L’arte come musa dell’educazione. I bambini, grazie alla creatività e alla libertà di sperimentare propria delle discipline artistiche scoprono sé stessi, gli altri e il mondo che li circonda. Il canto, il disegno, la recitazione, la musica, gli permettono di stabilire connessioni ed entrare in relazione, facendogli conoscere cose nuove e agevolando lo sviluppo di competenze cognitive, emotive e sociali che saranno le loro coordinate durante la crescita e nella vita adulta.
E portare l’arte ai bambini, con una proposta culturale variegata e insieme pedagogica, è quello che nel nostro Paese che fa oltre di vent’anni il progetto Mus-e, derivazione italiana del più ampio programma europeo nato tre decenni fa, i cui valori cardine sono l’inclusione e il rispetto, il contrasto alla povertà educativa, l’importanza di fare rete, la considerazione dell’arte come linguaggio universale che permette a chiunque di esprimersi e di farsi comprendere, il riconoscere nei più piccoli oggi i cittadini di domani.
In breve, il progetto è oggi presente in 16 città italiane, da Gorizia a Napoli, da Torino a Lecce, coinvolge quasi 700 classi – precisamente 686 – con i suoi laboratori di musica, canto, teatro, danza, arti visive e arti multimediali. I corsi sono gratuiti, di durata triennale, si svolgono una volta alla settimana da gennaio a maggio, in orario di lezione, in presenza dell’insegnante, e li tengono da artisti selezionati anche sulla base delle loro competenze pedagogiche ed educative.
L’intervista
Per conoscere meglio le attività del progetto Mus-e, Interris.it ha intervistato la segretaria generale dell’organizzazione Federica Maltese.
Quando e come è nato Mus-e?
“L’idea di questo programma europeo fondato nel 1993 a Berna è stata del violinista Yehudi Menuhi, che considerava la musica come veicolo di educazione e di inclusione. Arrivato in Italia nel 1999, Mus-e porta la propria proposta culturale con il contributo di artisti professionisti a quei bambini che altrimenti non avrebbero accesso al mondo dell’arte, per contrastare la povertà educativa. Il programma si rivolge a quelle scuole primarie pubbliche dove si trovano minori con meno risorse sociali e culturali, scelte in collaborazione con gli enti pubblici quali gli assessori alla cultura e alla gioventù dei comuni o su indicazione del Ministero dell’istruzione”.
In cosa consistono le vostre attività?
“Il percorso dura tre anni, a partire dalla seconda elementare fino alla quarta, e in molti casi, soprattutto nel terzo anno, i bambini sperimentano due discipline artistiche in compresenza. Le attività sono le più diverse, dove per esempio ci sono bambini con problemi di attenzione ci chiedono laboratori di teatro o di yoga, se invece ci sono problemi del linguaggio o dello spettro autistico magari si opta per la danza. In base alla disciplina, i bambini possono svolgere l’attività restando in classe o spostandosi in altri spazi dell’istituto, come il cortile. Dopo i momenti più duri della pandemia abbiamo lavorato per aiutare i bambini a ritrovare fiducia nel futuro e a sentirsi sicuri anche a scuola. Il progetto Mus-e è inoltre presente in alcuni ospedali pediatrici, in particolare dove ci sono una sala lettura o una ludoteca. Qui gli artisti vanno a trovare i bambini lungodegenti nell’orario consentito e tengono i loro laboratori. A Torino, Genova, Milano, Reggio Emilia, c’è il coro dove si lavora tutti su un repertorio comune, imparando così a collaborare e a conoscere culture e lingue differenti. Un terzo progetto è ‘Letture ad alta voce’ per rafforzare le competenze di lettura dei bambini in età pre-scolare e sensibilizzare genitori e insegnanti”.
Quali sono le finalità del vostro programma?
“Intendiamo migliorare l’offerta formativa delle scuole e far scoprire l’arte ai bambini senza competizione, facilitando l’inclusione dei più fragili e i rapporti tra di loro. Sappiamo di bambini che hanno chiesto di continuare a studiare uno strumento dopo aver partecipato ai nostri laboratori. L’arte e la creatività sono linguaggi non verbali che rafforzano le competenze cognitive, l’autostima e la capacità di ricevere critiche, non generano ansia né competizione”.