Rohingya hanno subito violenze e persecuzioni che li hanno costretti a fuggire dalle loro case. E ad attraversare il confine con il vicino Bangladesh. Da allora oltre 1,2 milioni Rohingya risiedono nei campi profughi nella località di Cox’s Bazar. Dove la maggior parte di loro non ha lo status ufficiale di “rifugiato”. Una condizione che garantirebbe loro specifici diritti e tutele. In Bangladesh i Rohingya sono ufficialmente designati come “cittadini birmani sfollati con la forza”.
Dal Myanmar al Bangladesh
La vita nei 33 campi profughi che li accolgono è garantita dai contributi internazionali. Di enti come il WFP, il governo bangladese, la “Ngo platform of Cox’s Bazar”, composta da 148 associazioni. Ma nelle condizioni di sfollamento, sono poche le opportunità di sostentamento e l’istruzione non va oltre la scuola elementare. L’assistenza sanitaria è di difficile accesso, soprattutto per le donne. “La violenza di genere e i matrimoni precoci sono così comuni che sono stati perfino normalizzati”, nota la Ong bangladese Rangpur Dinajpur Rural Service. RDRS dal 2019 accompagna i rifugiati Rohingya. Affrontando questioni come la generazione di un reddito, l’attenzione alla vita delle donne, ai giovani e alle persone con disabilità. La priorità è “salute e istruzione per tutti” afferma la Ong, che opera anche in risposta ai disastri. Nel 2021, infatti, è scoppiato un incendio in uno dei campi. E si è diffuso rapidamente attraverso i rifugi di bambù e teloni. Più di recente i rifugiati Rohingya hanno affrontato il devastante impatto del ciclone Mocha, che ha colpito gravemente tutti e 33 i campi profughi di Cox’s Bazar e i villaggi circostanti. Lasciando migliaia di persone in disperato stato di necessità.
Rohingya
I Rohingya – la cui situazione rappresenta una delle crisi dei rifugiati più imponenti a livello planetario, oggetto di diversi appelli di Papa Francesco – temono di essere dimenticati. I Rohingya vogliono tornare alle loro case in Myanmar in condizioni di sicurezza e con dignità, ma attualmente il governo del Myanmar non intende accoglierli tanto più perché, dopo il colpo di Stato militare del 1° febbraio 2021 e la guerra civile in corso nel paese, risulta impossibile ogni ipotesi di rientro in patria. Per questo migliaia di profughi sono già fuggiti in Malaysia e Indonesia, pagando i contrabbandieri. L’emergenza continua, avverte l’UNHCR, notando che i rifugiati sono esausti, affamati e malati, bisognosi di protezione internazionale e assistenza umanitaria.